A cura di: Adele di Carlo Le compravendite immobiliari possono “nascondere” degli abusi edilizi, situazioni spiacevoli per l’acquirente che, in presenza specifiche circostanze, può fare causa al venditore per ottenere un risarcimento danni. Chi acquista o vende un immobile dovrebbe, come prima cosa, verificarne lo stato legittimo per accertare che non siano presenti abusi o irregolarità. Trascurare questa analisi può comportare conseguenze legali rilevanti nonché costi imprevisti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione – la n. 28765 del 7 novembre 2024 – chiarisce cosa si intende per “stato legittimo” e quali implicazioni comporta per le parti coinvolte nella compravendita. Cos’è lo “stato legittimo” di un immobile oggetto di compravendita Quando si parla di “stato legittimo” si deve intendere la conformità dell’immobile ai titoli edilizi. Ai sensi dell’art. 9-bis, comma 1-bis, del Testo Unico dell’Edilizia (d.P.R. n. 380/2001), lo stato legittimo corrisponde al progetto inizialmente approvato, con eventuali modifiche successive che rispettino le normative vigenti. La Cassazione sottolinea che bisogna distinguere gli immobili in base all’anno di costruzione. Se costruiti in un periodo in cui era obbligatorio un titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è definito dal titolo che ha autorizzato la costruzione o da quello relativo all’ultimo intervento edilizio sull’immobile. Sono incluse nella valutazione eventuali sanatorie, fiscalizzazioni e tolleranze costruttive previste dal Testo Unico dell’Edilizia. Tale verifica ha un’importanza cruciale per accertare la corrispondenza tra lo stato di fatto dell’immobile e la sua conformità urbanistica ed edilizia, requisito indispensabile per finalizzare la compravendita e il rogito presso il notaio. Compravendita immobiliare e abusi edilizi: cosa ha stabilito la Cassazione Dalla mancata veridicità dello stato legittimo di un’unità immobiliare possono nascere contenziosi complessi da risolvere, lunghi e costosi. La Corte di Cassazione, in tal senso, ha emesso un’ordinanza (la n. 28765/2024) di grande rilievo. Nel caso in esame, il venditore è stato condannato per non aver dichiarato gli abusi edilizi durante le trattative di compravendita. Questa omissione ha causato gravi conseguenze legali ed economiche: in primo luogo il venditore è stato condannato a risarcire il compratore tenendo in considerazione il minor valore dell’immobile, in secondo luogo è stato condannato a risarcire le spese necessarie per rimuovere gli abusi non dichiarati a norma di legge. La rimozione degli abusi non va considerata come compensazione del deprezzamento dell’immobile La Cassazione ha respinto la posizione del venditore specificando che non sussiste alcuna duplicazione del risarcimento. Quindi le spese sostenute dall’acquirente per la rimozione degli abusi edilizi non possono essere considerate come compensazione per il deprezzamento dell’immobile. Le spese sostenute dall’acquirente, infatti, sono funzionali ad eliminare i manufatti abusivi, il cui valore era stato preso in considerazione nella determinazione del prezzo iniziale. La loro rimozione non ripristina il valore originario dell’immobile, che resta comunque svalutato (contrariamente a quanto sosteneva il venditore). FAQ Compravendita immobiliare, come funziona il risarcimento in caso di abusi edilizi Quali sono i termini per agire contro il venditore nel caso di abuso edilizio? Se, dopo l’acquisto di un immobile, si vengono a scoprire abusi e irregolarità è importante agire nei confronti del venditore entro i termini della prescrizione. Oltre questi termini sarà impossibile adire le vie legali e ottenere un congruo risarcimento. Per gli abusi edilizi la prescrizione scatta dopo 10 anni. È importante, però, sottolineare da quando inizia a decorrere il termine decennale. Secondo il Codice Civile e le interpretazioni della Cassazione, la prescrizione inizia a decorrere da quando si ha la possibilità concreta di far valere il proprio diritto, cioè dal momento in cui si scopre l’esistenza dell’abuso edilizio (e non dalla data dell’acquisto). Quando l’abuso edilizio va in prescrizione? A seconda della loro gravità, gli abusi edilizi possono essere classificati: veri e propri reati, in caso di violazioni rilevanti delle normative urbanistiche ed edilizie, come costruzioni realizzate senza autorizzazione o in aree sottoposte a vincoli illeciti amministrativi, ipotesi di minore gravità che si verificano, ad esempio, in caso modifiche non autorizzate apportate a edifici esistenti Quando l’abuso edilizio configura un reato si applica la prescrizione “breve” di 4 anni, in assenza di atti interruttivi, oppure di 5 anni qualora siano stati compiuti atti interruttivi, rientrando nella “prescrizione ordinaria.” Invece la sanzione amministrativa che impone la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi non è soggetta a prescrizione. Vuol dire che la Pubblica Amministrazione può agire in qualsiasi momento, indipendentemente dal tempo trascorso. Quali sono gli abusi edilizi non sanabili? Non tutti gli abusi sono sanabili. Quelli più gravi e di maggiore entità non possono essere regolarizzati attraverso il pagamento di sanzioni amministrative. Questi abusi violano il principio della “doppia conformità urbanistica”, che implica il rispetto sia delle normative attuali che di quelle in vigore al momento dell’esecuzione dell’opera e restano irregolari. Si tratta di comportamenti gravi, ad esempio costruzioni in zone protette, abusi su edifici vincolati di valore storico, artistico o architettonico, edificazioni in aree a rischio idrogeologico, abusi in zone agricole o verdi. Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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