Cà della Nave

L’ex fattoria di Villa Grimani Morosini di Martellago detta Ca’ della Nave, nuova sede della Banca Santo Stefano, doveva accogliere uffici, spazi commerciali, museali, una sala convegni, un ristorante e un parcheggio interrato.
L’idea era quella di ricucire il rapporto con il paese riconfigurando il vuoto urbano della corte interna il cui pregio derivava dalla molteplicità dei caratteri architettonici dei manufatti che su di essa prospettavano.
Era essenziale, riportando alla luce il valore di quei luoghi, preservarne la ruralità in quanto esempio di costruzione protoindustriale in cui è utilizzato il cemento armato con tamponamenti di laterizio.
Il progetto non ha cercato compromessi o mediazioni: si è scelto di preservare e consolidare filologicamente, anche a costo di sofisticate soluzioni tecnologiche, ma anche di rendere l’intervento contemporaneo riconoscibile e autonomo, per accrescere l’interesse per il preesistente e la riscoperta dell’intero complesso.
Sono stati adottati materiali nobili e poveri, ma tutti con la prerogativa della durevolezza per evitare di intervenire su un edificio antico con materiali o strutture destinate a degradarsi in breve tempo, rivolgendosi spesso alla cultura veneta: dai tenui marmorini interni e esterni, al terrazzo alla veneziana. Il sagrato dell’oratorio è stato assorbito dal marciapiede pubblico; da una mappa storica si è appreso che risultava delimitato da colonne a emiciclo, uguali alle 2 di pietra d’Istria rimaste ai lati della facciata, con una sfera di trachite a loro protezione.
È stata riproposta la stessa configurazione, stilizzandola. L’interno dell’oratorio del XVIsec. in un avanzato stato di degrado, mostrava la sobrietà di un’architettura classica. È stata effettuata la revisione e la pulitura a mano di altari, balaustre e statue lapidee, e realizzato il riscaldamento a pavimento previo lo smontaggio e ripristino dei quadri di marmo.
Il fregio continuo della trabeazione di stucco è stato sottoposto a restauro conservativo con la tecnica dello spolvero e dipintura con tempera a secco: tecnica e pigmentazione rispettano quelle originali, ma con un leggero abbassamento di tono. Il controsoffitto di cantinelle è stato ricostruito con la stessa tecnica e materiali di un tempo. A finitura è stato realizzato l’intonaco con grezzo in cocciopesto e stabilitura a finire in malta di calce spenta. Il marmorino delle pareti è stato restaurato con tecniche tradizionali.
Specifiche esigenze funzionali sono state risolte con interventi diventati a loro volta preziosi oggetti architettonici, come il tunnel e il cilindro di vetro, studiati in funzione della leggibilità del manufatto esistente.
La cura del particolare fornisce il “valore aggiunto” e in quest’ottica il singolo pezzo di arredo o di dettaglio va inteso come parte integrante di tutto l’organismo cui contribuisce a dare unità. L’innovazione non svolge un ruolo dominante o fine a se stesso, ma è a servizio del vecchio edificio e lo aiuta a riempirsi di nuovi significati.

Il complesso
La Banca Santo Stefano indice nel 2006 il concorso a inviti per la sua nuova sede all’interno dell’ex fattoria di Villa Grimani Morosini di Martellago detta Ca’ della Nave. I manufatti storici dovevano accogliere uffici, spazi commerciali, museali, una sala convegni, un ristorante e un parcheggio interrato. Doveva inoltre ricucire il rapporto con il paese riconfigurando il vuoto urbano della corte il cui pregio derivava dalla molteplicità dei caratteri architettonici dei manufatti che su di esso prospettavano e che non erano espressamente vincolati, a eccezione dell’oratorio e dell’ala ovest. Alla Soprintendenza premeva comunque salvaguardare l’aspetto globale, riportare alla luce il valore di quei luoghi per Martellago, preservare la ruralità e mostrare la bellezza di uno dei primi esempi di costruzione protoindustriale in cui è utilizzato il cemento armato con tamponamenti di laterizio. Il progetto che comprende il restauro dell’oratorio della villa, mirava a un’unità armonica di luoghi di architettura e paesaggio all’interno della corte, un hortus conclusus o giardino delle delizie in cui coesistono pezzi di storia accanto ad altri oggetti architettonici che non nascondono la loro contemporaneità in un succedersi di corti con scenari differenti, di pavimentazioni di pietra, di passerelle sull’acqua e di tavolati.
Il restauro filologico: tecniche e materiali
È stato restaurato, o semplicemente risanato, tutto ciò che poteva avere valore dal punto di vista artistico, storico o tecnologico, procedendo, demolite le superfetazioni, con un restauro filologico per la porzione vincolata –chiesa e ala est-, ma recuperando anche tecniche costruttive e materiali a prescindere dal vincolo, per tutelare ambienti o suggestioni. Sono stati adottati materiali nobili e poveri, ma tutti con la prerogativa della durevolezza, per evitare di confrontarsi con un edificio antico con materiali o strutture che invecchiano male, perché destinate a degradarsi in breve tempo. Per strumenti e materiali spesso ci si è rivolti alla cultura veneta: dai tenui marmorini interni e esterni, al terrazzo alla veneziana. Il decoro è una conseguenza di una ricercata applicazione dei materiali, come l’inserimento di tessere di marmo nel terrazzo o la diversa orditura di posa del tavolato di rovere.
In una stanza dell’ala est il solaio con un doppio ordine di travature di cemento del 1950 circa non soddisfaceva le normative vigenti, anziché demolirlo si è consolidato con una fasciatura in fibra di carbonio, per preservare il carattere che l’imponente sistema di travature conferiva all’ambiente e che così fortemente lo connotava. Così è stata restaurata anche la struttura di volterranee di un altro manufatto, sgravandola dal peso del solaio soprastante (ricostruito con struttura metallica che ora poggia sulle pareti perimetrali).

L’oratorio e il sagrato
L’ emergenza del prospetto dell’oratorio e il sagrato erano state assorbite dal marciapiede pubblico e si erano uniformate grazie al verde infestante alla cortina muraria. Da una mappa storica si è appreso che il sagrato risultava delimitato da colonne a emiciclo, uguali alle due di pietra d’Istria rimaste ai lati della facciata, con una sfera di trachite a loro protezione. È stata riproposta la stessa configurazione, collocando cilindri stilizzati che ricordano le colonne originarie. Complessivamente l’interno dell’oratorio, del XVIsec., in un avanzato stato di degrado, mostrava la sobrietà di un’architettura classica. È stata effettuata la revisione e la pulitura a mano di altari, balaustre e statue lapidee. I corpi scaldanti, troppo invasivi e poco rispettosi se a vista, sono stati posti a pavimento, in seguito alla rimozione dei quadri di marmo rosso di Verona e Verdello di Asiago poi ripristinati. Il fregio continuo della trabeazione di stucco è stato sottoposto a restauro conservativo tramite le operazioni di pulitura, consolidamento e ritocco dell’esistente, con la tecnica dello spolvero e dipintura con tempera a secco: tecnica e pigmentazione rispettano quelle originali, ma con un leggero abbassamento di tono. Il controsoffitto, originariamente di cantinelle (di abete tagliate a trapezio), è stato ricostruito con la stessa tecnica e materiali di un tempo anche con il ripristino e la ricostruzione delle centine curve per il fissaggio delle cantinelle. A finitura è stato realizzato l’intonaco con grezzo in cocciopesto e stabilitura a finire in malta di calce spenta. Il marmorino delle superfici verticali è stato riscoperto sotto vari strati di tinteggiature e restaurato con tecniche tradizionali, integrando lacune e mancanze con impasti realizzati esclusivamente in cantiere secondo le antiche ricette con materiali vagliati, selezionati e stagionati.
Intervenire in continuità con l’esistente
Un nuovo muro di trachite bocciardata e levigata è stato eretto sul sedime della vecchia cortina muraria e con la stessa altezza della recinzione esistente. Il progetto della nuova costruzione ha volutamente adottato un linguaggio architettonico astratto ed essenziale, in cui la semplicità del prospetto meglio si rapporta con l’articolazione e l’abbondante varietà delle facciate dei manufatti esistenti costituiti da blocchi che un tempo avevano precise destinazioni e che mostrano nella fisicità i tratti specifici della loro identità e funzione, cambiando registri e tecniche costruttive in relazione all’uso. L’omogenea superficie di mattoni del nuovo muro a 5 teste non si interrompe nemmeno in corrispondenza delle aperture, trasformandosi piuttosto in un grigliato. Si ripropone in chiave contemporanea la tradizionale “gelosia”, presente nel resto dell’edificio, utilizzando i mattoni interi anziché le “mezze”. L’apertura verso sud diventa un segno progettuale forte proprio in rapporto al tema dell’affaccio sul resto del paese. I due alti setti di mattoni faccia a vista, costruiti in continuità con l’edificio retrostante, imprimono una chiara direzionalità al percorso e invitano all’ingresso.

Interventi contemporanei puntuali
Per risolvere invece problemi inconciliabili con normative, leggi statiche o specifiche esigenze funzionali e distributive si sono realizzati interventi puntuali che assumono valore, diventando a loro volta preziosi oggetti architettonici. Il progetto architettonico non mira a trovare compromessi o mediazioni: si è scelto di preservare e consolidare filologicamente dove possibile, anche a costo di sofisticate soluzioni tecnologiche, ma anche di rendere l’intervento contemporaneo riconoscibile, perché godesse di una sua autonomia e contribuisse a far crescere l’interesse per il preesistente, e per la riscoperta dell’intero complesso.

Il tunnel e il cilindro vetrato
Così il tunnel di vetro è stato studiato in funzione della leggibilità del manufatto esistente, la cui visione non viene impedita, scoraggiata o prevaricata, ma si offre la possibilità di vedere la facciata da vicino, di farne un’esperienza tattile e di instaurare con la corte un nuovo rapporto visivo. Il solaio del vano che avrebbe ospitato la sala convegni al primo piano non era in grado di supportare i carichi previsti e doveva essere consolidato. È stato quindi costruito un nuovo solaio metallico, posizionato, ma non appoggiato, sopra quello esistente e le cui putrelle, prolungate al di fuori dell’edificio, costituiscono anche la struttura portante del tunnel. A esse sono state fissate le centinature curve che sorreggono le vetrazioni, rendendo il tunnel una mensola e facendo assorbire tutte le sollecitazioni dal nuovo solaio, sgravando così la struttura dell’edificio esistente. Le centine sostengono vetro camera curvi suddivisi in 3 settori. Il vetro inferiore bianco latte cela impianti di climatizzazione, illuminazione e struttura portante. Infatti il tunnel agganciato alla facciata per 34m e aereo per un tratto di 7m, trasparente e perciò leggero quanto meno alla vista, attraversa i diversi registri architettonici della facciata, divenendo la soluzione a problemi di ordine distributivo e normativo: preserva la visibilità delle trame che non devono essere più tamponate dal serramento, rappresenta l’uscita di sicurezza per l’auditorium, senza sottrarre ulteriore spazio interno, diventa di notte una lampada continua a bassa intensità, garantisce all’interno dell’organismo, almeno ai piani superiori, la continuità del percorso climatizzato migliorando il comfort dei locali su cui gravita, e, in quanto loggiato, determina un passaggio protetto esterno e una protezione per il registro inferiore della facciata abbondantemente vetrata.
Allo stesso modo il vincolo della porzione a 3 piani si è trasformato in uno stimolo compositivo indirizzando la scelta per la collocazione del vano scala in un elemento puntuale estraneo per forma e materiali, estromesso, vetrato e perciò visivamente permeabile che contiene anche l’ascensore, un fantasma minimalista, e non compromette l’interno dell’edificio. Lo spazio è stato studiato e razionalizzato per contenere le misure dell’intero corpo scale, per non renderlo troppo impattante rispetto alla facciata storica.

L’eterogeneità dei caratteri
Ca’ della Nave ha il pregio di mostrare un catalogo di scenari interni molto articolato, vera ricchezza dell’edificio. Non si è cercato di ricomporre l’unitarietà e la continuità degli ambienti ma si è esaltata la loro eterogeneità attraverso il concepimento di percorsi che danno la possibilità di apprezzare l’articolazione degli spazi in successione. In particolare, il progetto rispetta le diverse forme che la luce assumeva già nell’edificio antico, quando penetrava dai montanti asimmetrici delle vetrate o dai grigliati, enfatizzando le suggestioni luminose e la diffusione in modi disparati della luce naturale, intendendola come manifestazione a sé stante.
La progettazione del nuovo è stata animata da una continua ricerca e sperimentazione che nel dettaglio ha trovato un ulteriore mezzo per fornire il “valore aggiunto” di ogni progetto di restauro. In quest’ottica il singolo pezzo di arredo o di dettaglio deve essere inteso non come un frammento a sé stante, ma come parte integrante di tutto l’organismo cui contribuisce a dare unità. L’innovazione non svolge un ruolo dominante o fine a se stesso, ma è a servizio del vecchio edificio e lo aiuta a riempirsi di nuovi significati. Non essendo un edificio di particolari pregi architettonici, la novità tecnologica o l’inserimento di nuove forme non stridono con l’intervento di restauro, e, in alcuni casi, l’arredo fisso si è rivelato indispensabile, anche ai fini pratici di ottimizzazione degli spazi. Percorrendo l’edificio compare via via un raffinato catalogo di pezzi unici, dalla fontana ai mobili delle accettazioni, dai tavoli alle lampade interne e ai lampioni esterni, fino ai cestini. Pezzi concepiti per questo progetto – alcuni dei quali destinati alla futura produzione seriale – che hanno radici nella ricerca della semplicità e nella razionalità e che risultano espressione di una spiccata artigianalità.

Il Rovere
In Ca’ della Nave il legno rovere, nella sala consiglio, è stato impiegato per la boiserie di rivestimento della parete concava, in cui fascette d’acciaio interrompono la superficie di legno rimarcandone l’orizzontalità del paramento. Il tavolo è originato da un profilo di 10 centimetri che si stacca obliquo da terra per piegarsi diventando il piano di lavoro orizzontale con una superficie liscia e continuativa, ma che nasconde porta oggetti e schermi a scomparsa. I piani con spigoli smussati mostrano pulizia formale, ma anche elevata robustezza, apprezzabile anche nella precisione degli incastri. Il pavimento è in rovere, come il controsoffitto che, nelle sue forme, riprende gli andamenti concavi del tavolo e della pavimentazione. Anche la scala, posizionata e ideata come se si insinuasse in una piega della parete concava, assume una forma plastica, quasi organica. La scala è data dalla sovrapposizione di sezioni di legno sempre diverse e sempre più sporgenti di essenze di due colori (rovere naturale e scuro), che quando fuoriescono maggiormente vanno a costituire le pedate dei gradini. Molto spesso le pavimentazioni di legno sono caratterizzate da diverse orditure di posa del tavolato bisellato di rovere. Infine il rovere, in più tonalità, è stato lavorato da solo o con altri materiali come la trachite, il vetro o la pelle che con intarsi o per semplice accostamento completano le forme e impreziosiscono ulteriormente l’oggetto dell’arredo, la tecnologia integrata all’avanguardia accordano a questo materiale, ampiamente in uso fin dall’antichità, la capacità di dialogare con qualsiasi contesto e di rispondere a requisiti ed esigenze precise con altrettanto puntuali soluzioni tecnologiche o di dettaglio.

Progetto vincitore del premio US Award 2011 nella categoria legno Wood@Work
Cà della Nave ha vinto il primo premio della sezione legno del concorso US Award 2011. US Award è un importante concorso bandito annualmente dalla rivista US Ufficio Stile del Gruppo Sole 24 Ore sul tema dell’architettura e dell’interior design degli ambienti di lavoro. L’AHEC ha sponsorizzato la categoria “wood at work” del concorso.

Quercia bianca americana (American white oak)
Il white oak è simile per colore e aspetto alla quercia europea. L’alburno dell’American white oak è chiaro e il durame va dal marroncino al marrone scuro. Il white oak è a fibra piuttosto diritta con venature più o meno marcate (da medie a grosse) e raggi midollari più lunghi rispetto al red oak. Il white oak ha quindi un disegno più ricco.
Diffuso in tutti gli Stati Uniti orientali. Il gruppo delle querce bianche comprende molte specie, di cui circa otto sono commercializzate.
Legno duro e pesante, con resistenza media alla curvatura e alla compressione, di scarsa rigidezza, molto buono per la curvatura a vapore. Il Southern white oak cresce più rapidamente con anelli di crescita più larghi, e tende a essere più duro e più pesante.
Il white oak si lavora bene, ha una buona tenuta ai chiodi e alle viti anche se è consigliata la pre-alesatura. Poiché reagisce con il ferro, si raccomanda l’uso di chiodi zincati. Le sue capacità di tenuta alla colla sono variabili, mentre può venire trattato con mordenti e impregnanti e lucidato per una buona finitura. Si essicca lentamente, ed è necessaria una certa attenzione per evitare fenditure. A causa del suo ritiro elevato può essere soggetto a variazioni dimensionali.

Il white oak è usato in tutto il mondo, così come la quercia europea. Tuttavia l’uniformità del colore e il grande volume di segato disponibile sul mercato fanno della quercia bianca americana il legno di prima scelta per molti produttori di mobili, pavimenti e falegnameria.

American Hardwood Export Council
L’American Hardwood Export Council (AHEC) è la più importante associazione per il commercio internazionale di legno di latifoglie americane. Rappresenta le società USA impegnate nell’esportazione, nonché le maggiori associazioni per il commercio dei prodotti in legno di latifoglie americane. AHEC è sempre a disposizione di architetti, designer e clienti finali per fornire le informazioni tecniche sulla gamma di specie disponibili, sui prodotti e sulle fonti di approvvigionamento.
L’AHEC dispone di una serie di pubblicazioni tecniche che sono disponibili gratuitamente sul sito www.americanhardwood.org



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