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Sono 3600, solo nella capitale, i beni culturali di composizione calcarea al momento riportati nella Carta del Rischio del Patrimonio Culturale (ISCR), mentre quelli con composizione bronzea sono 60: entrambe le tipologie sono principalmente collocate nel centro della capitale. Nonostante la potenziale aggressività territoriale di Roma sia risultata relativamente bassa, la perdita di superficie – quantificata attraverso la realizzazione di “mappe di danno” – è risultata essere compresa tra 5,2 e 5,9 micron l’anno per il marmo e 0,30 e 0,35 micron l’anno per il bronzo. Sono solo alcuni dei dati pubblicati dall’ISPRA e dall’ISCR, che hanno illustrato i loro 15 anni di attività congiunta, in cui hanno messo in comune conoscenze e dati per migliorare le informazioni relative all’impatto dell’ambiente sui beni culturali e per implementare quelle sull’interazione tra le opere d’arte e il territorio in cui esse sono collocate, al fine di programmare le attività di manutenzione di un bene e gli eventuali interventi di restauro. Due, ad oggi, i filoni di ricerca sviluppati all’interno del Protocollo d’intesa: la valutazione degli effetti dell’inquinamento atmosferico e di altri fattori di pressioni antropici sui monumenti e il dissesto idrogeologico e Beni Culturali. Negli ultimi decenni, il degrado dei materiali esposti all’aperto ha subito un’accelerazione e in generale è stato registrato un incremento della velocità con cui alcuni processi, coinvolti nel degrado, evolvono nel tempo; l’inquinamento atmosferico è risultato un fattore di pressione determinante per le superfici dei monumenti esposti all’aperto. L’impatto delle sostanze inquinanti emesse in atmosfera sui materiali costitutivi dei monumenti è ingente ed irreversibile a causa della mancanza di sistemi di autorigenerazione, che sono invece presenti negli esseri viventi. Non esistono, al momento, valori limite specifici per gli effetti dell’inquinamento atmosferico sui beni di interesse storico – artistico. Sola eccezione, in Italia, sono le opere d’arte esposte all’interno dei musei. E’ evidente come sia necessario monitorare le condizioni ambientali del territorio in situ: per questo, ISPRA e ISCR hanno avviato nel 2013 una campagna sperimentale, con la collaborazione di ARPA Lazio, condotta presso 7 siti selezionati a Roma, all’interno del Grande Raccordo Anulare (in corrispondenza di altrettante stazioni della rete di monitoraggio della qualità dell’aria), per individuare una correlazione tra la ‘dose’ (le concentrazioni di inquinanti presenti in atmosfera e l’intensità dei fattori climatici) e la ‘risposta’ (il danno subito dai materiali esposti espresso come perdita di materiale e sporcamento). In particolare, mentre i provini di marmo mostrano una leggero sporcamento nel tempo – che risulta più evidente nei siti caratterizzati da concentrazionipiù alte di particolato atmosferico – per il vetro ed il rame invece lo sporcamento ha mostrato un significativo aumento nel tempo in tutti i siti. Ancora: la perdita di materiale (erosione) calcolata sperimentalmente sul campione in situ, si è attestata su 3-4 micron all’anno. Negli ultimi anni, è stato anche affrontato il problema dell’impatto dei cambiamenti climatici sul patrimonio culturale, identificando i parametri ambientali prioritari che ne determinano il degrado, sviluppando un primo caso di studio per la città di Ancona (nell’ambito del progetto LIFE ACT). Il rischio per i beni storico-artistici, è stato analizzato in funzione di due componenti: lo stato di conservazione (vulnerabilità) di alcuni beni di natura calcarea (i 25 monumenti architettonici e 2 beni archeologici) selezionati nella città e la potenziale aggressione ambientale (pericolosità intesa come erosione) del territorio anconetano: quelli che, dalla correlazione tra lo stato di conservazione e il potenziale danno da erosione, risulterebbero maggiormente a rischio sono la Mole Vanvitelliana o Lazzaretto, il Tempio di San Rocco, la Chiesa del SS Sacramento, la Porta Farina e la Chiesa del Gesù. Per ciò che riguarda il secondo filone di studio, quello relativo al rischio idrogeologico, sono quasi 14.000 i Beni Culturali archeologici ed architettonici esposti a rischio da frana, 28.483 i beni esposti ad alluvioni con tempo di ritorno fino a 200 anni e 39.025 quelli esposti ad alluvioni rare ma di estrema intensità con tempo di ritorno fino a 500 anni. Tali dati derivano dall’elaborazione delle seguenti banche dati: Beni Culturali Vincoli In Rete (VIR), curata dall’ISCR; Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia (Progetto IFFI) realizzato dall’ISPRA e dalle Regioni e Province Autonome; mosaicatura delle aree a pericolosità idraulica (D. Lgs. 49/2010 di recepimento della Direttiva Alluvioni) redatte dalle Autorità di Bacino, Regioni e Province Autonome. Dalle elaborazioni emerge che, relativamente alle alluvioni, nel comune di Roma i Beni Culturali immobili esposti a rischio idraulico con tempo di ritorno fino a 500 anni sono 2.204 e l’area inondata comprenderebbe anche il centro storico (Piazza Navona, Piazza del Popolo, Pantheon). Nel comune di Firenze, i beni immobili esposti a rischio idraulico con tempo di ritorno fino a 200 anni risultano 1.145, tra cui la Basilica di Santa Croce, la Biblioteca Nazionale, il Battistero e la Cattedrale di Santa Maria del Fiore. Per quanto riguarda le frane, numerosi sono i borghi storici interessati da fenomeni di dissesto, quali ad esempio Volterra (PI) con il crollo di una porzione delle mura medievali nel 2014, Civita di Bagnoregio (VT) e Certaldo (FI). Negli ultimi anni diversi borghi sono stati oggetto di interventi di consolidamento e riduzione del rischio idrogeologico. Più di 14.000 i beni esposti a frane in Italia 2 Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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