This is water, una riflessione di Alfonso Femia per la Giornata internazionale dell’Acqua

Parlare d’acqua, passando per la felicità e per l’architettura. Esiste una rete alternativa a quella digitale fatta di correlazioni invisibili, o che non siamo capaci di vedere, su cui si fonda il nostro vivere, abitare, lavorare. Che non possiamo trascurare se vogliamo arrivare a domani.

This is water, una riflessione di Alfonso Femia per la Giornata internazionale dell’AcquaIndice degli argomenti:

E’ diventato talmente famoso il discorso che fece David Foster Wallace, nel 2005, alla cerimonia di laurea del Kenyon College che spesso si cita la storiella senza conoscerne l’origine.

Ci sono questi due giovani pesci che nuotano e incontrano un pesce più vecchio che nuota in senso contrario e fa loro un cenno, dicendo: “Salve ragazzi, com’è l’acqua?” e i due giovani pesci continuano a nuotare per un po’ e alla fine uno di loro guarda l’altro e fa: “Che diavolo è l’acqua?”.

Tanto più qualcosa è evidente per la nostra esistenza, quanto più è invisibile ai nostri occhi e al nostro sentire.
Acqua è pioggia, neve, grandine; è nelle falde sotterranee quelle naturali e quelle artificiali.
Ma è nei mobili, perché è stata l’acqua a nutrire il legno delle piante che è stato utilizzato per costruirle. È sui muri delle case, nelle vernici con cui sono dipinte.
È nei nostri bicchieridi qualunque sostanza siano riempiti.
È dentro il corpo umano e di ogni essere vivente.
È mare, fiume, lago.
Disorienta e minaccia, accarezza e nutre.

Serve l’acqua per star bene

In tempi di coronavirus e di emergenza sanitaria mondiale, potrebbe sembrare un diversivo intellettual/scientifico parlare di crisi ambientale e di stress idrico.
È passata sotto silenzio la Giornata Internazionale della Felicità, che si celebra il 20 marzo e anche la Giornata Internazionale dell’Acqua viene ricordata più per dovere di calendario che come occasione per informare e sensibilizzare sulla sostanza sui cui si fondano gli ecosistemi biologici e artificiali della nostra vita.

Quando si parla di felicità, si parla (anche) di benessere. L’Istat misura il benessere equo e sostenibile BES, attraverso dodici indicatori che raccontano come lo “star bene” individuale e collettivo sia descrivibile attraverso parametri che non sono solo legati allo sviluppo economico e alla capacità finanziaria.

Nel documento dell’Istat, l’incipit del decimo indicatore, “Ambiente” recita “Un ambiente naturale vitale e resiliente costituisce un requisito essenziale per garantire un autentico benessere per tutte le componenti della società. Acqua pulita, aria pura e cibo non contaminato sono possibili solo in un contesto ambientale “sano” in cui le attività umane produttive e sociali si combinino con la natura rispettandone l’integrità strutturale ed evitando che il metabolismo socio-economico (i flussi di materia ed energia attivati dall’uomo) ecceda le capacità di fornitura di materie prime e di assorbimento dei residui dell’ambiente naturale. In sintesi: se le nostre società non riescono a vivere entro i limiti di un solo Pianeta (i planetary boundaries di Rockstrom), il benessere non può essere né per tutti né duraturo.”

I planetary boundaries di Rockstrom
I planetary boundaries di Rockstrom, Stockholm Resilience Center – Credit: J. Lokrantz/Azote based on Steffen et al. 2015.

Il documento mette al primo posto, tra le dimensioni utili a descrivere in modo efficace come l’ambiente contribuisca in modo essenziale al benessere collettivo, la qualità delle acque. Prosegue poi con “la biodiversità che, insieme al clima, è al centro del dibattito internazionale sui rischi che comportano per la sostenibilità ecologica i cambiamenti in atto su scala planetaria, legati agli attuali modelli di produzione e consumo. I servizi ecologici che la biodiversità garantisce in ambienti marini e terrestri sono una base essenziale per la produzione di risorse, la purificazione dell’acqua e dell’aria e, in generale, per il mantenimento del capitale naturale, la cui fruizione impatta direttamente sul benessere delle persone”.

Cominciamo a leggere qualche correlazione in modo più evidente: non ci verrebbe da dire che siamo felici per l’acqua, eppure saremmo profondamente infelici senz’acqua o con un’acqua di cattiva qualità. Saremmo altrettanto infelici anche se l’acqua fosse “troppa”.

Ma torniamo all’attualità di questi giorni e alla biodiversità, tema che è emerso con forza ma, purtroppo, troppo spesso con scarso rigore scientifico, per risalire all’origine del virus covid19.

Si parla di spillover in modo disinvolto, attribuendolo a scenari da film ambientato nei mercati asiatici e cinesi. Il rapporto WWF sulle pandemie, pubblicato di recente, mette in correlazione le malattie che investono il pianeta con la “dimensione epocale” di perdita di natura, “conseguenza indiretta del nostro impatto sull’ecosistema”.
Come impattiamo sull’ecosistema lo sappiamo (ce lo stanno spiegando in molti con grande forza mediatica) e come questo influisca sull’acqua è altrettanto evidente.

Ecco che siamo tornati all’acqua, elemento al centro della generazione del benessere sia presente, sia futuro.

Eravamo partiti dal pesciolino di Wallace che, nonostante fosse immerso, si chiedeva cosa diavolo fosse l’acqua.
La domanda, in realtà, è particolarmente centrata per noi, “pesci fuor d’acqua”, perché l’acqua non sta più al suo posto: eccede e fagocita luoghi e territori oppure manca e non consente di vivere gli ambienti inariditi, oppure, subdola, sgretola e rende insicuri tratti montuosi e costieri portando alla soluzione drammatica di abbandono dei luoghi.

Ed è qui che entra in gioco la responsabilitàpersonale prima che professionale – di progettare, abbandonando i modelli ancorati al passato e i loop di un pensare, ancora in corso, ma ormai remoti e inattuai.
La mutazione per l’architettura non è una scelta, ma un obbligo generato dal cambiamento dei suoi “supporti”, la terra e l’acqua.

Ecosistemi d’acqua: la poesia del progetto idraulico

Alfonso Femia architettoAlfonso Femia progetta con l’acqua, da quando fa architettura.
Per appartenenza geografica, nato calabrese in una terra dove il dissesto idrogeologico governa la vita e la mobilità di molte piccole e storicamente preziose comunità…, affacciata sul mare per tre lati; genovese d’adozione, ligure nella sua visione progettuale dei waterfront di La Spezia e delle opere a Genova e a Savona; milanese, con la delicata sensibilità che disegna edifici in una città d’acqua quasi tutta tombata e parigino, sulle rive della Senna, in una dimensione di acqua urbana che governa flussi e vita.
Per professione e per passione, con i progetti nella città del Tevere, a Roma e nelle opere a Marsiglia, Lione … tutte città d’acqua.

Per impegno, per responsabilità, per amore e rispetto dei luoghi: paradigmatico del fare architettura con l’acqua è il progetto algerino Base de vie ad Adrar nel deserto rosso, sviluppato su una superficie di 250mila metri quadrati (committente Bonatti, 2014, concept definitivo).

Base de vie Adrar, Algeria. Progetto di Atelier(s) Alfonso Femia, 2014
Base de vie Adrar, Algeria. Progetto di Atelier(s) Alfonso Femia, 2014

Da un’occasione di pianificazione della morfologia progettuale di un campo di estrazione per il gas è nata l’opportunità di mettere a sistema l’esperienza in un modello concettuale/operativo di intervento nei luoghi che, per rinascere e accogliere delle comunità produttive, hanno bisogno di una configurazione sostenibile dei principi vitali dell’uomo.

Base de vie Adrar, Algeria. Progetto di Atelier(s) Alfonso Femia, 2014

Nel progetto di Adrar, l’acqua invisibile (sotterranea, 50 metri sotto la quota del deserto) diventa l’elemento per l’infrastrutturazione verde, fatta di eucalyptus e palme, per filtrare il vento di grecale e creare dune protettive.

Modellino di Adrar, Alfonso Femia
Modellino di Adrar

Si realizza così un ecosistema autonomo, con una rete interna di orti e attrezzature agricole che funziona in un percorso circolare di connessioni, con una dimensione collettiva centrale rispetto all’insediamento e all’habitat di microcellule residenziali intorno.

Adrar è un’oasi contemporanea che integra le risorse naturali e trasforma l’artificio in un elemento compatibile con un percorso ecologico. Il progetto prevede un “sistema idraulico” in grado di gestire raccogliere e convogliare l’acqua nei suoi differenti usi per garantirne una gestione dinamica e ottimizzata, per ridurre gli sprechi e limitarne la manutenzione. I canali di connessione sono parzialmente esposti (fessure) e in parte “chiusi”, in modo da raffreddare per brevi periodi l’acqua che vi scorre dentro.

Architettura, acqua e tempo: “Tempodacqua”

La missione di Alfonso Femia per una progettazione responsabile l’ha spinto ad assumere un impegno concreto che sviluppa parallelamente alla professione di architetto.

Nel 2019 ha creato il progetto Tempodacqua, in esordio alla terza edizione della Biennale di Architettura di Pisa, una piattaforma permanente di informazione, ricerca e cultura sui temi dell’acqua, del design e dell’architettura.

Il sito www.tempodacqua.com accoglie tutti i contributi progettuali, le video testimonianze legate ai dieci giorni della Biennale pisana e tre sezioni Scenari, Forme e Immaginari, in aggiornamento continuo, che rappresentano un filo narrativo fatto di suggestioni prese dalla musica, dalla letteratura, dal cinema, di citazioni progettuali e di riferimenti scientifici di monitoraggio sull’evoluzione dell’acqua in relazione al cambiamento climatico.

Si affianca il progetto Instagram Tempodacqua, curato da Alfonso Femia e Antonia Marmo, che vuole rappresentare la molteplicità degli sguardi possibili sul tema del Tempodacquavolutamente senza imporre confini funzionali o tipologici, ma con la consapevolezza che l’arte visiva catalizza il miracolo della sinestesia e del risveglio dei ricordi, delle emozioni e dei sogni.

La Biennale di Architettura di Pisa

La particolarità della Biennale pisana 2019, curata da Alfonso Femia, è stata la formula dinamica e interattiva con dieci giornate di talk, lecture e mostre … a base acqua.

La Biennale di architettura di Pisa agli Arsenali_repubblicani

Dall’appassionante ricerca progettuale di Didier Faustino, all’innovativo approccio al territorio dei West8, rappresentati da Marteen Van Der Voorde, dalla sfida urbana della città di Prato, modello virtuoso sul piano internazionale alle sperimentazioni urbane in Paraguay e in Francia, la Biennale ha messo a confronto architetti, urbanisti, designer, artisti per fare il punto sull’aspetto più tangibile del cambiamento climatico: il comportamento dell’acqua in relazione al tempo.

La Biennale ha avuto il grande merito di accendere il riflettore su una criticità importante e a proporre una serie di percorsi concreti per affrontarla.
Accettare che il territorio sia fragile e trasformare questa consapevolezza in forza progettuale”. Se dalla Biennale di Architettura di Pisa si può individuare un orientamento, questa ne è sicuramente la sintesi più rappresentativa.

Oltre all’adesione della comunità progettuale internazionale, Tempodacqua ha avuto il consenso del Consiglio Nazionale degli Architetti e più di cinquanta Ordini Professionali provinciali, gli Ordini regionali di Toscana, Puglia, Emilia Romagna e le Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale, del Mar Adriatico Meridionale e del Mar Ionio che hanno concesso il patrocino valutando il progetto come necessario e condivisibile.

Segnale importante anche il gemellaggio con il progetto Forest Open Night, nell’ambito del programma del Forum Mondiale sulla Forestazione Urbana Milano Calling 2019, che si è svolto in Triennale Milano in coincidenza di data con l’inaugurazione della Biennale di Pisa. Stefano Boeri, presidente della Triennale ha condiviso il progetto Tempodacqua e “il gemellaggio tra i due eventi non si è configurato come mero atto formale, ma come decisa affermazione dell’impegno culturale che il mondo della progettazione italiana sta esprimendo nei confronti dell’ambiente, ricercando azioni concrete per ridurre e mitigare gli effetti del cambiamento climatico.”

La Biennale di Pisa ha ricevuto la Medaglia del Quirinale come evento di particolare interesse, per il quale il Capo dello Stato esprime l’ideale partecipazione.
Se si può già parlare di una heritage della Biennale, questa si focalizza sull’aver affrontato il tema acqua da una molteplicità di punti di vista che hanno identificato l’attuabilità della costruzione di un mondo in cui l’architettura d’acqua sia accoglienza, protezione, difesa ma anche espansione, a partire dalla modalità energetica, fino a quella infrastrutturale, seguendo percorsi e proponendo soluzioni inedite attraverso una molteplicità di “sguardi liquidi” senza pretesa di dare ricette, ha messo a fuoco una visione di fragilità nel rapporto tra territorio-acqua-tempo, che si può riscattare solo abbandonando le soluzioni forzanti messe in atto nell’ultimo secolo”, questo il commento di Alfonso Femia alla conclusione dell’evento.


Alfonso Femia bio

Alfonso Femia è ideatore e co-fondatore di 5+1: lo studio, creato nel 1995 e diventato 5+1AA nel 2005, ha cambiato successivamente la propria denominazione in Atelier(s) Alfonso Femia nel 2017. Nel 2007, con la nascita dello studio di Parigi, Alfonso Femia sviluppa i temi del progetto all’interno di un “atelier” che riunisce tre luoghi caratterizzati dall’identità delle tre sedi, Genova, Milano e Parigi e dove una squadra multidisciplinare dà vita a un luogo unico di progettazione e pensiero, che si nutre delle specificità e delle esperienze di tre città, tre geografie, tre storie.

È stato docente alla Kent State University di Firenze, alle facoltà di Architettura di Ferrara e di Genova e visiting professor all’università di Hong Kong (Cina).

Nel 2015 fonda 500×100 con US e crea 500x100Talk, luogo di incontro e scambio sul tema della città come strumento di dialogo, strutturato in due format coordinati insieme al giornalista Giorgio Tartaro: il SetTalk a Milano e il CityTalk nelle principali città europee e mediterranee.

Nel 2018 crea a Milano la “Maison 500×100” e “Regard(s)”, nuovo spazio dedicato al dialogo, al confronto con l’arte, la fotografia, la letteratura, la musica, l’Uomo.

Nel 2019 è nominato editorial advisor della rivista “iQD”: con l’occasione sviluppa i temi “Brasile invisibile” – insieme ad Antoine Vernholes – e “Mediterranea”, una selezione di considerazioni di respiro internazionale e interviste specifiche.

Nel 2019 viene nominato direttore artistico della Biennale di Architettura di Pisa. Sempre nel 2019 viene selezionato nell’Index Adi-Compasso d’Oro con il progetto della maniglia per porta “(IN)finito per DND Handle” e vince il German Design Award 2020 per la luce a sospensione “Drop by Drop” prodotta da Guzzini.

Tra i suoi progetti più recenti segnaliamo la Dallara Academy a Parma (2018), la nuova sede BNL-BNP Paribas a Roma (2016), Les Docks de Marseille (2016), The Corner Milano (2019), un complesso residenziale di housing sociale a Milano (2020). Recentemente si è aggiudicato i concorsi internazionali per la Prima Zecca di Italia a Roma, per un sistema ricettivo innovativo a Europacity/Parigi e per la nuova città dello Sport a Cosenza
Nel 2020 si aggiudica i concorsi per il nuovo complesso scolastico di Legnago (Vr) e per l’area sportiva Chittolina a Vado Ligure (Sv).

Nel corso degli anni Alfonso Femia è stato autore di diversi volumi, i più recenti dei quali sono “Les Docks Marseille”, “1 e 3 Torri”, “L’Entre-deux” e “Il cielo di Roma”.
Paul Ardenne, autorevole storico e critico di architettura, ordinario all’università di Amiens ha curato la sua biografia in un volume dal titolo “I’m an architect. Alfonso Femia Architettura e generosità” edito da Marsilio a gennaio di quest’anno.


Contributo raccolto da redazione, fotografie di Stefano Anzini

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