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Tecnologia e innovazione in edilizia: occorre aprirsi alla digitalizzazione e all’inclusione 21/07/2025
Indice degli argomenti Toggle L’Europa e l’Italia: vulnerabilità strutturale e poca consapevolezzaPrevenzione, informazione e responsabilità: il ruolo di ISI Il Myanmar ha vissuto l’ennesimo tragico risveglio della sua terra. Un terremoto di magnitudo 7.7 (circa 320 volte più forte di quello di Amatrice e 44.000 volte più potente di quello dei Campi Flegrei) ha colpito con forza, provocando danni ingenti e una lunga scia di vittime. Eppure, come sottolinea ISI – Ingegneria Sismica Italiana – nonostante la forza devastante del sisma, a fare la differenza, ancora una volta, è stata la qualità degli edifici.“La mia abitazione sarebbe in grado di resistere a scosse così forti?” è la domanda che ci dobbiamo porre vedendo i video delle conseguenze del terremoto: grattacieli che oscillano ma restano in piedi, palazzi che si accartocciano su se stessi come castelli di sabbia. Il nodo non è nella potenza della natura, ma nella capacità (o incapacità) delle strutture di resisterle. Il Myanmar è attraversato dalla faglia di Sagaing, una delle più attive al mondo. Negli ultimi cento anni, ha registrato sei terremoti superiori a magnitudo 7. Eppure, molte delle costruzioni presenti – in particolare nelle aree rurali – sono realizzate con materiali scadenti e senza criteri antisismici, rendendole inevitabilmente fragili. ISI sottolinea come l’assenza di una cultura della prevenzione e l’inadeguatezza tecnica delle costruzioni siano le principali cause delle vittime. Le immagini parlano chiaro: dove c’è qualità edilizia e progettazione sismoresistente, le strutture resistono. Dove manca tutto questo, si contano i morti. L’Europa e l’Italia: vulnerabilità strutturale e poca consapevolezza Lo scenario del Myanmar deve essere un monito anche per l’Europa. Una parte significativa del continente è altamente esposta al rischio sismico. Lo ha riconosciuto lo stesso Comitato europeo delle regioni che, nel parere 2018/C 054/11, ha esortato gli Stati membri a investire nella riqualificazione sismica del patrimonio edilizio. Fonte ISI In Italia, la situazione è particolarmente delicata. Secondo i dati più recenti, circa il 70-75% degli edifici è stato costruito prima dell’introduzione delle normative antisismiche (1981-1985). Si parla di milioni di abitazioni potenzialmente insicure, realizzate in un’epoca in cui la consapevolezza del rischio sismico era quasi nulla. Il patrimonio immobiliare italiano è vetusto e frammentato: il 18% è stato edificato prima del 1919, un ulteriore 45% tra il 1919 e il 1971. Solo il 7% delle abitazioni è stato costruito dopo il 1992 con standard antisismici consolidati. Non sorprende, quindi, che in caso di scossa molte abitazioni non siano in grado di garantire la sicurezza degli occupanti. Eppure, come ricorda ISI, oggi esistono strumenti tecnici, tecnologici e normativi per adeguare le costruzioni esistenti. Interventi che richiedono sì risorse economiche e progettuali, ma che possono letteralmente salvare vite. “Non possiamo più limitarci a osservare gli effetti dei terremoti”, afferma ISI, “dobbiamo agire concretamente per ridurne i rischi. La tecnologia è dalla nostra parte, sta a noi decidere di utilizzarla.” Prevenzione, informazione e responsabilità: il ruolo di ISI ISI – Ingegneria Sismica Italiana – è il punto di riferimento nazionale per la sicurezza strutturale in ambito sismico. Dal 2011 riunisce aziende, professionisti e accademici per promuovere soluzioni ingegneristiche, innovazione tecnologica e diffusione della cultura del rischio. La sua azione si muove su tre assi fondamentali: Promozione della consapevolezza: rendere i cittadini informati sul rischio sismico delle proprie abitazioni. Sviluppo tecnologico: favorire la diffusione di tecnologie antisismiche efficaci e accessibili. Collaborazione istituzionale: dialogare con enti pubblici, comunità scientifica e industriale per una strategia nazionale di mitigazione del rischio. L’associazione ricorda che l’inerzia costa. E non solo in termini umani. L’Italia paga ancora accise sui carburanti introdotte per fronteggiare i terremoti del passato, con un gettito stimato di oltre 260 miliardi di euro tra il 1968 e il 2015. Una somma enorme, che avrebbe potuto finanziare un piano nazionale di prevenzione. “Invece di tremare davanti ad ogni scossa,” conclude ISI, “concentriamoci sulla pianificazione e promozione di una sensata politica di mitigazione del rischio su tutto il territorio nazionale.” Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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