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Nel 2000 l'Italia deteneva, a valore, il 43,6% della produzione mondiale di ceramica; nove anni dopo il dato era sceso al 32 per cento e nel corso del 2010 ha subito ulteriori limature. Il tutto a vantaggio non del suo storico competitor europeo, la Spagna (scesa nello stesso periodo dal 22,2 al 16,5%), ma della Cina che è balzata dal 3 al 19,7 per cento. Un'avanzata impetuosa, favorita dal basso costo del lavoro e da manovre di dumping che sono state denunciate dai produttori ceramici italiani all'Unione europea. L'impatto sul distretto dislocato tra Modena e Reggio Emilia (ma con sedi produttive sparse in tutta Italia) è stato forte ma è stata parimenti significativa la risposta di un comparto produttivo che resta leader mondiale (a valore) grazie all'attività – nel complesso in tutta Italia e non solo nel distretto leader di Sassuolo – di 284 aziende con 37.990 addetti che nel 2010 hanno fatturato 6,517 miliardi di cui poco meno di 4 miliardi hanno preso la strada dell'export. «È chiaro che l'Italia soffre il rallentamento della domanda, soprattutto quella interna, e la concorrenza che le viene da Cina e Brasile ma – spiega Franco Manfredini, presidente di Confindustria ceramica – il distretto è ancora vivo e vitale. Tanto che restiamo il primo produttore mondiale per valori di merce realizzata e la piastrella italiana è sinonimo di qualità e bellezza in tutto il mondo». I dati più recenti indicano che nei primi tre mesi dell'anno l'export si è mantenuto vivace (+4,5%) e anche il mercato interno, pur restando negativo (-0,7%), ha dato qualche segno di risveglio. E se nel 2010 il mercato europeo è stato povero di soddisfazioni, nel primo scorcio del 2011 le vendite sono ripartite trainate dal +8,4% di Germania e Francia e le cose stanno andando bene anche in Russia con una crescita che ha raggiunto i 22 punti percentuali. Resta, invece, problematica la situazione nel mercato del Nord America dove il settore dell'edilizia stenta a ripartire e le vendite hanno fatto registrare una pesante flessione (-10%) anche nel 2011. «La tenuta del distretto – spiega Manfredini – è affidata alle produzioni di qualità e allo sforzo incessante sul fronte della ricerca e dell'innovazione che rappresentano una buona parte degli oltre 224 milioni che sono stati investiti dalle aziende del settore pari al 5% del fatturato». Più della concorrenza estera il distretto teme comunque le difficoltà del sistema Paese. «Rispetto ai nostri competitor europei, non cinesi, paghiamo l'energia circa il 30% in più e dobbiamo combattere – attacca il presidente di Confindustria ceramica – con un sistema infrastrutturale carente e obsoleto che da quasi 30 anni aspetta un collegamento efficiente tra Sassuolo e Campogalliano». Non per questo però le imprese abbandono il territorio e chi è andato a produrre all'estero lo fa per servire meglio i mercati in cui si è stabilito. «Per noi – spiega Maurizio Piglione, amministratore delegato di Marazzi group che nel 2010 ha fatturato circa 818 milioni con oltre 6mila dipendenti – i mercati esteri sono fondamentali perché valgono l'80% del nostro business e produciamo oltreconfine circa il 65% dei nostri metri quadrati. E l'esperienza in Russia, un mercato straordinario in questo momento, e Stati Uniti, che ci vede produrre essenzialmente per il mercato locale, è per noi di grandissimo valore e ci consente di recuperare le eventuali flessioni delle esportazioni. Di certo continueremo a crescere all'estero puntando soprattutto su Brasile, Cina e India». Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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