Mobilità sostenibile in città: muoversi in bici e a piedi in sicurezza, ecco cosa serve

Per muoversi in città in modo sostenibile occorre promuovere opportunità e infrastrutture capaci di far circolare in sicurezza pedoni e ciclisti. Cosa fare? La risposta la forniscono gli esperti

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Mobilità sostenibile in città: muoversi in bici e a piedi in sicurezza

La mobilità sostenibile in città deve passare dalla possibilità di circolare in bicicletta e a piedi in sicurezza. In occasione della European Mobility Week (16-22 settembre), la settimana europea dedicata al tema, è bene tornare a comprendere quali siano le azioni utili a rendere le città italiane più vivibili, anche dal punto di vista della circolazione.

FIAB – Federazione Nazionale Ambiente e Bicicletta ricorda che l’Italia detiene il primato in Europa per numero di morti in ambito urbano, dove avviene il 70% degli incidenti. Spesso negli incidenti sono coinvolte auto, furgoni e le vittime spesso sono pedoni e ciclisti. È una strage silenziosa ed evitabile, solo rendendo le città più bike-friendly. Tra l’altro, la bici può coprire la maggior parte degli spostamenti in città. Si consideri che il 50% degli spostamenti in auto è inferiore a 5 km, il 30% è inferiore a tre.

Non solo: tra le cause alla base degli incidenti, uno dei tre comportamenti più frequenti, oltre alla distrazione e al mancato rispetto della precedenza è l’eccesso di velocità, che è il più sanzionato: Istat evidenzia che rappresenta il 38,7% del totale. si potrebbe pensare a sviluppare le zone 30, sempre più diffuse nelle città europee: Parigi, Barcellona, Madrid le hanno già adottate. Gli stessi nostri connazionali sarebbero favorevoli: secondo una recente rilevazione Quorum/YouTrend per Sky TG24, il 51% di un campione rappresentativo della popolazione italiana è a favore di una misura costitutiva delle “città 30”.

Ecco allora che servono azioni pratiche. Quali possono essere? Ecco qualche risposta.

Puntare sulla bici: le scelte di FIAB

Per il decimo anno consecutivo, in occasione dell’European Mobility Week, FIAB Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta ha promosso dal 16 al 22 settembre la Settimana Europea della Mobilità in Bicicletta (SEM 2023).

Puntare sulla bici: le scelte di FIAB

Come dichiara Valeria Lorenzelli Vicepresidente FIAB in una nota:

“Quest’anno la SEM assume un significato particolare poiché la mobilità attiva viene costantemente contrastata dall’attuale Governo, un fatto gravissimo e inedito. Nell’ultima legge di stabilità è stato cancellato il fondo da 90 milioni per le ciclabili urbane comunali, poi sono stati tagliati i 400 milioni del PNRR per le ciclovie turistiche e con il DDL di modifica del Codice della Strada si mira a reprimere e scoraggiare l’uso della bici, eliminare gli autovelox e rendere di fatto impossibili le ZTL in ambito urbano”.

FIAB da anni promuove la mobilità sostenibile in città puntando sulla bici. Un esempio è il progetto Comuni Ciclabili cui oggi aderiscono quasi 180 Comuni in cui vive il 20% della popolazione italiana. Ne fanno parte grandi città come Milano, Roma, Torino, Bologna, Firenze, Bari ma anche piccoli borghi.

Mobilità sostenibile in città: Italia indietro rispetto all’Europa

La mobilità sostenibile in città passa da una diversa pianificazione del tessuto urbano, promuovendo la possibilità di muoversi a piedi e in bici.

Partiamo da un dato: secondo ASAPS, portale della sicurezza stradale, da gennaio a inizio settembre sono stati uccisi 266 pedoni sulle strisce pedonali.

Mobilità sostenibile in città: Italia indietro rispetto all’Europa

In Italia tra 2000 e 2019 è aumentata la quota di autovetture pro capite, passando da 572 autovetture per mille abitanti a 663. Il nostro Paese è al secondo posto della classifica europea per auto per abitanti. In termini di tasso di motorizzazione, a Torino si contano 660 auto per 1000 abitanti, a Roma 623, a Bologna 607, a Milano 558. Il confronto con le principali città europee è impietoso, come evidenziano i dati OSSM-Agici Finanza d’Impresa: da Parigi (250 auto per 1000 abitanti) ad Amsterdam (257), da Londra (360) a Barcellona (410) e Madrid (480).

Il modello delle nostre città è evidente che non funziona: secondo un sondaggio commissionato da Clean Cities, che ha intervistato bambine e bambini italiani l’88% degli intervistati vorrebbe avere una strada scolastica, ma solo il 7% ne ha una. Il 48% ha dichiarato che non camminano o non vanno in bicicletta di più perché lo ritengono troppo pericoloso.

Zone 30: opportunità fattibili. L’opinione dell’architetto e urbanista

In molte città europee, come detto, sta prendendo piede la formula “città 30”. Ma è possibile in Italia? Lo abbiamo chiesto a Matteo Dondé, architetto ed esperto in pianificazione della mobilità pedonale e ciclistica, moderazione del traffico, città 30, nonché animatore e divulgatore di interventi di urbanismo tattico.

architetto Matteo Donde, esperto di mobilità sostenibile«Finché in Italia non verranno rispettate le strisce sarà difficile parlare di mobilità ciclabile e sostenibile. In molti Paesi europei c’è il rispetto per chi attraversa la strada sulle strisce. Questa non è una questione tecnica, ma culturale: se non si fa questo passaggio le nostre città non saranno mai bike-friendly. Ho molti amici a Milano che mi segnalano la loro preoccupazione nel circolare a Milano in bici ed è solo un esempio del timore e della percezione di insicurezza che si vive in molte città italiane, con la diretta conseguenza di un maggior impiego dell’auto per spostarsi. Le città devono lavorare per arrivare ad azzerare i morti su strada, ma purtroppo questa volontà non la sento forte. In ogni caso occorre puntare alle “città 30” e ce lo stanno dimostrando numerose realtà in Europa».

Le stesse Nazioni Unite hanno sposato questo intento. In occasione dell’edizione 2021 della Settimana per la sicurezza stradale l’Onu ha lanciato la campagna “Streets for life #Love30” il cui obiettivo è di “umanizzare la velocità” in tutte le città, i paesi e i villaggi del mondo, riducendo la velocità da 50 a 30 km/h dove le persone camminano, vivono e giocano.  

Avviare zone 30 in città non è un’operazione impossibile e qualche città le ha attuate. Reggio Emilia lo ha fatto dal 2009, una delle prime città italiane ad adottare Zone 30 diffuse. Dondé lo ricorda perché è stato l’artefice di questo cambiamento, chiamato come consulente dall’allora sindaco Graziano del Rio (lo stesso che, divenuto ministro delle Infrastrutture è stato il principale promotore delle infrastrutture ciclabili in Italia) ad avviare un percorso virtuoso. «All’inizio non è stato facile, come non lo è mai avviare un nuovo modello, ma oggi il consenso sulle zone 30 in città è molto alto. Siamo arrivati a questo traguardo grazie a un lavoro che ha compreso un’adeguata comunicazione ai cittadini, spiegando caratteristiche, motivi e benefici, contribuendo a creare una cultura adeguata e un consenso che si può avere solo con la conoscenza. Solo dopo si lavora a modificare gli spazi urbani».

Lo stesso è stato fatto a Olbia (città con una giunta di centro-destra), prima città italiana con limite a 30 km/h sul tutto il territorio comunale dal 2021, dove Dondé ha collaborato ed è uno dei primi artefici delle zone 30 in Italia, che si stanno sperimentando anche a Milano, mentre Bologna è divenuta la prima grande “Città 30”.
Certo: siamo lontani dalla Spagna che ha prescritto il limite dei 30 km orari in tutte le strade a una singola corsia di marcia nei contesti urbani.

Un tema cruciale spesso sollevato è relativo ai costi che interventi di questo tipo per promuovere la mobilità sostenibile in città possono generare. «È una domanda che spesso sento rivolgermi a questo riguardo: ma ricordo che in Italia si spendono di quasi 18 miliardi di euro (0,9% del Pil nazionale) come costo sociale degli incidenti stradali (dati rapporto Aci-Istat su 2022 – nda). È paragonabile a una manovra finanziaria. Quindi, lavorare sulla sicurezza stradale significa innanzitutto risparmiare, è un investimento a lungo termine che ha riflessi positivi».

Ridisegnare una città costa, certo: ma -ricorda lo stesso architetto – il modello Barcellona è un esempio di urbanismo tattico con interventi iniziali a basso costo e imitabili in molte città italiane: «hanno fatto interventi in sola segnaletica, creando un sistema a sensi unici che impedisce di attraversare i quartieri, lasciando così solo il traffico dei residenti. Solo successivamente si sono fatte pianificazioni e investimenti nei progetti di consolidamento di questi interventi. Così si deve lavorare: nel frattempo si creano occasioni per incontrare i cittadini, di stabilire con loro relazioni e momenti per spiegare quanto si sta facendo e si vorrà fare».

Mobilità sostenibile in città: l’opinione dell’esperto di bike economy 

Quali sono le priorità e i costi potenziali per attuare misure concrete che possano valorizzare e sviluppare la mobilità sostenibile, ciclabile e sicura? Risponde Gianluca Santilli, avvocato, fondatore e presidente dell’Osservatorio Bikeconomy, attualmente consulente della Commissione reale dell’Arabia Saudita e della Regione Abruzzo per la promozione e la valorizzazione del turismo sostenibile, con un’attenzione particolare al cicloturismo.

«Non è possibile dare una risposta univoca perché le città sono totalmente differenti, caratterizzate da una genetica urbana peculiare. Lo stesso modello di “città dei 15 minuti” a Roma la vedrei molto bene in determinati quartieri e negativamente in altri. La prima misura da attuare, quindi, è una pianificazione che non deve riguardare solo bici e ciclabili, ma l’intera mobilità cittadina e le infrastrutture dedicate. Solo così è possibile realizzare interventi efficaci, altrimenti si rischia di arrivare all’esempio, sempre di Roma, dove il 90% delle ciclabili sarebbero da rifare, perché cervellotiche e in grado di complicare la vita agli stessi ciclisti, oltre che agli automobilisti.
E serve partire dall’assunto che non è possibile pensare che nel futuro potranno esistere città in cui circoleranno solo bici e pedoni».  

Questo lavoro progettuale dev’essere svolto da esperti, sottolinea Santilli. La pianificazione generale va realizzata, analizzando tutte le situazioni e le complessità. «Torno ancora all’esempio della città capitolina: in essa si contano un milione e 800mila auto circolanti al giorno. Cosa occorre fare per ridurle e che tipi di alternative è possibile garantire agli automobilisti? Per questo va svolto un attento lavoro di analisi, impiegando anche la tecnologia, sulla città e la provincia, come è stato fatto, per esempio a Milano col Biciplan Cambio, un’infrastruttura per la ciclabilità di 750 km, perfettamente inserita nel piano di mobilità della Provincia di Milano. Occorre inoltre evitare infrastrutture a uso promiscuo, dove possono circolare bici, pedoni e altri mezzi, perché pericolose».

Ci sono poi altre misure, che contemplano anche il trasporto locale e le auto condivise (favorendo e supportando l’adozione del car sharing e car pooling).

Rispetto ai costi, lo stesso Santilli risponde: «una ciclabile fatta bene ha un costo che si aggira sui 2-300mila euro a chilometro. Quindi, è molto più economica di ogni altro tipo di infrastruttura stradale e stiamo parlando di un’infrastruttura realizzata a regola d’arte. Tuttavia, occorre pensare innanzitutto alla sua fattibilità, perché non è realizzabile dappertutto». Il pensiero va, ad esempio, alle ciclabili nate e già oggi da modificare come quella sulla Tuscolana, perché ha accentuato e intralciato il traffico ed è utilizzata pochissimo dai ciclisti.

«Ma accanto ai costi, occorre anche analizzare i benefici ottenibili con lo sviluppo di infrastrutture per le biciclette e più in generale con un incremento della mobilità sostenibile. Pensiamo solo a quelli per la salute offerti dalla possibilità di muoversi in bici o a piedi, che hanno valori misurabili in centinaia di milioni di euro. Ecco perché l’economia della bici ha un valore enorme in termini di salute, qualità dell’ambiente, trasformazione smart delle città, valorizzazione turistica dei territori, che generano grandi opportunità economiche e occupazionali».

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