Cedolare secca al 26% sugli affitti brevi: la Manovra 2026 riaccende il dibattito tra fisco e turismo

La Manovra prende forma, con diverse novità sugli affitti brevi che hanno suscitato la reazione delle associazioni di categoria: cosa prevede e che effetti pratici potrebbe avere.

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Cedolare secca al 26% sugli affitti brevi: la Manovra 2026 riaccende il dibattito tra fisco e turismo

Il governo è al lavoro sulla Legge di Bilancio per il 2026, con diverse novità sul fronte fiscale che interessano sia i lavoratori dipendenti che il settore dell’hospitality.

In particolare prevede che la la cedolare secca sugli affitti brevi salga dal 21% al 26% fin dalla prima unità locata eliminando l’agevolazione prevista in precedenza per il primo immobile.
Immediate le reazioni da parte delle associazioni di categoria che parlano di “patrimoniale mascherata” e di una stretta che rischia di penalizzare il turismo.

Affitti brevi e cedolare secca, cosa cambia con la Manovra 2026

La novità riguardante la cedolare secca per gli affitti brevi prevede l’applicazione dell’aliquota del 26% per i contratti di locazione inferiori a 30 giorni, anche nel caso di un solo immobile destinato a tale finalità.

Questa novità è un cambio di passo significativo rispetto alla tassazione precedentemente in vigore introdotta dall’articolo 3 del D.Lgs. 23/2011, poi modificata nella scorsa Legge di Bilancio. Fino al 31 dicembre 2025, infatti, si applica l’aliquota ridotta del 21% per il primo immobile, aliquota che sale al 26% dal secondo in poi.

Con la nuova tassazione, invece, il governo intende limitare la crescita degli affitti turistici brevi che, soprattutto nelle città a forte vocazione turistica come Roma, Milano, Firenze e Bologna, hanno diminuito la disponibilità di alloggi a lungo termine a danno di studenti e lavoratori.

Tuttavia, secondo le principali associazioni di settore, la tassazione meno vantaggiosa andrà a colpire principalmente i proprietari non professionisti, i quali spesso sono in possesso di un secondo immobile ereditato e dato in locazione per necessità.

Le previsioni sull’impatto economico della misura

A supporto di quanto detto, il Centro Studi Aigab, associazione italiana gestori affitti brevi, ha reso noto uno studio secondo il quale il 96% delle abitazioni pubblicate sulle piattaforme online appartiene a privati cittadini e che, in circa un terzo dei casi, si tratta di immobili provenienti da successioni.

Conseguentemente, l’aumento dell’aliquota al 26% andrebbe a colpire principalmente i proprietari non professionisti, che subiranno un aggravio fiscale di circa 1.300 euro annui per famiglia.
Aigab insieme a Confedilizia, Aigo Confesercenti e Property Managers Italia, denuncia una “stangata sulla classe media” che rischia di produrre effetti a catena sul settore turistico e sull’indotto: meno immobili online, aumento dei prezzi e possibile spostamento della domanda verso l’estero.

Si apre la possibilità di una revisione

La bocciatura da parte delle principali associazioni del settore turistico ha aperto la possibilità di una revisione da parte del governo. Il vicepremier Antonio Tajani ha espresso la volontà di intervenire in sede parlamentare per ripristinare il regime precedente, sottolineando che “sulla manovra decide la politica, non i tecnici del Mef”.

Il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, invece, difende la ratio dell’intervento, finalizzato a riequilibrare il mercato degli affitti nelle grandi città.

La partita, dunque, è ancora aperta.

Per l’Aigab si tratta di una “patrimoniale mascherata”

Durissima la risposta dell’Aigab. In una nota ufficiale, l’associazione ha definito la novità della Manovra una “patrimoniale mascherata”, destinata a colpire principalmente le famiglie del ceto medio che usano gli affitti brevi come fonte integrativa – e non esclusiva – di reddito.
Se la tassazione sulla cedolare secca salire al 26%, ciò comporterebbe una pressione fiscale complessiva che passerebbe dal 46% al 52%.

Un livello, secondo gli operatori, “sufficiente a spingere molti proprietari verso l’irregolarità o alla rinuncia totale alla locazione”, con ricadute sul valore complessivo del patrimonio immobiliare nazionale, già in sofferenza.

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