L’artista ha inteso rappresentare la disgregazione di Babilonia: giacimento culturale gigantesco e inesauribile, i cui resti non sono sempre facili da identificare. Metamorfosi, tema della IX Biennale di Architettura di Venezia del 2004, allude alla trasformazione, al tentativo di definizione ultima di un processo di mutazione architettonico-costruttivo, iniziato un illo tempore. Massimo Scolari aveva già ideato per la V Biennale del 1991 la fine del viaggio dell’argonauta: le ali dell’ipotetico aliante erano atterrate – che fatica costruttiva trattenere quelle ali in bilico ed aggettanti sul rio dell’Arsenale! – proprio all’entrata della Mostra. Ora quelle ali sono collocate sulla Scuola di Architettura di S. Marta, che il Rettore Marino Folin ha voluto come simbolo della nuova sede per la didattica. Scolari ha progettato e realizzato un evento mitico: il collasso della Torre di Babele. La torre – ecco l’idea metamorfica! – è generata proprio dalla rotazione dell’ala attorno al suo profilo rettilineo. Il viaggio dell’ala non è dunque concluso, è solo tappa di una trasformazione evolutiva di forma a conferimento di nuova vitalità di pensiero, sottendendo un’idea di tempo ciclico, non lineare. La conclusione dell’evento non è definitiva, poiché il processo riprende ab initio. Pertanto, nella Torre generata dall’ala dell’aliante, più che l’istante della distruzione, è contemplato un avvenimento, che trasforma la forma, non il pensiero. Ciò che permane invariato è il viaggio intellettuale, pur con tappe interruttive: esso si conclude solo per rigenerarsi ad un nuovo viaggio. Volo o traslazione di materia, la Torre inaugura dunque – quale la potente e misteriosa forza che solleva la Torre orientale e la ricolloca in laguna, dove l’imperscrutabile ira del Dio, la fulmina, distruggendola? – una nuova avventura. Attorno al relitto, la pietà degli uomini ha eretto un involucro: il Padiglione Italia, che, pur nell’intenzione di proteggerlo, lo costringe in un angusto spazio, dopo che la Torre aveva vissuto gli spazi eterei, in continua lotta con nembi a cirro-cumoli. La catastrofe vera mi pare sia non tanto la violenta scomposizione – l’Artista sembra comunque indicare la sua facile ricomponibilità, grazie al precisissimo meccanismo di centraggio evidente nell’interfaccia dei rocchi a terra – quanto piuttosto la constatazione che la Torre sia stata inghiottita dai fanghi lagunari e a nulla vale la pietà umana che si china a proteggere ciò che miracolosamente si è salvato. A molti altri pensieri inducono questi tre rocchi, così distanti nella loro metallica freddezza dal crudo mattone tenuto assieme dal bitume come la tradizione babilonese o biblica ci ha tramandato. Anche il materiale costitutivo ha subito una potente metamorfosi. Più che ai piani di una ziggurat, i rocchi alludono ad una colonna senza fine, alla colonna infinita, di brancusiana memoria, perché il cielo non ha fine, e con lo stesso Scolari annota in un suo scritto su Rassegna (1989), la conicità indica un punto di incontro prospettico irraggiungibile. Metamorfosi anche come risposta ad inspiegabili eventi che la Torre di Scolari sostiene: Torre di rotazione, circolare, anziché di mattoni mai cotti. Scala interna cilindrica, con conseguente negazione della tradizionale rampa a spirale esterna, come un tentativo dell’uomo di trovare una via segreta di ascensione al cielo per scrutare gli dei. E comunque gli è impedita l’uscita dall’ultimo rocchio, nonostante la propulsione della turbina o della coclea archimedea, alla cui immagine rimanda la spirale metallica dell’intradosso della scala. Ma poi, perché tentare spiegazione dell’insetto perfetto che ha superato, nella sua metamorfosi, le tappe necessarie al percorso evolutivo? Trovo di ottima fattura i tre rocchi di legno (HABITAT Legno), così come il torsolo metallico (CMP Camuna). Nelle due precedenti performances lignee di Scolari, le già citate ali dell’aliante a la straordinaria gigantografia del nodo del telaio del celeberrimo ponte che Cesare, nel 54 a.C., ordinò per passare il Reno, realizzato nel cortile di Palazzo Barbaran da Porto a Vicenza, sede del Centro studi palladiani, la collaborazione con HABITAT Legno si era dimostrata fruttuosa e sinergica. Uscire dalla pratica costruttiva di grandi strutture di legno lamellare e portare a compimento le opere di Scolari è sicuramente più facile scriverlo che farlo. Si tratta infatti di rendere normale e semplice lo straordinario! Ma HABITAT Legno ci ha abituati a queste sfide. Consiglia questo comunicato ai tuoi amici