Pavimentazioni in parquet con finitura a olio impregnato a caldo
di: Arch. Claudio Sangiorgi
La tecnica di rivestimento a pavimento a parquet ha subito negli ultimi decenni un’evidente evoluzione che, a partire da tendenze di gusto e maggiormente diffuse sensibilità ecologiche, si è tradotta in messa a punto di nuove soluzioni di finitura.
In particolare, due appaiono i trend che hanno guidato recentemente il settore, almeno nelle sue punte più avvertite, nella definizione di un’offerta di prodotto in grado di soddisfare le peculiari esigenze della domanda: materiali di maggiori dimensioni e di ricercata naturalezza di effetto (provenienti da boschi FSC – Forest Stewardship Council -, di certificata gestione) e prodotti di finitura ecologici e non nocivi per l’utenza.
Se alla prima di tali richieste, si è risposto con liste e plance stabilizzate per mezzo di sostrati in legno non nobile tra loro incrociati, sì da compensare le diverse tensioni cui il parquet (sottoposto alle normali e, a volte, rilevanti variazioni igrometriche dell’ambiente ove posato) è inevitabilmente soggetto, per quanto attiene l’ecologicità dei prodotti di finitura, il mercato si è orientato verso le vernici all’acqua (laddove sino agli ’90, le vernici poliuretaniche e alchidiche erano lo standard nella cantieristica, ma anche nell’intervento per il singolo privato) e le tecniche di impregnazione con olio a caldo.
Quest’ultime stanno ottenendo un buon e crescente riscontro presso il pubblico, grazie anche a prodotti di manutenzione (pure essi a base naturale) di facile applicazione e non necessariamente di alta frequenza di impiego, in tal modo vincendo il timore, ai giorni nostri reso più acuto dal poco tempo che si ha disposizione per il governo della propria abitazione, per soluzioni che si paventa richiedano eccessive cure e attenzioni.
Molteplici sono i vantaggi di questo genere di finitura:
– in primo luogo per la salute dell’operatore (addetto alla posa del parquet e alla sua finitura conclusiva), per la quale esiste il fondato dubbio che l’inalazione ripetuta dei composti volatili emanati dai solventi in fase di trattamento dalle vernici sintetiche sia gravemente nociva; da non trascurare anche una pari preoccupazione per l’utenza degli spazi così trattati, in cui per qualche settimana permane il rischio di esposizione alle suddette emissioni in concentrazioni superiori a quelle limite di soglia. I primi studi su queste problematiche furono sviluppati nei Paesi Scandinavi e hanno dato luogo, nel tempo, a specifiche normative nazionali circa i livelli di esposizione ammissibili.
– Secondariamente per il generale minor impatto ambientale dei cicli di produzione di materiali a base naturale, quali sono gli oli utilizzati in tale particolare campo di impiego, rispetto ad analoghi prodotti di sintesi: dalla fase di produzione, al momento dello smaltimento, allorquando trattamenti superficiali sintetici rendono molto più complesso intervenire, anche solo in termini di termovalorizzazione dei materiali di risulta da rimozioni e demolizioni.
– Ancora per il pieno mantenimento delle caratteristiche tattili e percettive del legno delle doghe o liste così trattate, anzi arricchite di una corposa sericità che non annulla, tuttavia, le naturali variazioni del prodotto base, ma le esalta senza enfatizzarne la disomogeneità.
Si evita, soprattutto, quell’effetto di artificiale compattezza e brillantezza che le vernici poliuretaniche e alchidiche inevitabilmente generano.
– da ultimo, perché eventuali graffiature delle superfici – in assenza della pellicola cristallizzata prodotta dalle vernici sintetiche – non si traducono in antiestetici ed evidenti segni bianchi, ma rimangono a livello di incisioni nascoste nel “movimento” delle venature. Con, oltretutto, una più agevole possibilità di intervento di sostituzione di singole liste, in casi di danni particolarmente rilevanti, o di contenuta e parziale ricarteggiatura di porzioni più lievemente incise, senza necessità di estesi e costosi rifacimenti.
Come sempre, comunque, è opportuno guidare la scelta della propria committenza tramite la presentazione preventiva di campionature significative o, ancor meglio, di esempi concreti di intervenuta realizzazione, dacché il gusto personale può sempre far propendere per soluzioni di finitura con vernici – all’acqua o di altro genere – e perché, in ogni caso, il cliente medio ha ben presente l’effetto delle vernici poliuretaniche ed alchidiche (in termini di resa finale), mentre più difficilmente conosce la finitura a olio e le sue caratteristiche.
Per quanto attiene la concreta esecuzione di una tecnica di impregnazione con olio a caldo, questa prevede essenzialmente le seguenti fasi, una volta che sia stata realizzata la posa del parquet e atteso cautelativamente il giusto tempo, per consentire un efficace assestarsi del rivestimento prima di procedere alla sua finitura:
1. l’eliminazione o la ribattitura di eventuali chiodi sporgenti, in caso di applicazioni chiodate;
2. la levigatura delle tavole, nei formati previsti dal singolo progetto, ottenuta con passaggi successivi di carte abrasive di diversa finezza, applicati a monospazzole a dischi rotanti;
3. la stesura, a mezzo di spatola, di un olio naturale – privo di solventi chimici – sulla superficie del parquet;
4. il passaggio, dopo qualche minuto, di un feltro a rapida rotazione scaldato a 60/80 °C, ottenendo, per tale via, un’impregnazione a caldo di notevole efficacia. L’olio penetra, infatti, così, in profondità, saturando sin dalla prima applicazione il materiale posato, con una drastica riduzione degli oneri (e i tempi) di manutenzione di primo periodo.
5. la stesura, data sempre con disco scaldante, di cera naturale con funzioni di ulteriore protezione e di resa brillante delle superfici. Dall’intervenuta asciugatura di quest’ultima mano, il parquet è pedonabile e i locali possono essere presi in consegna dalla committenza per il relativo uso.
E’ bene osservare che la tecnica dell’impregnazione a caldo è possibile solo con l’utilizzo di olii naturali, privi di solventi chimici (impiegabili, invece, nelle tecniche di impregnazione a freddo, qui non prese in esame), in quanto il calore del disco usato per la stesura rischierebbe, altrimenti, di innescare l’incendio del prodotto con gli immaginabili esiti negativi sulle superfici delle liste. C’è, quindi, una garanzia per così dire “tecnica”, circa la naturalezza complessiva del ciclo di finitura in tutti i suoi componenti costitutivi.
Dal punto di vista cromatico, rispetto a quello che è l’effetto della tavola levigata, il trattamento a olio determina, come già ricordato, il perfetto mantenimento del colore naturale, limitandosi unicamente a una saturazione del tono, ricreabile – a titolo di anteprima – bagnando la singola tavola.
La successiva applicazione nel tempo di ulteriori prodotti di manutenzione, a base oleosa, determina poi la progressiva saturazione del parquet, che diventa così meno bisognoso di cure, di aspetto ricco e brillante e naturalmente protetto rispetto alle sostanze, anche aggressive (per esempio, prodotti di pulizia), con cui potrebbe venire in contatto nel corso degli anni.
Immagini
Archivio Archi-Survey srl, www.archi-survey.com
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Arch. Claudio Sangiorgi
Progettazione, Direzione Lavori, Coordinamenti per la sicurezza, per committenze pubbliche, private e amministrazioni condominiali
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