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Indice degli argomenti Toggle Premo Pritzker 2019L’inizio: Kenzo Tange e il movimento metabolista (新陳代謝)Ōita Prefectural Library, Ōita, Giappone, 1962-1966The Museum of Modern Art (MOMA), Gunma, 1974Museum of Contemporary Art (MOCA), Los Angeles, 1981-1986Palau Sant Jordi, Barcellona, 1983-1990Qatar National Convention Center, 2011Allianz Tower, Milano, 2003-2015 Poco più di un mese fa, sul finire del 2022, il 29 dicembre, è scomparso Arata Isozaki, architetto giapponese di fama internazionale e vincitore del Premio Pritzker 2019. Un periodo poco fortunato per l’architettura, che annovera un’altra grande perdita che va ad aggiungersi alla più recente scomparsa dell’architetto indiano Balkrishna Doshi, Premio Pritzker 2018. Prima dell’ultimo premiato – l’africano Francis Kéré (2022) – e qualche anno dopo Sir Richard Rogers (2007) e Renzo Piano (1998). Morto a Tokio, all’età di 91 anni, può annoverare un patrimonio unico nel panorama architettonico: oltre cento opere realizzate in tutto il mondo tra Asia, Europa, Nord America, Medio Oriente e Australia. Celebre per aver partecipato al dibattito sulle utopie urbanistiche-architettoniche degli anni Sessanta – il cd. “Movimento Metabolista” – e per aver aderito insieme a venti architetti internazionali, all’invito di Paolo Portoghesi per allestire la ” Strada Novissima” alla Biennale di Venezia 1980, manifesto “Architettura Postmoderna” Premo Pritzker 2019 Isozaki si aggiudica la 41esima edizione del Nobel per l’architettura, il Pritzker 2019, che per la settima volta volge ad oriente, nel Paese del Sol Levante. La citazione della giuria riconosce le vaste qualità dell’architetto giapponese che, “Possedendo una profonda conoscenza della storia e della teoria dell’architettura e abbracciando l’avanguardia, non si è mai limitato a replicare lo status quo, ma la sua ricerca di un’architettura significativa si è riflessa nei suoi edifici che, fino ad oggi, sfidano le categorizzazioni stilistiche, sono in continua evoluzione e sempre freschi nel loro approccio.” I primi successi di Isozaki in architettura risalgono all’era successiva all’occupazione alleata del Giappone, quando il paese cercò di risollevarsi dalle rovine della Seconda guerra mondiale. “Volevo vedere il mondo con i miei occhi, così ho fatto il giro del mondo almeno dieci volte prima di compiere trent’anni. Volevo sentire la vita di persone in luoghi diversi e visitati ampiamente all’interno del Giappone, ma anche nel mondo islamico, nei villaggi nelle profonde montagne della Cina, nel sud-est asiatico e nelle città metropolitane negli Stati Uniti. Stavo cercando di trovare opportunità per farlo, e attraverso questo, ho continuato a chiedermi: ‘cos’è l’architettura?‘”, ricorda il Laureato. “Isozaki è stato uno dei primi architetti giapponesi a costruire al di fuori del Giappone durante un periodo in cui le civiltà occidentali hanno tradizionalmente influenzato l’Oriente, rendendo la sua architettura, che è stata distintamente influenzata dalla sua cittadinanza globale, veramente internazionale“, commenta Tom Pritzker, presidente della Hyatt Foundation. “In un mondo globale, l’architettura ha bisogno di quella comunicazione“. “Isozaki è un pioniere nel comprendere che la necessità dell’architettura è sia globale che locale, che queste due forze fanno parte di un’unica sfida“, afferma il giudice Stephen Breyer, presidente della giuria. “Per molti anni, ha cercato di assicurarsi che le aree del mondo che hanno una lunga tradizione architettonica non si limitino a quella tradizione, ma aiutino a diffondere quelle tradizioni imparando contemporaneamente dal resto del mondo“. All’inizio della sua carriera, possiamo includere opere significative quali la Ōita Prefectural Library (1962- 1966), Expo ’70 Festival Plaza (1966-1970) e The Museum of Modern Art a Gunma (1971-1974). L’inizio: Kenzo Tange e il movimento metabolista (新陳代謝) Isozaki si è laureato presso il Dipartimento di Architettura presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Tokyo nel 1954 e ha iniziato la sua carriera con un apprendistato sotto la guida del Premio Pritzker 1987 Kenzo Tange. All’epoca Tange teneva un laboratorio di progettazione all’università, denominato Tange Lab che può vantare tra i laureati di maggior spicco, personaggi che divennero celebrità dell’architettura quali Fumihiko Maki, Koji Kamiya, Arata Isozaki, Kisho Kurokawa e Taneo Oki. Tange Lab, anni 60. Kenzo Tange tiene una lezione con i suoi studenti dell’università di Tokyo Gli anni 60 erano gli anni delle sperimentazioni, delle utopie urbanistiche, delle visioni architettoniche. Crescita economica e demografica, città in rapida espansione, dinamismo e cambiamento erano le sfide del momento. Il Giappone s’impose al centro del dibattito architettonico internazionale, trainato dalle idee visionarie del movimento metabolista. Essi proponevano un’idea della città quale organismo vivente, che in analogia al metabolismo umano, fosse in grado di rigenerarsi, sostituendo parti e incrementandone altre fino ad occupare il mare ed il cielo per espandersi in rapida evoluzione. Arata Isozaki, City in the Air (1960-62) Isozaki, pur partecipando al dibattito, si è sempre mantenuto autonomo e critico. Il risultato delle sue ricerche personali è confluito nel lavoro “City in the Air” del 1960-62. Città futuristiche che si librano verso il cielo, come grappoli di cellule abitative in movimento, liberando i suoli dalla densificazione selvaggia. L’influenza giapponese diffuse analoghe idee utopistiche in tutto il mondo: in Europa erano portate avanti, tra gli altri, dagli inglesi Archigram e dagli italiani Superstudio. Da quelle esperienze nacque l’edificio simbolo del movimento, la Nakagin Capsule Tower, ad opera di Kishō Kurokawa, considerato il padre dei metabolisti giapponesi, tra gli allievi di Tange, il risultato più concreto della ricerca architettonica metabolista. Un condensato di studi sullo spazio minimo (Existenzminimum secondo il pensiero di Le Corbusier) abbinato al concetto di mobilità e trasformazione: 140 unità abitative sospese all’esterno e “agganciate” a due torri di servizio. Ma proprio quello che sembrava il punto di arrivo, un modello abitativo urbano da applicare su vasta scala, si rivelò presto un fallimento, così come le idee che lo avevano generato. Le “capsule” abitative di 2,5x4x2,1 metri erano destinate all’impossibilità di garantire una qualità di vita dignitosa agli abitanti e, ad oggi, sono ormai abbandonate. Nel 1963, quando il Giappone ormai libero dall’occupazione alleata aveva finalmente riconquistato la sua sovranità e intrapreso la via della ricostruzione tra incertezza politica, economica e culturale, egli fondò Arata Isozaki & Associates. “Per trovare il modo più appropriato per risolvere questi problemi, non potevo soffermarmi su un unico stile. Il cambiamento è diventato costante. Paradossalmente, questo è diventato il mio stile”. Il suo lavoro ebbe inizio nella sua città natale Ōita e Fukuoka, e si espanse poi rapidamente in tutto il Giappone, a Gunma, Osaka e Tokyo. Ōita Prefectural Library, Ōita, Giappone, 1962-1966 La Biblioteca della prefettura di Ōita (1966) è considerato un capolavoro del brutalismo giapponese. Una delle prime opere costruite da Isozaki nella sua Casa, la sua città natale, il territorio che lo ha generato e ne ha ospitato le sue prime gesta. Per quest’opera, la Ōita Prefectural Library ha ricevuto l’Annual Prize, Architectural Institute of Japan nel 1967. E lo stesso ha totalizzato per il museo di arte moderna, The Museum of Modern Art a Gunma nel 1975. The Museum of Modern Art (MOMA), Gunma, 1974 Il Gunma Prefectural Museum of Modern Art, aperto nel 1974, rivela un’esplorazione di un’architettura più personale. Nel museo, la chiara geometria del cubo riflette il suo fascino per il vuoto e la griglia mentre cerca di raggiungere un equilibrio in cui esporre opere d’arte mutevoli. The Museum of Modern Art, Gunma, Giappone, 1971-74 (foto by Ishimoto Yasuhiro) L’uso di Isozaki di un cubo puro rende l’edificio senza peso e smaterializza l’architettura. Nessuna dimensione ha una gerarchia all’interno del cubo, e quindi l’immobilità e il riposo si manifestano all’interno della struttura. Proprio come una cornice isola un quadro dal suo contesto, la cornice spaziale del museo distacca gli spazi interni dal paesaggio e li dedica solo all’arte. Il design minimalista aveva anche lo scopo di impedire all’architettura di competere con le mostre e di creare un vuoto affinché la mente potesse riflettere su sé stessa. Tuttavia, invece di neutralizzarsi, il museo è diventato inevitabilmente la sua stessa opera d’arte. Museum of Contemporary Art (MOCA), Los Angeles, 1981-1986 Il Museum of Contemporary Art, Los Angeles (1981-1986 Los Angeles, Stati Uniti) è stata la prima commissione internazionale dell’architetto nipponico. Sebbene controverso e geograficamente impegnativo, l’edificio in arenaria rossa indiana è stato risolto dall’eloquente consapevolezza della scala di Isozaki attraverso un assemblaggio di volumi, impiegando al contempo la sezione aurea e la teoria dello yin-yang, evocando la natura complementare delle relazioni tra Occidente e Oriente. Palau Sant Jordi, Barcellona, 1983-1990 Palau Sant Jordi (1983-1990 Barcellona, Spagna), progettato per i Giochi Olimpici estivi del 1992, è posizionato parzialmente sotto terra per ridurre al minimo il profilo della struttura da 17.000 persone ed evidenziare invece la circostante collina di Montjuïc. Palau Sant Jordi, Barcellona, 1983-1990 (foto by Hisao Suzuki) Il tetto a cupola è stato costruito facendo riferimento alle tecniche delle volte catalane, mentre le forme inclinate sono state ispirate a quelle dei templi buddisti, e come finiture sono stati utilizzati materiali locali tra cui mattoni, piastrelle, zinco e travertino. Qatar National Convention Center, 2011 Isozaki con il Centro culturale costruito tra il 2004 e il 2011 a Doha, in Qatar, il cosiddetto Qatar Convention Center, ha mostrato uno straordinario dinamismo. Qatar National Convention Center, 2004-2011, Doha, Qatar (foto by Hisao Suzuki) Ancora una volta, è una testimonianza della sua capacità di comprendere il contesto in tutta la sua complessità e di creare un edificio straordinario, ben realizzato e stimolante che ha successo dalla scala della città agli spazi interni. Allianz Tower, Milano, 2003-2015 Costruita in collaborazione con Andrea Maffei, partner italiano di Isozaki dal 2004, la Allianz Tower di CityLife Milano, è un’architettura di vetro, che stupisce per la sua leggerezza e i suoi contenuti tecnologici. La Torre di Isozaki, inaugurata nel 2018, s’inserisce in un contesto urbano come quello milanese non estraneo ad esperienze di edifici verticali, dalla celebre Torre Velasca di Gio Ponti fino al Bosco Verticale di Stefano Boeri che ha contagiato tutto il mondo coi suoi criteri di sostenibilità. Allianz Tower, Milano, Italia, 2003-2015 (foto di Alessandra Chemollo) Secondo i progettisti, c’era l’idea di sviluppare un grattacielo senza fine, una sorta di endless tower che, basata sulla giustapposizione di elementi modulari ripetuti, potesse crescere in altezza aspirando alla massima verticalità e tensione verso l’alto. Il modulo prescelto si compone di 6 piani per uffici, con una pianta molto stretta e allungata di 24×61 metri. La scelta di queste proporzioni deriva dall’intenzione di creare un grande open space centrale con il core diviso alle due estremità. Lo spazio potrà essere utilizzato in modo molto flessibile per uffici aperti oppure parzialmente o del tutto chiusi. L’involucro trasparente dell’edificio è costituito da una facciata ventilata modulare. La facciata del modulo è composta da una serie di vele in vetro di forma appena bombata verso l’esterno che, posta in successione verticale, crea una leggera sensazione di vibrazione del volume dell’edificio mentre sale verso l’alto. Per approfondire: Isozaki A., Japan-ness in Architecture, 2011 https://isozaki.co.jp https://www.pritzkerprize.com/laureates/arata-isozaki Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento