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A cura di: Pierpaolo Molinengo Indice degli argomenti Toggle Codice dei contratti pubblici, l’obbligo di formazioneCosa prevede il comma 10 dell’articolo 63L’attività di formazione è legittima?Il requisito: senza fine di lucro Il Codice dei Contratti Pubblici torna al centro del dibattito pubblico. A far discutere, questa volta, è l’articolo 63 il cui comma 10 ha introdotto un sistema di accreditamento per la formazione, che è necessario maturare per ottenere la qualificazione delle stazioni appaltanti. Il dubbio, che è stato mosso su questa particolare norma, è se stia violando le norme comunitarie. Proprio per questo è già stata presentata una denuncia alla Commissione Ue. Ma entriamo nel dettaglio e scopriamo cosa sta accadendo. Codice dei contratti pubblici, l’obbligo di formazione L’obiettivo principale del Codice dei Contratti Pubblici, previsto dal Decreto Legislativo n. 36 del 31 marzo 2023, sarebbe dovuto essere l’adeguamento della disciplina italiana in materia a quella del diritto europeo. Il traguardo si sarebbe dovuto raggiungere andando a riordinare e a semplificare la disciplina vigente che regolamenta i contratti pubblici. Questo avrebbe evitato l’avvio di nuove procedure di violazione da parte della Commissione europea. A sollevare una serie di interrogativi, però, è l’articolo 63 il cui comma 10 potrebbe non rispettare a pieno le disposizioni europee. E che potrebbe aprire la porta a possibili controversie legali e a dei procedimenti di infrazione. Al centro del suddetto comma è la qualificazione attraverso la quale si dovrebbe accertare la capacità delle stazioni appaltanti di procedere in maniera autonoma per effettuare gli acquisti di servizi e forniture oltre i 140.000 euro. E di eventuali lavori oltre i 500.000 euro. Tra i requisiti di base per ottenere la qualificazione vi è anche l’adeguata formazione del personale. Cosa prevede il comma 10 dell’articolo 63 Il nuovo Codice degli Contratti Pubblici prevede, all’articolo 63, l’introduzione di un sistema di accreditamento per la formazione indispensabile per ottenere la qualificazione. Viene stabilito, infatti, che: solo e soltanto i soggetti che siano in possesso dell’accreditamento hanno la possibilità di svolgere l’attività formativa utile per poter ottenere la qualificazione di stazione appaltante; le istituzioni pubbliche o private – senza finalità di lucro – sono le uniche entità che hanno la possibilità di ottenere l’accreditamento; spetterà direttamente alla Scuola Nazionale dell’Amministrazione definire quali siano i requisiti per ottenere l’accreditamento. Lo stesso ente, però, si occupa di fornire la formazione. Le restrizioni che abbiamo appena visto non apparirebbero giustificate – e in un certo senso nemmeno ragionevoli – oltre a non rispondere minimamente ai principi fondamentali di uguaglianza e non discriminazione che sono stati sanciti direttamente dall’Unione Europea. L’attività di formazione è legittima? Il dubbio che sorge è se sia legittimo la limitazione dell’attività di formazione. Prima di procedere è necessario sottolineare che la normativa nazionale ha la possibilità di limitare questo tipo di attività. Ma i limiti non devono essere discriminatori e giustificati obiettivamente da motivi di interesse generale. L’Unione europea ha dettato dei principi molto precisi in questo senso. Con l’eccezione delle disposizioni attraverso le quali sono stati istituiti e regolamentati gli ordini, i collegi e gli albi professionali, i sistemi di accreditamento e i regimi autorizzatori vengono istituiti e successivamente mantenuti per tutelare i consumatori. Oltre che per proteggere l’ambiente, la pubblica sicurezza e la sanità pubblica. E rispettando il diritto al lavoro. Le limitazioni che sono state previste direttamente dall’articolo 63 del Codice dei Contratti Pubblici non apparirebbero meritevoli di tutela. La norma, infatti, stabilisce unicamente un requisito: l’assenza del fine di lucro. Ulteriori requisiti vengono rimessi alle decisioni della Scuola Nazionale dell’Amministrazione. Questo è il motivo per il quale l’articolo 63, comma 10 del Codice dei Contratti Pubblici sembrerebbe violare l’articolo 49 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) sul diritto di stabilimento e l’articolo 56 dello stesso trattato che regolamenta la libera prestazione dei servizi. Viene limitato, infatti, l’accesso al mercato della formazione pubblica ad un numero ridotto di soggetti, che vengono selezionati dall’autorità nazionale senza una sufficiente giustificazione. Il requisito: senza fine di lucro A finire sotto la lente d’ingrandimento è anche il requisito senza fine di lucro delle istituzioni pubbliche o private, che devono ottenere l’accreditamento per fornire la formazione. La Corte europea, in più occasioni, ha stabilito che un qualsiasi ente, anche quando non persegue dei fini di lucro, ha la possibilità di esercitare una qualsiasi attività economica ed essere considerato a tutti gli effetti un’impresa per l’applicazione delle norme del diritto comunitario. Questo significa, in altre parole, che qualsiasi tipo di operatore – indipendentemente che sia con o senza fine di lucro – deve essere trattato allo stesso modo. Su un piano totale e completo di parità e in maniera non discriminatoria. Non risulta legittimo e ragionevole che alcune attività economiche siano privilegiate nell’accreditamento per fornire i servizi di formazione. Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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