Rualis di Cividale, nuova Chiesa di San Lorenzo Martire

Da sempre l’uomo progetta e costruisce i propri luoghi di preghiera. Non è un caso che molti dei monumenti millenari giunti fino a noi siano templi e chiese: la cura con la quale, in ogni epoca, si sono disegnati e costruiti edifici sacri è sempre stata proporzionale all’importanza attribuita alla religione stessa. Una chiesa, come pure un tempio, una moschea, una sinagoga, è il luogo privilegiato nel quale da un lato si può entrare in comunione con il divino, e dall’altro ci si riunisce riconoscendosi e distinguendosi come appartenenti a una determinata fede. La progettazione di una chiesa di gloriosa committenza rappresenta spesso la summa dell’attività professionale di un architetto.
Nel corso dei secoli anche l’architettura sacra ha seguito le tendenze ad essa contemporanee, mantenendo però sempre presenti determinati fattori, quali un certo decoro, una suddivisione codificata degli spazi, un certo impiego della luce, che fanno delle chiese di ogni epoca luoghi riconoscibili entro i quali ritrovare il senso del raccoglimento e del sacro.
Questo almeno fino agli ultimi decenni. Con il Concilio Vaticano II si è dato avvio ad un importante cambiamento dove la liturgia e quindi l’edificio sono divenuti oggetto di sperimentazione al fine di avvicinarsi alla sensibilità e alle esigenze di una società “moderna”. Purtroppo nella maggior parte dei casi le nuove chiese si sono svincolate dalla propria funzionalità originaria rischiando così, nei casi migliori, di diventare “semplicemente” opere di qualità estetica elevata, e, nei peggiori, edifici brutti, simili a qualunque cosa, da magazzini a palestre, tranne che a chiese. C’è chi parla a questo proposito di architettura per architetti, ossia a tal punto carica delle concezioni estetiche, delle simbologie e delle mitologie proprie del progettista, da divenire leggibile solo per lui.
Se quindi nella realizzazione di nuove chiese, alle quali si richiede di essere moderne, è venuto spesso a mancare l’elemento fondamentale, ovvero il rispetto per la funzione d’uso, particolare rilevanza assumono i lavori di quegli architetti che, abbandonando una concezione autoreferente, abbiano saputo restituire a questi luoghi la propria sacralità.
È questo il caso della nuova aula liturgica di San Lorenzo Martire costruita a Rualis, a pochi passi da Cividale del Friuli: nata come intervento di ampliamento della preesistente chiesa di Santo Stefano, è riuscita nell’intento di coniugare etica, estetica e dialettica, divenendo un punto di riferimento per il piccolo centro che la ospita.
Se il merito di questo successo va diviso tra una pluralità di fattori, è certo che buona parte vada riconosciuta all’efficacia del progetto, concepito e portato avanti dall’architetto Sandro Pittini, titolare dal 1990 di uno studio professionale che si occupa prevalentemente di progettazione di edifici e luoghi pubblici, con particolare attenzione per i temi attinenti il sacro. L’esperienza maturata nel settore è figlia di una personale quanto lineare concezione dell’architettura: essa esiste in quanto espressione di un’idea di spazio, e lo spazio è la progettazione di un interno. Questa, a sua volta, consiste nella definizione di una stanza, per quanto grande possa essere: dalla scala del paesaggio alle dimensioni minute di un alloggio. La questione essenziale nel progetto in architettura diventa allora individuare il “tema” attorno al quale far nascere e costruire la stanza, poiché saranno il tema, e la fedeltà del progetto ad esso, a determinare la coerenza interna dell’opera, e quindi la sua riuscita. Nel caso di una chiesa, il tema progettuale non può che essere quello di rendere possibile la presenza del sacro attraverso la materialità dell’architettura, dimensione di per se stessa trascendentale, sulla quale è cioè necessario lavorare per evocazioni.
L’architetto Pittini ha scelto di rimettere al centro del luogo di culto la presenza del divino e la comunione dell’uomo con Dio. Una volta definito il tema che avrebbe supportato e guidato l’intero progetto, ci si è trovati di fronte alla questione, già sopra accennata, delle dimensioni: la nuova aula liturgica, con annessi aula polifunzionale e ufficio parrocchiale, era infatti prevista come ampliamento di un complesso già presente, costituito dalla chiesa di Santo Stefano e dalla casa canonica, a loro volta inseriti nel contesto urbano del paese.
Non volendo snaturare il carattere del luogo si è scelto di dar vita a nuovi edifici che, anziché sovvertire il ruolo e l’importanza di quelli preesistenti, li integrassero in modo proficuo, valorizzandoli e valorizzandosi al loro fianco. Come sottolinea l’architetto Pittini, si è voluto evitare ciò che è accaduto in molti altri casi analoghi, quando la progettazione di nuove chiese fin troppo maestose a fianco delle precedenti ha finito per scompaginare l’equilibrio tra le due, risolvendosi in un fallimento. Per questo a Rualis molta attenzione è stata posta anche nella ripartizione dei luoghi e delle funzioni: il tabernacolo, ad esempio, è rimasto nella chiesa esistente, mentre nella nuova aula liturgica si è collocata la sola custodia eucaristica; viceversa, il fonte battesimale esistente ha trovato nella nuova chiesa la sua collocazione definitiva all’interno di una apposita cappella.
La chiesa di San Lorenzo è stata collocata a fianco dell’altra, in modo da costituire il punto finale di un percorso che parte dal sagrato esistente e attraversa quello nuovo, creando una sorta di corte interclusa, una stanza a cielo aperto, attorno alla quale si dispongono tutte le funzioni parrocchiali.
Si ha quindi, tra le due aule liturgiche, uno spazio vetrato che le connette, tramite l’ambiente comune della sacrestia, in una composizione dei fuochi liturgici che vede i due presbiteri in stretta relazione tra loro. Al fine di evitare una sovrapposizione di segni, ma al contrario valorizzandoli, integrando nel progetto quelli esistenti, si è deciso di non dare alla nuova chiesa una facciata, ma di definirla solo grazie ai propri volumi: le pareti, lineari ed essenziali, e la calotta superiore che ne costituisce la copertura.
Tutto il progetto è stato giocato su misurati contrasti tra luce e oscurità, tra duro e morbido, per enfatizzare la distinzione tra il fuori, quindi in certo senso la vita quotidiana, e il dentro, il luogo dell’incontro e il colloquio col divino, dove la dispersione dell’esterno lascia il posto al raccoglimento.
Linee pure e geometrie razionali disegnano una pianta ovale che, vista dall’esterno, ricorda vagamente un’arca, imbarcazione salvifica e simbolo dell’alleanza di Dio con il suo popolo; a nord-est, in direzione del parco, un portale in legno recupera il disegno rigoroso di certe chiesette votive frequenti nel paesaggio friulano.
La parte superiore di copertura della nuova aula, infine, dove inizialmente era stata prevista una soluzione a doppia falda, torna anch’essa alla forma curva, rinforzando l’immagine di uno spazio ovale disegnato per avvolgere, contenere e proteggere i fedeli.
La calotta di copertura si apre per accogliere la luce del sole, che l’architetto ha utilizzato come vero elemento progettuale: lo spazio viene definito dai fiotti di luce che, entrando dal soffitto, sottolineano ed esaltano l’area del presbiterio e la piccola cappella entro la quale è ospitato il fonte battesimale. La luce accoglie quindi chi si reca nella chiesa a pregare e a partecipare alle funzioni. I fedeli sono circondati dalla luce divina che, creando un benefico senso di appartenenza, si fonde nei materiali utilizzati – il cotto, il legno – e convoglia lo sguardo alla grande croce in cemento armato che presiede sia la struttura architettonica che quella religiosa, indirizzando l’assemblea verso l’altare. In opposizione a questo calore interno, l’esterno vuole invece ricordare un guscio, una dura corteccia capace di proteggere e di comunicare forza e durata nel tempo.
Perché la nuova chiesa potesse inserirsi nel contesto urbano di Rualis, dando l’impressione di continuità, era necessario che il suo aspetto esterno mostrasse di appartenere al “lungo tempo”, a una tradizione. Ecco dunque motivate la scelta della pietra, del cemento e soprattutto dello zinco-titanio zintek® per la copertura dell’intero edificio: materiali capaci di durare, trasmettendo l’appartenenza a un tempo superiore a quello del singolo, che diviene il tempo dell’umanità mutevole che della chiesa farà il proprio tempio.

Lo zintek®
In un primo momento la copertura era stata pensata in piombo, per indicare, in accordo con il tema progettuale, il concetto fondamentale di durata.
Per diverse ragioni l’idea è stata abbandonata, e il piombo sostituito con il laminato in zinco-titanio zintek® equivalente da un punto di vista cromatico. Questo perché, come ricorda anche l’architetto Pittini, tale materiale al momento della posa presenta già un aspetto che mostra di appartenere al tempo lungo di cui si diceva sopra. Inoltre lo zintek® prepatinato non riflette la luce, ma la assorbe: l’effetto finale non è quindi squillante, ma di sommesso, armonioso accordo con le superfici circostanti.
Lo zintek® è dunque capace di sostituirsi al piombo mantenendo le suggestioni figurative di quest’ultimo, di cui è, in un certo senso, l’evoluzione tecnologica, grazie alla compatibilità ambientale, alla praticità d’uso, all’estrema malleabilità e al fatto di non necessitare di manutenzione.
La compatta, elegante copertura in zintek® eredita così il compito di rappresentare la resistenza e la durata nel tempo, quella “trasfigurazione dei materiali nel sacro” che costituisce una delle linee portanti del progetto.
Geometricamente impeccabile, cromaticamente pacata, integrata con le costruzioni circostanti a formare un’unità di forme e contenuti, la nuova chiesa di San Lorenzo fa già parte della storia del paese di Rualis. La si può dunque considerare un’opera riuscita, nonostante l’assenza di imponenza e grandiosità. Riuscita in quanto rispetta appieno il tema progettuale fissato fin dall’inizio. Tutte le sue parti, dal disegno alla posizione, dai materiali alla definizione degli interni, si dispongono con coerenza al servizio dell’obiettivo principale, che è quello di restituire ai fedeli non una vuota scatola preziosa, ma un luogo, reale, nel quale riscoprire la vicinanza con il divino e con la propria fede.
In parole povere una chiesa, non un monumento: una presenza viva destinata a essere riempita, percorsa, popolata dei sentimenti e delle preghiere della sua comunità. E solo così, paradossalmente, potrà forse un giorno diventare davvero un monumento, inserito in quella tradizione della quale già oggi, a pochi mesi dalla sua nascita, è un elemento insostituibile.



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