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In un’intervista rilasciata a “La Repubblica”, l’architetto Stefano Boeri ha raccontato un nuovo modo di concepire gli spazi dell’abitare e la vita in città all’indomani della cessata emergenza sanitaria provocata dal Covid-19. Diversi studi in questo periodo hanno individuato una correlazione tra l’accentuata diffusione del virus in alcune aree urbane e l’alta densità di particolato presente all’interno delle stesse. A cura di Fabiana MurgiaAlla luce di queste rivelazioni non è difficile capire il motivo per cui l’architetto Boeri spinge verso un modo completamente nuovo di vedere la città, auspicando addirittura in una “ritrazione dall’urbano, per lasciare spazio ad altre specie viventi”. Lo scenario a cui assistiamo oggi e quello di una Milano che rinasce tra balconi verdi e logge fiorite, dimostrando il cambio di rotta intrapreso dall’uomo di città più che mai intento a cercare lo spazio vitale e a ridare importanza a una concezione del verde da tempo trascurata. La posizione di Boeri in questo senso è sempre stata molto chiara e lo dimostra l’approccio architettonico volto alla riforestazione degli spazi urbani che contraddistingue ogni sua opera. Basti pensare al ben noto Bosco Verticale con il quale ha voluto restituire alla metropoli meneghina l’identità, spesso perduta, di luogo naturale che vive del respiro delle piante. La situazione creatasi a causa della diffusione del coronavirus ci ha costretti nelle nostre abitazioni, stravolgendo il nostro modo di vivere e costringendoci a fare i conti con una realtà che risultava essere già inappropriata alla nostra vera natura, ma che non avevamo il coraggio di rivalutare. Stefano Boeri intraprende la strada giusta riconoscendo all’Italia un patrimonio di borghi abbandonati che necessitano di essere salvati, non solo per il loro valore storico, ma per offrire all’uomo l’opportunità di “ricominciare a respirare” come non avviene da tempo. L’idea è quella di realizzare un grande progetto nazionale di riqualificazione che coinvolga paesi e piccoli centri abbandonati per far fronte alla migrazione rurale prevista per il post-emergenza. Lo stesso Boeri ha dichiarato che, per la fine dell’emergenza, “in Inghilterra già si prevede una grande spinta verso l’abbandono delle zone più densamente abitate” e lo stesso scenario è prevedibile anche per l’Italia, con la previsione che chi possiede una seconda casa, con molta probabilità, deciderà di trasferirvisi, o di trascorrervi lunghi periodi, sfruttando la comodità e le potenzialità dello smart working. Secondo le stime espresse dall’architetto “Ci sono 5800 centri sotto i 5mila abitanti, e 2300 sono in stato di abbandono”. Cosa succederebbe se si prendesse seriamente in considerazione la possibilità di riportare a nuova vita questi piccoli centri? Boeri considera questa esperienza un’occasione per ripensare il proprio modo di vivere e sottolinea che “uscire da questa tragedia senza capirne le concause, sarebbe un vero spreco”, detto ciò è importante fare sempre attenzione affinché “la sorveglianza digitale e le barriere non prevalgano sulle nostre vite”. Il progetto di Boeri ruota attorno al tema del “portare tutto all’esterno”, dotando i negozi di dehors affinché il virus non trovi terreno fertile per una nuova diffusione nei luoghi chiusi, e sottolineando la necessità di “togliere le tassazioni per chi occupa uno spazio esterno”. Quel che serve è sicuramente “più spazio per noi, meno per le auto”, il che si traduce in meno spazio alla bassa e compromessa qualità dell’aria che, a causa delle polveri sottili, indebolisce il nostro organismo e ci rende maggiormente suscettibili agli attacchi dei virus. Quindi, per concludere, Boeri lancia un invito e un appello: “Usiamo le piazze, facciamo una campagna ‘venite nelle piazze italiane a fare cultura’”. Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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