Il Corso CEIM si conclude con successo: 40 nuovi consulenti esperti in impermeabilizzazione 01/04/2025
La via della ripartenza nella Fase 2 del post-coronavirus potrebbe passare dalla ripresa delle opere, associate a un pacchetto di norme sciogli-burocrazia che dovrebbe snellire anche il Codice appalti, ormai nel mirino del governo da tempo. Ma sulla partita cantieri emergono le tensioni nella maggioranza. In particolare Italia Viva non sembra voler rinunciare alla sua proposta di una cura choc da 120 miliardi. Il Piano della ministra De Micheli parla di 196 miliardi di opere già finanziate per i prossimi 15 anni. Mentre quella del viceministro M5s Cancelleri è dedicato a ferrovie e strade per 100 miliardi. Ma sulla riduzione dei tempi per le autorizzazioni e la nomina di alcuni commissari per le opere più importanti, ci sarebbe una posizione comune. a cura di Tommaso Tetro Indice degli argomenti: I due decreti e i nodi politici Il Piano del ministero Le misure possibili, ora al vaglio di Palazzo Chigi Sblocco dei cantieri e velocità delle opere. In due parole è questo il mantra che si ripete da alcuni giorni nella compagine governativa per la seconda (o terza) parte di questa Fase 2 post coronavirus dedicata alla ripartenza del Paese. E le semplificazioni annunciate? Quelle che, secondo il premier Giuseppe Conte, dovranno trasformare la ripresa in uno sprint? Niente paura, si mormora: arriveranno anche quelle, ma saranno declinate in un provvedimento ad hoc ‘sciogli-burocrazia’, più ampio, che dovrebbe contemplare anche un pacchetto di norme per snellire il Codice Appalti, ormai entrato nel mirino di Palazzo Chigi da troppo tempo (e che è stato molto più che probabilmente, un pezzo dei motivi che hanno portato alle dimissioni anzitempo di Raffaele Cantone dalla guida dell’Anac, l’Autorità anti-corruzione che le aveva volute, messe a punto e poi difese). I due decreti L’ipotesi dei due decreti sta prendendo sempre più piede, fosse anche soltanto per non replicare il ‘lavoro’ del dl Rilancio, con una mole di pagine e norme che in alcuni casi è sembrata ingestibile. Abbandonata l’idea originaria di un testo unico, ‘cantieri-semplificazioni-appalti’, Palazzo Chigi potrebbe infatti optare per offrire una corsia preferenziale allo sblocco delle opere, soprattutto per dare una spinta al lavoro, e regalare alla popolazione la percezione di laboriosa ripresa dell’edilizia. Un punto da cui non ci si allontana è però che i due provvedimenti, se per due si deciderà, dovranno viaggiare in contemporanea, sia pure su due binari diversi. I nodi politici Ma sulla partita cantieri emergono non poche tensioni nei partiti della maggioranza, perché ognuno ritiene di avere la ricetta in tasca (senza contare che l’annuncio di Aspi del blocco degli investimenti sulle autostrade riporta in primo piano il tema della revoca della concessione, su cui il governo è a dir poco diviso). In particolare Italia Viva non sembra voler rinunciare alla sua cura choc (sul piatto c’è ancora la proposta da 120 miliardi) che necessariamente riporta in gioco un nuovo super-decreto. Le due posizioni dominanti in ballo fanno riferimento entrambe al ministero delle Infrastrutture. La prima è quella della ministra Paola De Micheli che vale 196 miliardi di opere già finanziate per i prossimi 15 anni, che si trasformano in 20 miliardi già tra questo e il prossimo anno. La seconda del viceministro M5s Giancarlo Cancelleri soprattutto dedicata a ferrovie e strade per 100 miliardi. A queste due bisogna aggiungere il lavoro con le Regioni che sta portando avanti il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia per l’elaborazione di una proposta unica e condivisa sulla sburocratizzazione e sulla riduzione dei tempi per le imprese. Il punto della discordia è sulla scelta dei commissari, e quindi del modello Genova: per il Pd assolutamente da non replicare (anche se qualche apertura su determinati lavori si sta facendo spazio), per M5s e Italia Viva (che preferisce parlare di modello Expo) è invece un esempio da seguire. Anche se su un punto sembrano tutti d’accordo, rapidità nell’ottenere le autorizzazioni: la diminuzione dei tempi per la Valutazione di impatto ambientale (Via) e la diluizione della Valutazione ambientale strategica (Vas). Il premier sa che in questo momento di ripartenza dopo la crisi economica innescata da Covid-19 – riuscire a tenere compatta la maggioranza intorno alle semplificazioni e allo sblocco dei cantieri è la sfida da vincere, e insieme diventa la madre di tutte le riforme. E di mezzo non c’è soltanto la tenuta del governo. Il Piano del ministero Niente modello Genova o modello Expo (perché è troppo difficile ripetersi e quasi impossibile farlo su larga scala), procedure negoziali per gli appalti sotto i 5 milioni di euro, e alcuni commissari dedicati a opere specifiche, forse poco più di una decina. Sono alcuni dei capisaldi del Piano su cui è al lavoro il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, con la ministra De Micheli in prima fila; misure che trovano d’accordo i costruttori (con il presidente dell’Ance Gabriele Buia che, auspicando comunque una riforma del Codice appalti, oppone al modello Genova “la gara”, dal momento che la formula commissariale “avrebbe senso solo per opere bloccate a monte”), i sindacati, e la stessa Anac per la quale si tratta di una “soluzione ragionevole” a condizione che “non significhi abbandonare i controlli” e allentare la “legalità”. La chiave è naturalmente la semplificazione; ma per farlo, anteponendolo alla riforma del Codice appalti, basterebbe estendere lo stato di emergenza fino al 31 dicembre con una conseguente velocizzazione dei meccanismi delle procedure, rilanciando da subito il settore dell’edilizia e delle costruzioni. Dalle analisi della ministra De Micheli – che conviene sulla proroga dello stato di emergenza fino alla fine dell’anno – emergono alcuni elementi: come per esempio che l’attuale Codice appalti contiene già gli strumenti per fare gare veloci, che da una mappatura pre-Covid-19 – delle opere non ancora partite ce ne sono alcune bloccate per motivi politici, perché da cinque anni le stazioni appaltanti sono dormienti e non in grado di fare progetti, oppure perché bloccate per via giudiziaria; a questo bisogna poi aggiungere il blocco del turnover nella pubblica amministrazione. Le misure possibili, ora al vaglio di Palazzo Chigi Sul tavolo di Palazzo Chigi le misure possibili al vaglio – se il decreto fosse uno, quindi un super-decreto (il che vorrebbe dire almeno la prima settimana di giugno per vederlo pronto) – sono diverse: dai commissari dedicati a singole opere per sbloccare una quindicina di cantieri per oltre 20 miliardi di euro di risorse, al via libera agli appalti di Rfi e Anas, per 110 miliardi, dal nuovo regolamento taglia-nodi per il Codice appalti alla semplificazione tout court delle procedure, fino ai pagamenti celeri per le stazioni appaltanti. Non è da escludere l’ipotesi di un ‘passaporto salva-imprese’ per chi vince le gare che servirà ad accelerare i controlli azzerando così i ricorsi che rallentano gli appalti pubblici. Le opere bloccate – in base a un’analisi dell’Ance – sono 749 in tutta Italia con un totale di 62 miliardi di risorse in gioco. Potrebbe far parte della ricetta anche un Fondo per gli investimenti rivolto ai Comuni per immettere nel circuito risorse fresche – si parla di oltre 1,2 miliardi per il 2021, 1,6 per il 2022 e 2 miliardi all’anno tra il 2023 e il 205 – per sviluppo sostenibile e infrastrutture, soprattutto nell’edilizia pubblica attraverso interventi di messa in sicurezza, lotta al dissesto idrogeologico, prevenzione del rischio sismico e efficientamento energetico. Obiettivo principale resta però la semplificazione delle procedure, velocizzando il tempo che intercorre dal progetto alla messa a terra dei lavori; si può fare per esempio con uno schema di sintesi simile a quella che nella semantica linguistica si potrebbe definire come una crasi: in questo caso la contrazione non sarebbe fonetica ma a carico della burocrazia (si pensa per esempio a eliminare l’obbligo del parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici per opere fino a 100 milioni ma anche ad alleggerire il controllo delle aree dei lavori). In attesa di una riforma del Codice appalti potrebbe scattare da subito una specie di passaporto delle imprese per sapere da prima se si posseggono i requisiti, anticipando così eventuali ricorsi successivi all’aggiudicazione degli appalti e i blocco dei lavori. Inoltre potranno esserci accordi quadro per le stazioni appaltanti “nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente provvedono entro il 31 luglio 2020 all’aggiudicazione degli appalti ovvero all’esecuzione degli accordi”; e per consentire alle imprese di respirare, dopo la chiusura coronavirus, potrà essere riconosciuta “un’anticipazione fino al 30% del valore delle prestazioni ancora da eseguire anche laddove l’appaltatore abbia già usufruito dell’anticipazione”. Tra le posizioni politiche che emergono c’è anche la questione di quante, e quali, opere dovranno entrare nel Piano. La ministra De Micheli dovrebbe avere in mente 27 opere per 15 miliardi. Per il viceministro Cancelleri, che avrebbe messo a punto una lista di opere a partire dalle ferrovie e dalle strade, gli interventi sarebbero invece molti di più (oltre 1.200) per un totale di 100 miliardi; ma dal momento che alla base della sua proposta c’è, come detto, il commissariamento per chi ha già un progetto pronto e risorse finanziate, si arriverebbe a un totale che sfiora le 300 opere (200 per le ferrovie e 90 per le strade). All’interno di questo ragionamento rientrerebbero anche un bel pezzo di opere comunali e metropolitane da affidare ai sindaci vestiti, però, da commissari della propria città. Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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