AI e ambiente costruito: l’intelligenza artificiale può aiutarci a decarbonizzare il settore edile? 26/06/2024
MAXXI e Triennale di Milano, con il patrocinio del Mibact, assegnano a Renzo Piano il Premio alla Carriera 2020. Vediamo le opere più significative dell’architetto genovese, archistar e senatore a vita Indice degli argomenti: I primi lavori (1966-74) Centre Pompidou, Parigi 1971-77 California Academy of Sciences (2000-08) Jean-Marie Tjibaou Cultural Center (1991-98) The London Shard (2000-12) Renzo Piano, architetto genovese e archistar di fama internazionale, premio Pritzker 1998 e, dal 2013, Senatore a vita, è stato insignito del Premio alla carriera nell’ambito del Premio Italiano di Architettura 2020, indetto dal MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo e da Triennale Milano, con il patrocinio del Ministero dei beni e le attività culturali e del turismo (MIBACT), quest’anno alla sua prima edizione. La mole di realizzazioni che Renzo Piano può annoverare dal 1966 ad oggi è, sia per quantità che per varietà tipologica, talmente impressionante da non poterla menzionare tutta. Auditorium (Parco della musica, Roma – Auditorium del parco, L’Aquila), poli museali (Muse, Trento – Zentrum Paul Klee, Svizzera – Centre Georges Pompidou – Academy Museum of Motion Pictures), aeroporti (Kansai, Giappone), stazioni (Metropolitana di Genova), aree portuali (Genova), grattacieli (The Shard, Londra – New York Times Building, USA), stadi (San Nicola di Bari), Cantine (“La Rocca”, winery), Fabbriche (Mercedes Benz Design Center, Germania), padiglioni temporanei (IBM travelling pavilion), Istituti di credito (Intesa San Paolo, Torino), piani urbanistici (masterplan area Ex-Falck), Istituti di ricerca (California Academy of Sciences, USA – Science Gateway, Ginevra), Centri commerciali (Bercy 2 Shopping Centere), ponti (ponte sul Polcevera), centri culturali (JeanMarie Tjibaou Cultural Center, Nuova Caledonia), chiese (Padre Pio, San Giovanni Rotondo), piazze urbane, uffici, scuole, università, quartieri residenziali (Le Albere, Trento – Eighty Seven Park, Miami), ospedali (Ospedale di Emergency in Uganda) biblioteche (Biblioteca universitaria di Trento), case unifamiliari (Casa privata, Colorado USA), Tiny house (Diogene), una pala eolica e perfino una barca a vela (Kirribilli Mas60). Ripercorriamo assieme alcune delle tappe più significative della sua brillante carriera. I primi lavori (1966-74) Dopo la laurea in Architettura, emerge con chiarezza l’anima del “homo faber”, dell’uomo del fare, dell’artigiano, del costruttore, una mentalità ereditata dall’esperienza nei cantieri, a contatto con i materiali, negli anni di gioventù seguendo le orme del padre, proprietario di una piccola impresa edile. “Anche quando si progettano edifici complessi, a grande scala, l’impulso iniziale resta sempre lo studio costruttivo. Che non è affatto qualcosa che viene dopo, alla fine del processo ideativo, come impalcatura posticcia di una visione o di una forma finita. Resta infatti questa idea dell’architetto-costruttore, dell’architetto-inventore. Che, in fondo, corrisponde alla figura mitica dell’“homo faber”. Così, i primi lavori sono il risultato di una profonda vocazione alla pratica del costruire ed alla sperimentazione, combinando sistemi costruttivi e materiali diversi, con riflessioni sulla flessibilità degli spazi e la trasparenza. C’è la ricerca della leggerezza: “l’idea di costruire strutture senza peso. Di utilizzare elementi immateriali come la leggerezza, appunto, ma anche la trasparenza, la luce e le sue vibrazioni, le ombre, i suoni. Che, nel loro insieme, possono contribuire alla definizione dello spazio quanto le forme e i volumi”. Con le sue prime opere Renzo Piano sperimenta l’uso di materiali non tradizionali nel campo dell’architettura, come il poliestere e derivati (Struttura in acciaio precompresso e poliestere rinforzato, Genova 1966), cercando di capirne le caratteristiche fisiche e le potenzialità strutturali. Strutture a guscio (XIV Triennale di Milano, 1967), tensostrutture, strutture modulari e flessibili (Padiglione dell’Industria Italiana per l’Expo di Osaka del 1970) per abitazioni (case a pianta libera di Garonne e di Cusago, 1970-74) o uffici (B&B Italia, Novedrate, 1971). Centre Pompidou, Parigi 1971-77 Il Centre Pompidou o Beaubourg (come lo chiamano i parigini), è l’opera che ha consacrato Renzo Piano come giovane promessa del panorama architettonico internazionale. Poco più che trentenne all’epoca del concorso, poi vinto all’unanimità insieme al collega Richard Rogers, l’architetto genovese ha lasciato un segno indelebile e dissacrante, a pochi passi dalla Cattedrale gotica di Notre Dame. Centre Pompidou L’edificio ha una struttura in acciaio a telaio, con grandi travi reticolari lunghe fino a 48 metri. Questo permette di ottenere grandi spazi open-space di 50×170 m e un’ampia flessibilità d’uso, garantita anche grazie al posizionamento all’esterno degli impianti e dei sistemi di collegamento (scale, ascensori). Inaugurato nel 1977, è stato fin da subito apprezzato dalla popolazione, tanto da essere preso d’assalto (ad oggi conta oltre 6 milioni di visitatori l’anno ed è uno dei musei più visitati al mondo) e ribattezzato con affetto e ammirazione “beaubourg” (borgo bello). Considerato il manifesto dell’architettura High-tech, definito “La fabbrica”, “l’astronave”, “la petroliera”, o come dice lo stesso Piano “la Macchina Urbana, un utensile capace di adattarsi alle diverse necessità della cultura”, il museo rappresenta la vittoria di una sfida lanciata dal presidente George Pompidou, come “un insieme architettonico e urbano capace di segnare la nostra epoca”. E infatti il Beaubourg ha creato una profonda frattura con la tradizione architettonica dell’accademia francese dei Beaux Arts richiamando alla mente le fervide polemiche di fine 800 che caratterizzarono la costruzione della Tour Eiffel. “Il giornale Le Monde si divertì a ripubblicare un appello di intellettuali di fine Ottocento, sostituendo il nome del Beaubourg al posto delle torre Eiffel”, ricorda l’architetto che, aggiunge, “L’architettura richiede tempi lunghi, prima che le innovazioni siano accettate”. California Academy of Sciences (2000-08) Fondata nel 1853, la California Academy of Sciences è la più grande istituzione culturale nella città di San Francisco. La sua casa precedente, danneggiata da un terremoto del 1989, è stata rasa al suolo e sostituita nello stesso sito nel Golden Gate Park. La struttura all’avanguardia, con una vasta gamma di tecnologie e strategie di bioedilizia, è attualmente il museo più verde del mondo. California Academy of Sciences (2000-08) La struttura da 488 milioni di dollari, aperta al pubblico il 27 settembre 2008, è il risultato di una collaborazione di sette anni tra Arup e gli architetti Renzo Piano Building Workshop e Stantec Architecture. L’elemento distintivo del progetto di Piano è un imponente tetto verde con colline ondulate che evocano il paesaggio circostante. Sulla copertura dell’edificio crescono 1.700.000 esemplari di piante autoctone, attentamente selezionate e poi trapiantate in speciali contenitori biodegradabili di fibre di cocco. Un paio di impressionanti cupole a tre piani contengono la foresta pluviale e il planetario. Oggi l’Accademia ospita un acquario, un planetario e un museo di storia naturale nonché programmi di ricerca scientifica ed educazione sotto lo stesso tetto. L’edificio spicca per criteri di sostenibilità ambientale, autonomia energetica, uso attento dell’acqua, la scelta dei materiali, ventilazione naturale. È il primo museo LEED Double Platinum al mondo e il più grande edificio Double Platinum del pianeta. Jean-Marie Tjibaou Cultural Center (1991-98) Costruito in memoria del leader politico della Nuova Caledonia, assassinato nel 1989, il Centro Culturale Jean-Marie Tjibaou rende omaggio alla cultura Kanak attingendo alle tradizioni ed alle tecniche edilizie locali, in un intreccio tra antico e moderno. Piano ha studiato e reinterpretato il tradizionale edificio Kanak, la capanna indigena di Noumea, nella Nuova Caledonia, attraverso materiali, forma e tecnologia. Ben consapevole della responsabilità sociale che egli andava affrontando: “Non era solo un villaggio turistico che dovevo costruire. Ho dovuto creare un simbolo: un centro culturale dedicato alla civiltà Kanak, il luogo che li rappresentava per gli stranieri e che avrebbe trasmesso la loro memoria ai loro nipoti. Nulla avrebbe potuto essere più carico di aspettative simboliche”. Basandosi sul legame profondo con la natura tipico di questa civiltà, il progetto ha seguito due linee guida principali: da un lato evocano le capacità costruttive dei Kanak, dall’altro si avvale di materiali moderni come vetro, alluminio, acciaio e tecnologie avanzate leggere, oltre ai materiali tradizionali, come il legno e la pietra. La struttura e, soprattutto, la funzionalità della capanne indigene della Nuova Caledonia hanno ispirato le nuove “cases” che compongono il Centro Culturale. Dieci edifici di tre differenti dimensioni, dai 20 ai 28 metri d’altezza, sono affiancati una all’altro e collegati da un percorso pedonale. Il primo gruppo di “cases” comprende spazi espositivi, il secondo una serie di aree di ricerca, una sala conferenze e una biblioteca. L’ultima serie ospita spazi per la musica, la danza, la pittura e la scultura. Gli edifici, “cases” sono strutture curve simili a capanne, fatte di listelli e centine in legno: gusci all’apparenza arcaica, all’interno dei quali l’ambiente è dotato di tutte le opportunità offerte dalla tecnologia contemporanea. Il legno scelto è l’iroko, che richiede poca manutenzione e non viene attaccato dalle termiti. Nel modo in cui è stato utilizzato evoca le fibre vegetali intrecciate delle costruzioni locali. The London Shard (2000-12) La London Bridge Tower, già soprannominata “The Shard” (la scheggia) è una torre di 72 piani alta 309,6 m ad uso misto (residenza, uffici, commercio) che richiama per morfologia una gigantesca piramide di vetro. Quando fu completata nel 2013 era la torre più alta d’Europa, nata per segnare la rigenerazione urbana della sponda meridionale del Tamigi. The London Shard Otto facciate di vetro inclinate, i “frammenti” definiscono la forma e la qualità visiva della torre, frammentando la scala dell’edificio e riflettendo la luce in modi imprevedibili. L’apertura di aperture negli spazi o “fratture” tra i frammenti, fornisce una ventilazione naturale ai giardini invernali. Le superfici di vetro “extra white” delle facciate danno alla torre leggerezza e una particolare reattività alle condizioni mutevoli del cielo. Lo Shard è un edificio fotosensibile, dall’umore variabile. Nella realizzazione è stato poi necessario adottare soluzioni tecniche specifiche perché fossero soddisfatti tutti i requisiti di controllo della luce e termico. È stata realizzata una doppia facciata ventilata naturalmente, che contengono anche delle tende che si azionano automaticamente con i cambiamenti dei gradi di illuminazione. Per approfondire: • Foppiano Anna, Being Renzo Piano, Abitare 497, novembre 2009 • Renzo Piano, Giornale di bordo. Autobiografia per progetti (1966-2016), Passigli, 2016 • Renzo Piano Building Workshop Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento