Santa Giulia Museo della Città

A distanza di vent’anni dall’inizio dei lavori di restauro dello straordinario complesso monumentale di Santa Giulia, grazie allo sforzo congiunto del Comune di Brescia e della Fondazione CAB, il Museo della Città si presenta come una delle più significative realizzazioni culturali italiane ed europee.
Il museo, dotato di un’area espositiva di oltre 12.000 mq articolata intorno ai chiostri e alle tre chiese del complesso monastico, ricostruisce il volto storico di Brescia ripercorrendo la storia urbana attraverso testimonianze archeologiche, artistiche e architettoniche, complessivamente circa 11.000 pezzi che vanno dall’età preistorica e protostorica fino al secolo scorso. L’esposizione del ricchissimo patrimonio museale verrà completata con la prossima realizzazione di un parco archeologico di circa 14.000 mq nelle aree adiacenti, che rappresenterà l’unico esempio di questo tipo nell’Italia settentrionale.
La stessa continuità storica, monumentale ed artistica concentrata nel monastero e nelle annesse aree archeologiche appare come una situazione particolarissima nel panorama italiano poiché l’intero complesso si configura come un palinsesto stratificato, uno spaccato significativo della storia della città di Brescia, dall’antichità ai tempi più recenti.
Il monastero femminile di regola benedettina di Santa Giulia fu fondato dal re longobardo Desiderio e da sua moglie Ansa nel 753 su un’area in cui preesistevano domus romane, e continuò a ricoprire un ruolo di primo piano – religioso, politico ed economico -anche dopo la sconfitta inferta da Carlo Magno ai Longobardi.
Il complesso monastico originario si arricchì nei secoli successivi di nuove strutture architettoniche e testimonianze artistiche, fino a comprendere, oltre alla basilica longobarda di San Salvatore, l’oratorio romanico di Santa Maria in Solario, la cinquecentesca chiesa di Santa Giulia e i chiostri rinascimentali.
Il contesto architettonico possiede quindi un’intrinseca vocazione ad accogliere il Museo della Città, consentendo un continuum di rimandi che dai materiali esposti passa quasi naturalmente alla storia degli ambienti espositivi e viceversa.
Santa Giulia rappresenta un caso emblematico nel processo di cooperazione tra pubblico e privato che si sta sviluppando in Italia nel settore dei Beni Culturali.
La Fondazione CAB, in accordo con l’Amministrazione Comunale di Brescia, ha deciso di concentrare la sua attenzione sull’opera di valorizzazione e promozione del complesso museale, con un impegno qualificante che la rende vero e proprio partner del Comune fino al 2004.
Questa sinergia tra l’ente pubblico e il privato é singolare anche per le modalità con cui viene esplicitata, prevedendo una partecipazione attiva e costante della Fondazione sul piano decisionale ed organizzativo, attraverso una serie di comitati misti e paritetici tra il Comune di Brescia – Civici Musei d’Arte e Storia e la Fondazione CAB (comitati strategici e di comunicazione) e l’accordo di un paritario investimento da parte dei due partners.
Il progetto complessivo mira a riconsegnare definitivamente il complesso monumentale di Santa Giulia alla città, restituendo quello che è un po’ il simbolo di Brescia al riconoscimento e all’attenzione nazionali ed internazionali.
L’impegno della Fondazione è dunque notevole, non solo in termini finanziari – sette miliardi in virtù del primo accordo con il Comune di Brescia, ed ulteriori quattro miliardi per la valorizzazione del Museo e delle aree archeologiche sottostanti e adiacenti, che presto saranno parte integrante del percorso espositivo – ma anche soprattutto in termini di impegno umano e di professionalità.
Le finalità perseguite dalla Fondazione CAB sono ben esplicitate dalle parole del suo Presidente Alberto Folonari, che conferma come l’impegno assunto dalla Fondazione nei confronti dell’Amministrazione Comunale per il completamento dei lavori in Santa Giulia non si concretizzi solo in un contributo finanziario, “[…] ma signifìca far sorgere nella città l‘orgoglio per le sue bellezze artistiche e storiche, assegnarle in ambito nazionale ed internazionale la visibilità e il prestigio che la città e i suoi monumenti meritano, dotarla di quelle strutture che le permettano di assicurare ai suoi visitatori la comprensione di ciò che siamo stati e di quello che siamo divenuti.
Ecco perché siamo orgogliosi di aver contribuito alla rinascita di Santa Giulia: chi attraverserà le sale di questo Museo, chi si fermerà ad osservare i tanti materiali esposti, chi cercherà di seguire attraverso il ricco apparato didattico le trasformazioni della città, chi si perderà tra gli stucchi di San Salvatore e gli affreschi di Santa Maria in Solario, capirà la spiritualità di questa città e l‘importanza della sua storia.
Una storia che non dobbiamo smettere di studiare e di indagare e che, soprattutto in Santa Giulia, sa sempre sorprenderci: tante sono le continue, talvolta impensabili scoperte che questo luogo di sedimentazioni e di memorie sa offrirci.”

Contemporaneamente alle ultime fasi dei lavori di recupero architettonico del complesso monastico di Santa Giulia, veniva affidato agli architetti Giovanni Tortelli e Roberto Frassoni il compito di valutare, alla luce degli studi preliminari già esistenti, le reali potenzialità espositive degli spazi, la fluidità dei percorsi per il pubblico e la possibilità di incrementare la superficie destinata ai servizi museali.
La complessa articolazione degli ambienti, costruiti in epoche diverse e in parte privi dei collegamenti originari, rischiava infatti di penalizzare sensibilmente sia la continuità del percorso museale, costringendo il visitatore a percorsi tortuosi, sia la distribuzione dei materiali secondo le logiche dell’ordinamento.
Agli stessi architetti veniva successivamente affidato anche l’incarico di realizzare il progetto di allestimento museografico esecutivo, tenendo conto delle indicazioni della commissione scientifica sia in materia di ordinamento che di comunicazione didattica.
Lo studio degli spazi e dei percorsi ha determinato le scelte definitive riguardo l’ubicazione delle sezioni museali ed i relativi servizi, articolati intorno ai tre chiostri ed alle tre chiese dell’ex convento benedettino.
Un primo grande spazio dedicato all’accoglienza e all’orientamento del pubblico è ricavato nella manica orientale del chiostro piccolo; da qui si dipartono due percorsi principali: il primo guida verso le sezioni del Museo della Città, distribuito su tre piani secondo un criterio cronologico; il secondo consente di conoscere la storia del sito e del monastero e di orientare i visitatori verso le emergenze architettoniche monumentali e lo spazio dedicato al Tesoro, esposto nel sacello romanico di Santa Maria in Solaio.
Al piano terra, negli ambienti del refettorio minore, baricentrici all’intreccio dei percorsi, è stata aperta la libreria museale, proposta come libreria specialistica fruibile anche autonomamente rispetto al museo, mentre al primo piano è stata attrezzata una caffetteria che si affaccia sul futuro parco archeologico dell’ex ortaglia del convento.
L’allestimento, progettato secondo aggiornati indirizzi museografici, utilizza un linguaggio uniforme e costante che riprende, talvolta con manifeste citazioni, alcuni caratteri albiniani degli anni cinquanta. Al di là delle singole soluzioni formali, l’allestimento è pensato come sistema, tessuto connettivo del museo, e rappresenta il filo conduttore che guida il visitatore attraverso il percorso espositivo. Il risultato è un intervento misurato ma efficace nelle soluzioni, sensibile all’interpretazione dello spazio, che favorisce un dialogo continuo tra i reperti esposti e gli ambienti che li ospitano, scevro in ogni caso di gratuito protagonismo.
Il percorso, senza concedere nulla all’imitazione o alla simulazione, mira a trasmettere suggestioni e conoscenza. In alcuni casi, dove la natura e la tipologia dei reperti lo suggeriva, compatibilmente con il carattere degli spazi, traspare la volontà di evocare luoghi e situazioni vicini a quelli dei reperti frammentari esposti (sale dedicate al santuario repubblicano ed alle necropoli della sezione romana).
In quest’ottica va letta anche la collocazione, all’interno della chiesa di San Salvatore, delle lastre con pavone (residui frammenti in marmo di Proconneso di un arredo liturgico desideriano, forse un ambone), che l’allestimento pone a due terzi della navata centrale, in relazione con le colonne e gli stucchi degli archi coevi, recuperando il rapporto dialettico tra le diverse componenti dell’architettura longobarda.
In altri casi dove le opere, oltre all’elevata qualità artistica, esprimono una particolare valenza simbolica per la città (Vittoria alata, sarcofago dei martiri Faustino e Giovita, monumento al vescovo Bollani) l’allestimento contribuisce a coglierne il significato. Emblematica in tal senso è la scelta di esporre, con intenti quasi ostensivi, la grande croce di Desiderio nell’aula superiore di Santa Maria in Solario, chiesa torre costruita all’inizio del XII secolo per custodire il tesoro di reliquie donate dagli ultimi re longobardi.
Le scelte progettuali sono chiare, incisive e sempre coerenti, con un leit motiv rappresentato dai materiali e dal colore.
Le strutture espositive sono in ferro verniciato a polveri (utilizzato per i supporti a vista, per tutte le strutture che sostengono i fondali, per i basamenti e le paratie e per l’apparato didattico e didascalico), campito talvolta da pietra grigia di Sarnico (per i basamenti, per alcuni fondali e per i ripiani interni delle vetrine), e l’MDF verniciato (per le finiture delle pannellature applicate a tutte le strutture espositive).
La pietra di Sarnico, materiale della tradizione locale, stabilisce un importante equilibrio tra gli oggetti lapidei esposti, fisicamente pesanti, e la soluzione allestitiva; inoltre, grazie alla capacità di non riflettere la luce, la pietra si presta particolarmente ad essere utilizzata come elemento di paragone nei confronti dei pezzi esposti.
Le vetrine, uniformate in un linguaggio di grande pulizia formale, esprimono il loro carattere non attraverso le loro qualità intrinseche, ma ponendo in risalto l’allestimento interno; a questo scopo contribuisce anche l’assenza dei tradizionali ripiani, sostituiti da un nuovo sistema espositivo gradonato in pietra di Sarnico.
Il colore grigio bleu, che il visitatore ritrova unico e costante in tutto il percorso museale, dai supporti alle vetrine, dalle paratie ai fondali, dall’apparato didattico ai pannelli segnaletici, non entra in competizione con le cromie dei materiali esposti né con quelle dell’architettura che ospita il museo.
Anche l’illuminazione è stata studiata e diversificata in modo da porre all’attenzione del visitatore il contenuto e non l’allestimento, con una particolare attenzione alla più aggiornata tecnologia illuminotecnica, volta alla migliore conservazione del materiale esposto.
Sono state utilizzate luci diffuse per l’illuminazione d’ambiente delle sale e degli spazi museali, piccoli proiettori per l’illuminazione di alcuni reperti lapidei e fibre ottiche per l’interno delle vetrine, diversamente orientate a seconda del grado di illuminazione desiderato.
I corredi didattici predisposti lungo il percorso espositivo garantiscono al pubblico facilità di approccio e, soprattutto, autonomia di movimento in ogni settore del museo.
La modalità della comunicazione con il pubblico, bilingue e graficamente composta in forme estremamente pulite su pannelli e fondali, è stata pensata come componente fondamentale del progetto di allestimento, e si attua su due livelli: il primo, attraverso brevi testi di inquadramento, illustra i temi specifici documentati dai materiali esposti, il secondo, mediante didascalie ragionate, offre al visitatore uno strumento agevole per l’immediata comprensione dei singoli reperti.
Il complesso di Santa Giulia, stratificazione millenaria di memorie urbane, consente la contemporanea musealizzazione di reperti e siti di grande importanza storica e archeologica, in parte ancora da studiare e valorizzare. Il progetto contempla infatti una continuità d’indagine e d’intervento nel sito su cui insiste il museo; in particolare,è in programma a breve termine il recupero, la valorizzazione e finalmente l’apertura al pubblico di due domus di età romana (con mosaici ed affreschi di eccezionale qualità) rinvenute nell’area dell’ex ortaglia del monastero.

Santa Maria in Solario
Nell’ambito del progetto di allestimento museale l’oratorio di Santa Maria in Solario assume un ruolo strategico perché è concepito come una sorta di scrigno architettonico per la conservazione e l’esposizione del Tesoro del museo, che il visitatore incontra al termine della sezione museale relativa alla storia del sito e del monastero.
L’edificio, risalente alla fase di ristrutturazione bassomedioevale del monastero, a pianta quadrata e di forme romaniche, è inglobato nel complesso monastico e si affaccia con il lato meridionale su via Musei. La struttura è realizzata con conci squadrati di medolo e frammenti di lapidi romane di reimpiego; le pareti occidentale, settentrionale e orientale sono lisce, mentre la parete meridionale su via Musei è scompartita da lesene e decorata nella parte superiore da archetti pensili.
La costruzione, su due piani, è coronata da un tiburio ottagonale dotato di una loggetta di archetti retti da pilastrini e colonnine, in parte risalenti ai secoli VIII e IX, probabilmente provenienti da una fase precedente del monastero e reimpiegati nella nuova costruzione.
Alcuni oggetti liturgici e devozionali costituenti il Tesoro sono conservati al piano inferiore.
Il sacello si presenta come un ambiente a pianta quadrata, le cui pareti sono plasticamente definite da paraste e dalle membrature di quattro volte a crocera rette da un’ara romana reimpiegata con funzione di pilastro centrale, che porta incisa un’iscrizione dedicata al dio Sole.
Nel 1999, nel corso dei lavori di sistemazione del sacello in vista dell’allestimento, alcune incongruenze evidenti nella struttura, quali, ad esempio, la mancanza dei basamenti delle paraste sulle pareti laterali, hanno indotto a compiere alcuni saggi sotto la pavimentazione esistente.
In seguito ai primi incoraggianti risultati, si è proceduto alla rimozione del pavimento in cotto e si è scavato fino a recuperare la quota medioevale, purtroppo priva della pavimentazione originaria, rimettendo in luce i basamenti delle paraste e ripristinando le corrette proporzioni dell’aula.
E’ stata quindi posata la nuova pavimentazione, che si configura come una sorta di pedana realizzata con una maglia di tubolari in acciaio su cui sono posate lastre rettangolari in pietra di Sarnico, mantenuta distante dalle murature perimetrali di circa dieci centimetri in modo da porre in vista e sottolineare i basamenti riportati alla luce.
In quest’ambientazione suggestiva sono esposti pochi reperti, con un allestimento che non invade ma enfatizza l’architettura circostante: oltre al cosiddetto “fregio abitato” marmoreo, allestito su una pedana in pietra di Sarnico e ferro, sono state posizionate due teche climatizzate in cui si conservano la lipsanoteca in avorio e la crocetta di Sant’Elena; l’illuminazione d’ambiente è studiata in modo tale da conservare la penombra caratteristica del sacello; le scelte dell’allestimento, per materiali e colore, si pongono in continuità con quanto già realizzato nelle altre sezioni del museo della Città.
L’aula superiore, a cui si accedeva da una ripida scaletta interna, è costituita da un ampio locale dotato di tre absidi ricavati nello spessore della parete, interamente decorata con affreschi che narrano storie di santi, realizzati tra il 1513 e il 1525 ad opera di Floriano Ferramola e della sua bottega.
La cupola emisferica, raccordata alle pareti con pennacchi, è affrescata con un firmamento a sfondo blu cobalto, in cui le stelle convergono al centro, dove è raffigurato Dio benedicente.
Il progetto di allestimento ha collocato al centro di questo ambiente prestigioso un unico elemento, l’oggetto più prezioso del Tesoro del monastero, la Croce di Desiderio, ormai diventata, insieme alla Vittoria Alata, uno dei simboli della città.
Quest’oggetto liturgico di grandi dimensioni, tempestato di pietre lisce, incise o scolpite, e di paste vitree, è esposto in una teca climatizzata e allarmata, un semplicissimo parallelepipedo di cristallo sormontato da un cielo in metallo verniciato di colore grigio-blu che valorizza la Croce senza entrare in competizione con il ricco apparato decorativo dell’oratorio.
Attualmente è in fase di realizzazione, nel vano ad ovest dell’oratorio, una nuova scala che sostituirà quella esistente e che consentirà il collegamento verticale tra il piano del chiostro, l’aula superiore di Santa Maria in Solario e la loggia al primo piano del monastero; la scala sarà affiancata da un ascensore che garantirà l’accesso anche ai portatori di handicap.

Storia del progetto
I primi scavi del 1967-70 in adiacenza alle strutture monastiche, nell’Ortaglia delle monache di Santa Giulia, avevano restituito alcuni vani completi (circa 400 mq) in seguito protetti con una copertura “provvisoria”in ferro, legno e laterizio, chiusa perimetralmente da una vetrata continua con sistema u-glass.
Altri vani scavati solo parzialmente, esterni al perimetro della copertura, vennero invece rinterrati.
A distanza di trent’anni questa prima struttura di protezione, molto modesta dal punto di vista architettonico-funzionale e non certo pensata per una fruibilità pubblica, presentava preoccupanti segni di degrado, con colaticci di ruggine lungo le travi ed i pilastri ed infiltrazioni d’acqua dal tetto e dalle pareti.
I danni erano aggravati dal pessimo microclima interno, con alte temperatura ed altissima percentuale di umidità da condensa, in primavera ed in estate, dovuti in particolare alla chiusura perimetrale vetrata ed alla totale assenza di impianti di aerazione.
A ciò si deve aggiungere l’azione deleteria della luce naturale diretta sugli intonaci dipinti.
Preliminarmente alla definizione di un progetto museografico-allestitivo ed architettonico in estensione del Museo della Città, per il quale erano ormai maturate le convinzioni e le condizioni, si ritenne quindi necessaria una ulteriore campagna di scavo, se non altro per recuperare almeno i vani già parzialmente individuati nel ’67 e verificare quale contributo potessero dare ad una restituzione più comprensibile dell’impianto costruttivo.
Un primo saggio effettuato nell’inverno 2000 ha dato risultati molto incoraggianti, tali da programmare una ripresa sistematica degli scavi, avviati il 22 agosto 2001.
L’entità e l’importanza dei ritrovamenti ha convinto ad estendere ulteriormente la superficie di scavo, ampliando l’area di cantiere e proteggendola temporaneamente con una grande tettoia metallica, ad unica campata senza montanti intermedi, in modo da poter continuare le indagini ed attuare i primi interventi di consolidamento anche in situazioni meteorologiche avverse.
L’area messa in luce ha così raggiunto 1100 mq circa, con oltre 40 vani residenziali pertinenti due Domus contigue quasi complete, ben definibili distributivamente e tipologicamente.
Dirigendo il cantiere di scavo è stato possibile seguire passo passo le operazioni di liberazione dei vani e in base ai livelli, alle dimensioni e alla consistenza delle strutture murarie emerse, individuare già in corso d’opera, con la Direzione Scientifica, i confini dell’intervento e le prime ipotesi volumetriche e funzionali della definitiva struttura di protezione.
La comprensione di aspetti distributivi e tipologici man mano che lo scavo proseguiva ha favorito l’idea di un percorso di visita volto a facilitare la lettura dell’impianto generale, della successione dei vani e delle loro relazioni architettoniche e funzionali.
La qualità e la rarità delle testimonianze archeologiche dell’Ortaglia, con la quasi completezza di dati architettonici e distributivi, hanno quindi orientato in maniera decisiva le scelte progettuali di base, rivolte certamente alla protezione ed alla conservazione degli elementi strutturali e decorativi, ma anche finalizzate allo studio, alla fruizione ed alla comunicazione didattico-scientifica e quindi alla musealizzazione del sito.
Affrontarne le soluzioni progettuali ha significato in primo luogo pensare ad un nuovo volume di copertura e protezione dei resti romani, da edificare a ridosso delle strutture monastiche antiche, pensato però in funzione e continuità con il Museo, portando quindi all’esterno, amplificandoli, i caratteri linguistici e materici propri dell’allestimento museale.
Una scelta quindi non dettata solo da soluzioni impiantistiche o strutturali, ma un’attenta meditazione sul significato del recupero di una porzione della città antica proprio nel luogo stesso in cui la città contemporanea, con la realizzazione del Museo, ha scelto come leggere in modo nuovo la sua storia.
Il nuovo volume, dalla geometria essenziale, è in pietra arenaria grigia, quella stessa pietra di cui sono lastricate le strade ed i cortili dei palazzi sorti sui resti della città romana, con un’ossatura strutturale ed una foderatura interna in acciaio.
Questi due elementi diversamente impiegati all’interno ed all’esterno, legano inequivocabilmente il progetto all’immagine consolidata del Museo che esce quindi dagli spazi monastici di Santa Giulia e si pone direttamente a confronto con la città.
A questo vuole contribuire anche il sistema di copertura del tetto, piano, foderato di tappeto erboso, con un disegno in lastre di pietra grigia che recupera, in scala al vero, la pianta del sito archeologico e ne consente la riconoscibilità anche nelle viste aeree.
L’interno è fortemente caratterizzato dall’uniformità materica e cromatica di pareti e soffitti, che annulla la percezione geometrica dello spazio e favorisce il concentrarsi dell’attenzione sui resti archeologici.
Alternate a spazi dedicati alla comunicazione didattica e all’esposizione di reperti mobili rinvenuti in scavo, un sistema di percorsi sopraelevati, anch’essi in acciaio e pietra, in quota con il piano di calpestio del museo, consentono un affaccio diretto sul sito, con una lettura immediata della sequenza distributiva e funzionale dei vani e degli apparati decorativi ad affresco ed a mosaico.



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