In quali casi la prima casa è confiscabile. I chiarimenti della Cassazione

Al contrario di quanto si possa immaginare anche la prima casa è confiscabile in caso di evasione fiscale. Ecco i chiarimenti della Suprema Corte

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In quali casi la prima casa è confiscabile. I chiarimenti della Cassazione

L’Agenzia delle Entrate può sequestrare preventivamente e confiscare la prima casa dei contribuenti che commettono degli illeciti fiscali. A differenza di quanto si possa immaginare l’immobile nel quale i privati hanno la residenza non è intoccabile.

Questo principio è stato stabilito dalla sentenza n. 34484 del 22 ottobre 2025 della Corte di Cassazione, attraverso la quale i giudici hanno stabilito quali debbano essere i limiti della pignorabilità previsti dalla normativa tributaria ed introdotti dal decreto Legge 69/2013. Alcune tutele che i contribuenti davano per scontate non si applicano al procedimento penale, che ha uno scopo ben preciso: sottrarre il profitto del reato, non limitandosi semplicemente a riscuotere il debito.

Il provvedimento della Corte di Cassazione

La decisione assunta dai giudici della Corte di Cassazione prende spunto da un provvedimento di sequestro preventivo, il cui scopo era una confisca. A far scattare questa misura, disposta sull’immobile di residenza dell’indagato, è stata una dichiarazione fraudolenta, un illecito previsto dall’articolo del Dlgs n. 74/2000. Alla misura cautelare reale la difesa si era opposta in ogni modo possibile, appellandosi all’impignorabilità dell’abitazione principale.

Veniva quindi presentato ricorso in Cassazione, dove veniva denunciata la violazione diretta dell’articolo 76, comma 1, lettera a) del Dpr n. 602 del 29 settembre 1973. La difesa, a tutela del proprio assistito, richiamava le forti limitazioni all’azione esecutiva del fisco sull’abitazione del debitore che sono state introdotte dal Decreto Legge 69/2013.

La tesi della difesa, però, è stata respinta dalla Corte di Cassazione, che ha delineato con estrema precisione quali debbano essere i confini della tutela dei contribuenti.

Quali sono i limiti dell’articolo 76

La Corte di Cassazione ha spiegato che il limite alla pignorabilità fissato dal Dpr 602/1973 non trova applicazione nel procedimento penale per una serie di motivi. Il primo – e, forse, più importante – è che la norma si riferisce unicamente alle espropriazioni che sono promosse dall’agente della riscossione, in altre parole dal fisco. Non si possono riferire a quelle che sono state avviate da altre categorie di creditori. Tra l’altro siamo di fronte ad una norma che serve a regolamentare le procedure di riscossione coattiva dei debiti tributari, ma che non è, in alcun modo, un principio generale dell’ordinamento.

Questo significa che non può essere utilizzata per bloccare un sequestro preventivo, che è stato disposto da un giudice penale con uno scopo diverso rispetto alla semplice riscossione del debito.

Prima casa ed unico immobile, una differenza sostanziale

I giudici, poi, hanno colto l’occasione per chiarire la differenza che intercorre tra “prima casa” ed “unico immobile”. La norma invocata non si riferiva alla prima casa, ma all’unico immobile di proprietà del debitore. Siamo davanti ad una differenza sostanziale.

La legge si riferisce alla consistenza patrimoniale complessiva del debitore, non al fatto che un singolo bene fosse qualificato come residenza.

Pignorare la prima casa di un debitore non esclude di fatto che lo stesso possa essere proprietario o comproprietario di altri cespiti, che possono essere terreni, negozi o appartamenti. Nel momento in cui il debitore dovesse essere proprietario di altri beni immobiliari, i limiti che sono stati fissati dall’articolo 76 decadono automaticamente anche per l’agente di riscossione.

Nel caso preso in esame l’indagato risulta essere comproprietario insieme alla moglie di un immobile, nel quale era residente. Situazione che non è stata sufficiente per bloccare la misura penale.

Profitto e debito fiscale, una differenza fondamentale

A determinare quale debba essere il destino dell’immobile nel corso del processo tributario è un altro argomento giuridico: la natura del provvedimento. Una confisca penale non è una riscossione del debito da parte del Fisco: sono due istituti completamente diversi.

In questo caso ad essere particolarmente importante è la sentenza 34484 della Cassazione, nella quale si parla di ablazione penale che ha come oggetto il profitto del reato. Quando si è di fronte all’evasione fiscale il sequestro penale ha un obiettivo ben preciso: sottrarre il vantaggio economico che scaturisce dall’illecito. L’intento di base, quindi, non si limita al semplice recupero delle tasse che il contribuente non ha versato.

Nel momento in cui non dovesse risultare possibile sequestrate il profitto diretto – ossia il denaro che è stato evaso e che, nel frattempo, è stato speso – il giudice può optare per sequestrare un bene equivalente.

Vengono aggrediti, in altre parole, i beni di valore equivalente che si trovano nel patrimonio dell’indagato, come sono gli immobili, fino ad arrivare a coprire l’ammontare del profitto illecito.

I limiti che sono posti dall’articolo 76 devono dunque essere applicati esclusivamente nel processo tributario: il pignoramento dell’abitazione rientra in quel ristretto ambito.

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