Pnrr, costruttori chiedono attuazione investimenti e intervento su caro-materiali

Audizione in Parlamento dell’Ance sul decreto dedicato al Piano nazionale di ripresa e resilienza. I tempi di realizzazione medi nel nostro Paese per realizzare un’opera pubblica sembrano “incompatibili con la scadenza del 2026 del Pnrr“. Serve anticipare alle stazioni appaltanti una parte dei fondi per il caro-materiali 2022, la possibilità di accedere ai fondi per il caro-materiali per il 2023, ed evitare che i bandi si concentrino in un lasso di tempo eccessivamente limitato.

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Pnrr, costruttori chiedono attuazione investimenti e intervento su caro-materiali

Piena attuazione degli investimenti e intervenire in modo urgente sul caro-materiali. Questi due elementi messi in evidenza dall’Ance (l’Associazione nazionale costruttori edili) per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

I costruttori – in audizione in Parlamento sul decreto dedicato dal governo al Pnrr, il terzo provvedimento che si pone l’obiettivo di velocizzarne la realizzazione – sottolineano che ci sono “alcune difficoltà nell’attuazione degli investimenti, sebbene siano stati raggiunti gli obiettivi previsti e le risorse siano state programmate e ripartite molto velocemente”. Tanto che “il 92% dei 108 miliardi destinati ad investimenti del settore delle costruzioni risulta infatti assegnato ai territori”.

Secondo la Nota di aggiornamento al Def (Documento economico e finanziario) “tra il 2020 e il 2022 la spesa pubblica attivata dal Pnrr ha raggiunto 20,5 miliardi di euro, contro 33,7 miliardi previsti ad aprile scorso”. In particolare, nell’ultimo anno la spesa ammonta a circa 15 miliardi, “poco più della metà di quella prevista”.

I ritardi nell’attuazione del PNRR

Le cause dei ritardi, che stanno ostacolando l’avvio della realizzazione degli investimenti, sono conosciute.

Si va “dagli eccezionali rincari delle materie prime e dei prodotti energetici alla cronica debolezza delle amministrazioni pubbliche”.

I primi – viene spiegato – sono emersi “a partire dalla fine del 2020 e si sono acuiti con lo scoppio della guerra in Ucraina”; questo ha determinato “uno slittamento in avanti dei cronoprogrammi degli investimenti”. Quanto alla Pa, c’è stato un “forte depotenziamento, dopo anni di blocco del turnover; cosa che ha determinato la riduzione, l’invecchiamento, e il conseguente impoverimento delle competenze del personale pubblico”.

I motivi dei ritardi nell'attuazione del PNRR secondo l'Ance

I tempi di realizzazione medi nel nostro Paese per realizzare un’opera pubblica sembrano “incompatibili con la scadenza del 2026 del Pnrr se non verranno introdotti snellimenti procedurali efficaci. Appare opportuno ricordare che in Italia servono mediamente 4,4 anni per realizzare le opere pubbliche. Tempistica che si riduce a 3 anni per le opere inferiori ai 100mila euro e arriva a quasi 16 anni per le opere di importo superiore”.

Il punto è che i prossimi mesi saranno cruciali, dal momento che oltre all’esigenza di affidare le opere del Pnrr e fare partire i relativi cantieri, a fine anno si chiude la programmazione 2014-2020 dei Fondi strutturali europei, e occorre
spendere circa 20 miliardi di euro per evitare il disimpegno dei fondi.

A questo si aggiunge che l’avvio della nuova programmazione 2021-2027: per l’Italia sono previsti oltre 75 miliardi di euro, più 73 miliardi di Fondo sviluppo e coesione.

Senza contare la possibilità di un aggiornamento del Pnrr consentito dall’Ue, che dovrà essere perfezionato entro il prossimo 30 aprile, per consentire l’inserimento del pacchetto Repower Eu per far fronte alle difficoltà sul versante energetico innescate dalla guerra in Ucraina.

PNRR, le priorità per i costruttori

Per l’Ance è al momento “prioritario dare attuazione agli investimenti e alle riforme del Pnrr, senza rimettere in discussione l’impianto complessivo, rimandando a fine anno eventuali riprogrammazioni, da effettuare in coordinamento con gli altri Fondi europei, quando si avrà maggiore contezza dello stato di avanzamento dei progetti e sarà più chiaro se le misure del decreto avranno prodotto effetti”.

La disponibilità di “dati affidabili e costantemente aggiornati” consentirà nei prossimi mesi di comprendere se il Piano è “in grado di rispettare le tempistiche previste e, soprattutto, di sostenere l’economia italiana”.

Ma secondo i costruttori il decreto non affronta, proprio sul fronte dell”accelerazione, un tema fondamentale: quello del caro-materiali.

Servirebbe “adottare due misure”

La prima riguarda la possibilità per il ministero delle Infrastrutture e trasporti “di anticipare alle stazioni appaltanti una parte dei fondi per il caro-materiali richiesti nel 2022 e non ancora erogati. E’ necessario visto che, solo considerando le opere in corso non prioritarie (non Pnrr), al momento risultano ancora da istruire circa 11mila domande e che le richieste formulate sono inferiori alla dotazione dei fondi”.

La seconda è “la conferma, attraverso una norma interpretativa, della possibilità di accedere ai fondi per il caro-materiali per il 2023 anche per chi ha avuto accesso ai fondi destinati alle opere in corso nel 2022. Si tratta di risorse utilizzabili per lavori eseguiti in annualità diverse, pertanto la limitazione prevista non appare giustificabile ed al contrario, è fortemente negativa perché i cantieri rischiano di bloccarsi”.

Poi tenendo presente “l’incremento dei bandi di gara nel corso dell’anno, in attuazione del Pnrr, occorre evitare che tali procedure si concentrino in un lasso di tempo eccessivamente limitato. Occorre favorire la massima partecipazione da parte delle imprese ed evitare il fenomeno delle gare deserte”.

Funziona invece l’idea alla base del potenziamento delle politiche di coesione, con l’obiettivo di rafforzare il coordinamento tra il Pnrr e fondi strutturali. “L’auspicio – rilevano i costruttori – è che gli interventi promossi attraverso i fondi, nazionali ed europei, per il riequilibrio territoriale siano veramente complementari rispetto a quelli finanziati con il Pnrr e consentano di delineare una strategia complessiva di sviluppo infrastrutturale Paese”.

Infine l’Ance ricorda come le imprese stiano “affrontando i gravosi problemi di liquidità dovuti non solo all’inflazione e al conseguente aumento dei tassi di interesse, che rende difficile l’accesso ai finanziamenti, ma anche all’ingente ammontare dei crediti d’imposta derivanti dai bonus fiscali, che il sistema bancario non è più in grado di assorbire, nonché i ritardi nei pagamenti della Pa anche a copertura dei maggiori costi dei materiali”.

I crediti fiscali bloccati ammontano a circa 19 miliardi, “un importo spropositato, con il rischio che tutto questo si traduca nel fallimento di 32mila aziende con la perdita di 170mila lavoratori e lavoratrici, oltre al blocco di 115mila cantieri”.

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