Il Piano sulle trivelle è pronto ma non approvato. Per le associazioni c’è rischio ripresa attività

Il Piano sulle trivelle è pronto ma non approvato. Per le associazioni c’è rischio ripresa attività

Il Pitesai è ora al vaglio della Conferenza Unificata. Greenpeace, Legambiente, e Wwf denunciano la mancanza di una vera e propria moratoria. Ma il ministero della Transizione ecologica assicura che non ci saranno nuove trivellazioni in attesa dell’adozione definitiva

di Tommaso Tetro

Il Pitesai, Piano sulle trivelle è pronto ma non approvato

Le trivelle potranno riprendere le proprie attività. Oppure no. La questione legata al Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee il Pitesai, lascia aperti spazi di interpretazione. Il Piano doveva essere approvato entro il 30 settembre, e invece è stato soltanto trasmesso, entro quella data, alla Conferenza Unificata. Quello che potrebbe succedere ora viaggia su due linee di pensiero diverse. Da un lato le associazioni ambientaliste – Greenpeace Italia, Legambiente, e Wwf Italia – denunciano come “senza Piano ora si possa ripartire” con le attività; dall’altro manca una vera e propria moratoria per scongiurare il rischio. In mezzo, la posizione del ministero della Transizione ecologica, il Mite: non ci saranno nuove trivellazioni – viene ribadito – in attesa dell’adozione del Pitesai. Una rassicurazione che in realtà era già arrivata da Roberto Cingolani: stop delle attività fino all’approvazione definitiva.

La cosa però non è sembrata bastare né alle associazioni né a un pezzo del mondo politico. La denuncia è partita da Greenpeace, Legambiente e Wwf: “senza l’adozione” del Piano “si sono rimessi in moto i procedimenti autorizzativi vecchi e nuovi, compresi quelli di Valutazione di impatto ambientale, per la prospezione e ricerca degli idrocarburi”. Qualcosa di “inaccettabile”, dicono: a parer loro “qualcuno ha voluto bluffare. E’ singolare che al Mite nessuno si sia allarmato”; perché in questo ripartono i procedimenti che “erano stati sospesi sino a fine settembre e che ricominceranno a minacciare circa 91mila chilometri quadrati di mare e 26mila kmq sulla terraferma”.

“Non possiamo non manifestare una forte delusione”, dicono i deputati di FacciamoECO guidati da Rossella Muroni; erano stati infatti loro “i promotori dell’emendamento che prolungava la sospensione” delle attività estrattive e di ricerca “per evitare possibili cortocircuiti”. Ed è per questo che offrono un suggerimento a Cingolani e al Governo: “adoperarsi con urgenza per affrontare la situazione, anche emanando un’ulteriore proroga che congeli tutto quanto è pendente”. A questo aggiungono la richiesta che nel Piano sia contemplato “il progressivo abbandono delle trivellazioni” per “realizzare la transizione energetica e la decarbonizzazione dell’economia”. Oltre che avviare dalla prossima legge di Bilancio “anche il taglio dei sussidi fossili”.

Cosa che per ora si accenna, soltanto (o almeno) nel Documento programmatico di bilancio (Dpb), facendo presente che con le risorse derivanti dalla revisione dei sussidi alle fonti fossili si cercherà di tagliare gli oneri che pesano sui settori produttivi. Nello specifico viene scritto nel Dpb che “le entrate derivanti dalla revisione delle imposte ambientali e dei sussidi ambientalmente dannosi andranno utilizzate per ridurre altri oneri a carico dei settori produttivi”. Inoltre si fa presente che “le risorse di bilancio verranno crescentemente indirizzate verso gli investimenti e le spese per ricerca, innovazione e istruzione”.

La richiesta di inserire il taglio dei sussidi ai fossili – “entro il 2030”, mettendo a punto “una road map” con step al 2025 – è la richiesta principale di Legambiente che su questo ha messo a punto un nuovo rapporto ‘Stop ai sussidi ambientalmente dannosi’. I sussidi dannosi per l’ambiente valgono 34,6 miliardi nel 2020. Di questi oltre 34 miliardi ce ne sono “ben 18,3 eliminabili entro il 2025 cancellando per esempio quelli previsti per le trivellazioni, e i fondi per la ricerca su gas, carbone e petrolio”. Mentre “negli ultimi 10 anni sono stati stanziati 136,4 miliardi per i sussidi ambientalmente dannosi diretti e indiretti”. Per l’associazione si tratta invece di “risorse che potrebbero essere rimesse in circolazione nel giro di pochi anni a favore della transizione energetica: rinnovabili, reti, efficienza, mobilità, bonifiche e molto altro anche per evitare il caro bollette. E sopperire ai versamenti mancati a favore dei Paesi poveri come previsto dal protocollo di Kyoto”.

Il ministero, pur non parlando esplicitamente di moratoria, mette in chiaro che “non autorizzerà alcuna nuova attività estrattiva e di ricerca”. E proprio Cingolani si augura che dopo il passaggio in Conferenza Unificata si possa “giungere il prima possibile all’intesa prevista per l’adozione”.

Quello sul Pitesai – aveva messo in evidenza proprio Cingolani – è “un lavoro condotto con grande attenzione e in tempi ristrettissimi” dal momento che le ultime osservazioni sono giunte “in prossimità del 14 settembre”, alla “scadenza della consultazione pubblica nella fase di Valutazione ambientale strategica”. A questo Cingolani aggiunge che si dovrà comunque tener conto del fatto che “l’utilizzo dei combustibili fossili si concluderà nel medio termine, in funzione degli obiettivi di decarbonizzazione che rappresentano il cardine della politica energetica italiana”.

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