Italia, patrimonio fragile

Il XXVI° Rapporto congiunturale del Cresme lancia un grido d’allarme circa lo stato di manutenzione del patrimonio abitativo e infrastrutturale del nostro Paese. L’11% degli edifici costruiti tra il 1960 e 1980 è in stato di conservazione pessimo o mediocre: si tratta di 182mila edifici che necessitano di interventi manutentivi pesanti o sostitutivi. A questi se ne aggiungono altri 76mila costruiti prima del 1960. Sicilia, Lombardia e Campania in testa alla classifica del degrado

Aulla (La Spezia), alluvione ottobre 2011
Img Paolo Inglese – Aulla (La Spezia), alluvione ottobre 2011

Tra i numerosi temi contenuti nel XXVI° Rapporto Congiunturale e previsionale  del Cresme relativo al mercato delle costruzioni, ha trovato spazio anche la questione rappresentata dalla fragilità del patrimonio edilizio e infrastrutturale del nostro Paese. I crolli avvenuti negli ultimi anni di ponti (Genova su tutti) e abitazioni e i sempre più frequenti casi di smottamenti, frane e alluvioni stanno appunto a dimostrare i rischi esistenti e la fragilità del nostro Paese.

Una condizione, quella del patrimonio nazionale, che dipende sostanzialmente da due fattori: da un lato, il ciclo di notevoli investimenti avvenuti negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta in abitazioni e infrastrutture di ogni tipo; dall’altro, la scarsa e superficiale attività di manutenzione, che quasi mai è stata di tipo strutturale.

Capoterra (Cagliari), alluvione ottobre 2008
Capoterra (Cagliari), alluvione ottobre 2008

“Emerge una grande questione per il Paese – sostiene Lorenzo Bellicini, direttore del Cresme -. Cosa ci aspetta nei prossimi vent’anni e cosa potremmo fare in termini di manutenzione strutturale, demolizione e ricostruzione?”.

È lo stesso istituto di ricerca a dirci che la risposta al quesito è difficile da fornire. Ma qualche indizio, anche numerico, può venire in soccorso grazie ai dati censuari per ciò che concerne il patrimonio edilizio, residenziale e non residenziale. Ad esempio, considerando i dati degli edifici inutilizzati, quelli a rischio alluvione e frana, quelli ancora costruiti in calcestruzzo armato e in forte degrado strutturale e, infine, tenendo conto del degrado strutturale che accompagna strade, ferrovie e ponti.

Una quota rilevante degli edifici più fragili appartiene al periodo storico coincidente con la ricostruzione del Dopoguerra e con il boom edilizio degli anni Sessanta e Settanta: la maggior parte dello stock edilizio realizzato in quell’epoca storica aveva una struttura portante in calcestruzzo armato.

In Italia, fino al 1980, sono stati costruiti oltre 1 milione e 964mila edifici dei quasi 3milioni e 600mila esistenti; di questi 1milione e 583mila sono stati realizzati in pieno boom edilizio.

Si tratta di un’epoca in cui la qualità edilizia dei manufatti in cemento armato non era delle migliori. Dai dati del Cresme si scopre che oltre l’11% degli edifici costruiti tra il 1960 e 1980 è in stato di conservazione pessimo o mediocre: una percentuale che tradotta in numeri assoluti è pari a 182mila edifici che necessitano di interventi manutentivi pesanti o sostitutivi (111mila solo nel Mezzogiorno). A questo dato si aggiungono altri 76mila edifici nelle medesime condizioni, costruiti prima del 1960 (la gran parte nelle regioni del sud d’Italia).

La classifica del degrado suddivisa per regioni vede la Sicilia in testa (48.800 edifici), seguita da Lombardia e Campania (20.000 circa).

Per quanto riguarda la quantificazione dello stock infrastrutturale stradale le cose – sempre a detta di Cresme – si fanno più complesse, anche per il carattere disomogeneo e frammentario delle fonti ufficiali disponibili (in Italia manca ancora un catasto infrastrutturale nazionale; nda).

Vernazza (Cinque Terre), alluvione ottobre 2011
Vernazza (Cinque Terre), alluvione ottobre 2011

In sintesi, i numeri parlano di 804mila chilometri di strade asfaltate (strade statali e comunali), di cui 7.580 si sviluppano su ponte, pari all’1% della viabilità nazionale. Un dato che corrisponde a una dotazione territoriale di strade pari a 2,7 chilometri per chilometro quadrato (il dato varia da Nord a Sud: da 3,1 a 2,1). Per ogni cento italiani esistono 1,3 km di strade.

Genova, alluvione 4 novembre 2010
Genova, alluvione 4 novembre 2010

La quota più consistente di strade è di competenza comunale: 619.400 chilometri, di cui quasi 75mila ricadenti nei capoluoghi e i restanti 544.600 nei comuni più piccoli. Le strade di competenza regionale e provinciale ammontano a 156mila chilometri, dato al quale si devono sommare i 21.700 chilometri di strade di interesse nazionale. La rete autostradale italiana ammonta a 6.943 chilometri.

Molte delle nostre infrastrutture si trovano oggi in aree ad elevato rischio naturale

Dall’incrocio dei dati esistenti, Cresme quantifica in 78.800 i chilometri di strade che si trovano in aree a rischio elevato di alluvione (9,8% dello stock) e in 30.200 quelli ad elevato rischio di frana (3,8% del totale).

Ciclone Cleopatra si abbatte sulla Sardegna, ottobre 2008
Sardegna, alluvione ottobre 2008

Se questa è la radiografia della fragilità e del rischio di strade, ponti e ferrovie italiane, per evitare ciò che è facile immaginare servirebbe un intervento manutentivo di dimensioni rilevanti. E questo ogni anno.

“Lo stato di manutenzione del patrimonio edilizio esistente residenziale e delle infrastrutture – continua Bellicini – non corrisponde alle necessità: la vetustà strutturale del patrimonio, sommata a fattori esogeni di origine naturale o antropica fanno aumentare, giorno dopo giorno, il rischio di collasso delle strutture. Sebbene la spesa per investimenti destinata al patrimonio costruito esistente abbia superato da tempo quella di nuova costruzione (72 miliardi contro 35; nda), la quota di investimenti destinati alla manutenzione delle parti strutturali degli edifici rimane ancora esigua”.

Infine, per quanto riguarda la spesa per la manutenzione e messa in sicurezza del territorio, il Cresme stima che i costi dei danni provocati dagli eventi franosi e alluvionali nel periodo 1944-2013 ammontano a un miliardo di euro all’anno (circa 70 in tutto). Per contro, per sanare il dissesto idrogeologico nazionale – sulla base dei dati raccolti attraverso i piani regionali per l’assetto idrogeologico -servirebbero 40 miliardi di euro.

Sono numeri che si commentano da soli, che fanno però percepire il divario tra esigenze manutentive del patrimonio e del territorio italiano e la realtà delle cose.

Immagini del Dipartimento nazionale della protezione civile

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