La Pratica come Norma – Regole dell’arte e cultura materiale nella manualistica per l’edilizia moderna

Gli anni Venti e Trenta del ‘900 sono stati caratterizzati, in edilizia, da un forte impulso all’innovazione tecnologica, di cui i manuali dell’epoca costituiscono testimonianza e preziosa fonte di informazioni per una corretta prassi di recupero degli edifici del periodo. Una tesi dello Iuav (1) suggerisce utili riflessioni in proposito.

Recuperare il moderno
La crescente domanda di qualità, dell’abitare e dei più complessivi contesti di vita urbana, ha modificato nell’ultimo periodo l’andamento del mercato delle costruzioni orientandolo verso attività di recupero e di manutenzione programmata, senza tuttavia che si sia sviluppata, in molti casi, una parallela riflessione critica sulle modalità di tale intervento sul costruito.
La ristrutturazione delle architetture moderne, in particolare, costituisce un ambito di operatività che non progredisce, nei suoi fondamenti teorici e nel senso dello sviluppo di un approccio conservativo, per la resistenza diffusa di riconoscere dignità di bene culturale a tali manufatti, così inevitabilmente esposti al rischio di trasformazione incongruente o addirittura di perdita. L’edilizia moderna documenta, infatti, modi di progettare e costruire ancora poco approfonditi nelle rispettive linee operative (nonostante l’ampia documentazione d’archivio oggi disponibile), e ciò a causa del rapido abbandono intervenuto di materiali e tecnologie caratterizzati da un insufficiente livello di verifica e incapaci, quindi, di divenire stabile patrimonio – condiviso e partecipato – della cultura tecnica e professionale.

La lezione della manualistica: modernità ma non solo
La formulazione di corretti interventi sui manufatti moderni degradati implica la riappropriazione delle regole che ne hanno definito originariamente i caratteri e che possono essere in parte desunte dai manuali di architettura.
I manuali della prima metà del ‘900 evidenziano in massima misura la permanenza, nella prassi edificatoria di quegli anni, di una cultura materiale – di tipo tradizionale – consolidata, nonostante il contemporaneo impiego di nuovi materiali e la diffusione di nuove concezioni strutturali. Questi aspetti si riflettono, nei cantieri di edilizia minore in un approccio teso al recupero degli elementi costruttivi, mentre, negli interventi di edilizia pubblica, nella considerazione da parte dei progettisti delle caratteristiche del contesto; tratti, questi, caratterizzanti in modo piuttosto netto l’approccio italiano alla modernità.
Esempi significativi del rispetto per l’abaco e per i materiali presi a prestito dal medesimo ambito costruttivo possono essere facilmente rilevati, per esempio, in alcune architetture realizzate a Padova da Giò Ponti, Quirino De Giorgio e Giuseppe Samonà, tra gli anni ’30 e gli anni ’60.

Per una nuova filosofia d’intervento
La storicità degli edifici moderni deve essere intesa, al pari di quelle antichi, come irripetibilità di materiali e modalità costruttive, le quali devono essere riconosciute, soprattutto per non incorrere nei medesimi errori tecnologici che hanno portato alla loro rapida obsolescenza.
Gli strumenti utilizzati per promuovere e indirizzare la conservazione dell’edilizia antica sono stati individuati, nel recente passato, nei manuali di recupero e nei codici di pratica, sperimentati nel recupero di alcuni complessi storici.
I manuali di recupero per il loro carattere grafico e descrittivo, sono finalizzati alla promozione di manufatti degni di tutela e alla acquisizione da parte dei progettisti dei dati necessari alla formulazione di interventi consapevoli. Questi manuali, tuttavia, non dimostrano particolare rilevanza operativa generale, lasciando alla sensibilità e alla preparazione culturale del progettista l’efficacia degli interventi tesi a migliorare le caratteristiche specifiche del manufatto senza alterarne l’integrità formale e strutturale.
I codici di pratica, per contro, definiscono il comportamento professionale da seguire da parte degli operatori durante le fasi d’intervento. Queste indicazioni sono mutuate da regole e attenzioni esecutive derivate da un’esperienza costruttiva consolidata e possono estendersi sia all’edilizia storica sia a quella contemporanea, previa verifica rispetto alle prescrizioni tecniche e normative vigenti.
L’atto di intervenire sull’edificato implica una serie di operazioni tecniche culturalmente consapevoli dalle quali deriva la perdita di significato della dicotomia tra tradizionale e moderno rispetto alla natura dei materiali e delle tecniche. Tale dicotomia è superata dall’importanza di conservare l’autenticità del manufatto perseguendo il criterio del minimo intervento, la compatibilità, la reversibilità e la durata delle opere.
Come già ricordato, nel caso dell’edilizia moderna appare fondamentale recuperare, come per quella antica, le conoscenze e le tecniche originali per intervenire con cognizione, selezionando le nuove acquisizioni in campo tecnologico tra quelle applicabili alle soluzioni tradizionali ritenute valide. Le linee guida per stabilire i limiti di applicabilità degli interventi possono assumere le caratteristiche del codice di pratica professionale da proporre a progettisti, imprese e privati, che intendono recuperare i propri immobili.
Il recupero degli edifici moderni attuato con il codice di pratica, in ogni caso, richiede l’intervento di maestranze qualificate e potrebbe diventare occasione di riflessione sull’artigianato edile che negli ultimi anni ha trovato un rinnovato apprezzamento da parte degli addetti ai lavori e dell’utenza.
A monte di tali considerazioni, tuttavia, è il patrimonio tecnico e culturale degli anni a cavallo fra ‘800 e ‘900 che va ricostruito nel suo più minuto dettaglio, a partire da una attenta rilettura della manualistica che proprio allora conosce, in un’Italia avviata verso un rapido sviluppo industriale, una forte diffusione e che ha nelle edizioni Hoepli il suo fenomeno di punta.

Industria e nuova etica del lavoro
Negli anni successivi alla costituzione dello stato unitario italiano, cominciano a diffondersi molte iniziative editoriali per promuovere un tipo di formazione culturale, di origine tipicamente anglosassone, basata sulla filosofia del “self help”, cioè sull’esercizio delle proprie capacità individuali per poter emergere nella società.
L’orientamento editoriale di quegli anni deriva dalla pubblicazione dell’opera di Samuel Smiles, una: “summa del pensiero industrialista imprenditoriale a uso e consumo del popolo” (2), che fu tradotto per la prima volta in Italia da Gustavo Stafforello nel 1865, ottenendo un vasto consenso di pubblico.
L’opera dello scrittore fu presentata con una locandina che, già nel titolo e sottotitolo, enunciava, con “l’incisività dello slogan” (3), la teoria del “self help”, specificando i valori cui l’italiano medio avrebbe dovuto adeguarsi: ”Chi si aiuta, Dio l’aiuta”- ” ovvero storia degli uomini che dal nulla seppero innalzarsi ai più alti gradi di tutti i rami dell’umana attività” -.
La letteratura smilesiana persegue, infatti, lo scopo di creare una “forma mentis”, adatta a recepire le istanze di una società industriale fondata: ”sull’etica del lavoro, del sacrificio, del risparmio, della perseveranza e della previdenza e soprattutto della libera concorrenza” (4). Le teorie smilesiane si indirizzano al cittadino singolo, per spronarlo all’attivismo e alla crescita culturale, motivandolo a superare le reticenze personali e la preferenza per lavori privi di rischi.
Questo tipo di produzione editoriale era destinata a conquistare, soprattutto, l’interesse della piccola borghesia. Il ceto medio, con un minimo di formazione scolastica, tecnica, artigianale, commerciale, trovava, infatti, in tale pubblicistica, giustificazione del proprio status e uno stimolo per progredire socialmente, accedendo ai ranghi della borghesia imprenditoriale.
La letteratura smilesiana propone un messaggio dai significati ambivalenti, svolgendo – nei fatti – la funzione di preparare il contesto ideologico per la legittimazione della figura dell’imprenditore: da un lato essa diffonde, in un paese ancora legato a forme di produzione di tipo agricolo precapitalistico, la progredita mentalità imprenditoriale anglosassone, dall’altro, si impegna a dimostrare che i problemi sociali, compreso quello della miseria delle masse diseredate, possono essere risolti grazie alla volontà dei singoli.
In questa fase di transizione dell’Italia, da realtà agricola a paese in via di industrializzazione, si colloca “(…) un’iniziativa editoriale che rappresenta per certi versi l’esempio più significativo, più organico e più vasto di letteratura self helpista italiana dell’intero periodo: i manuali Hoepli” (5).

Ulrico Hoepli Editore
Ulrico Hoepli nasce a Tuttwill in Svizzera nel 1847 e con la sua storia personale sembra incarnare l’esempio di persona cui si rivolge la letteratura smilesiana; il fondatore della omonima casa editrice proviene, infatti, da una modesta famiglia: dopo un periodo giovanile di tirocinio a Zurigo presso i maggiori centri librari tedeschi e austriaci, nel 1870, poco più che ventenne, si stabilisce a Milano.
Nel 1871 diventa libraio, rilevando l’attività di Teodoro Laengner e l’anno successivo
Libraio – Editore , pubblicando la sua prima opera : “La guida per arti e mestieri”.
Pur conservando il suo centro a Milano, Hoepli già dai primi anni Settanta stabilisce una serie di contatti con diverse istituzioni, appartenenti anche ad altre città: è curatore delle pubblicazioni della Casa Reale, dell’Osservatorio Astronomico di Brera, dell’Istituto Idrografico di Genova, dell’Accademia dei Lincei di Roma.
Tuttavia, l’editore svizzero non va ricordato per “ le opere e le serie di pregio e talvolta di lusso”, ma perché: ”nella storia della nostra editoria e della nostra cultura Hoepli resta come autore (…) dei suoi Manuali. (…) a questi, ai Manuali, Ulrico Hoepli ha dedicato il meglio di sé e ha legato il nome della sua casa editrice (…)” (6).
Il progetto editoriale di Hoepli si ispira alle enciclopedie dei paesi anglosassoni e francesi ma soprattutto tedeschi: da qui provengono importanti libri contenenti i lineamenti scientifici di diverse discipline come il Meyer Grosses Konversation Lexikon e soprattutto il Grundrisse.
Negli stessi anni, la Libreria Hoepli ha il deposito esclusivo di editori stranieri quali il Lagenscheidt, editore tedesco di dizionari ed enciclopedie, e vende i Baedeker, testi scientifici tedeschi. Le stesse edizioni Hoepli sono in un primo tempo distribuite in Germania, dove i manuali sono venduti come Hoepli’s Hand- bucher.

I mauali tascabili Hoepli
Nel 1875 l’editore svizzero pubblica il primo volume della collana, dei Manuali: il “Manuale del tintore” di Lepetit e in pochi anni, da intelligente autodidatta, diventa affermato editore, specializzato nella pubblicistica tecnica e scientifica.
Il successo imprenditoriale di Hoepli deriva da una fondamentale intuizione: quella di innovare il filone della letteratura del “self help”, trasformandola in strumento di aiuto concreto nello svolgimento quotidiano di svariati mestieri o professioni.
Nei Manuali Hoepli esiste comunque alla base un progetto enciclopedico, che permette di ampliare il loro significato, oltre a quello della semplice collana editoriale destinata agli autodidatti. Il loro valore nella storia della cultura italiana deriva, infatti, dalla capacità di aver organizzato, attraverso un secolo e più, una rete di indicazioni precise del conoscere tecnico, scientifico, storico, umanistico, con un sapiente sforzo editoriale finalizzato ad accogliere le richieste di un pubblico vastissimo di lettori.
La data di nascita della Hoepli, la seconda metà degli anni ’70, coincide, d’altronde, con un periodo di fervore editoriale nell’ambito della divulgazione scientifica: Dumolard, Sonzogno, Vallardi, Bernasconi, Treves a Milano, e Bocca, Roux, Pomba a Torino affiancano alla loro produzione una serie di manuali, dispense, enciclopedie scientifiche di vario genere e di diversi livelli. La collana editoriale della Sonzogno, per esempio, propone una serie di testi raccolti nella Biblioteca del popolo, che si rivolge a un livello sociale più basso rispetto alla Hoepli, con un’ accentuazione popolaresca, una minore attenzione al livello di competenza degli autori, e prezzi più contenuti.
L’impegno editoriale di Hoepli, invece, è indirizzato verso una vera enciclopedia delle scienze, delle lettere e delle arti, con intenti divulgativi, divisa in tre sezioni fondamentali: serie scientifica e letteraria, serie pratica, serie artistica.
Le materie trattate nei primi manuali interessano prevalentemente un pubblico di tecnici laureati, ma anche di studenti provenienti dalle scuole tecniche o dall’università: nel decennio 1875-1885 la proporzione è di 87 libri della serie scientifica contro 40 della serie pratica.
Fin dagli esordi la casa editrice tenta, infatti, di dare vita a un iniziativa colta, rivolta agli esponenti di una cultura tutta urbana e, indubbiamente, lombarda cioè concreta, tecnica, industriosa e fattiva e, nel corso degli anni, si intensifica anche la pubblicazione dei libri della serie pratica, formulata per le scuole professionali, diffuse soprattutto per iniziativa privata, o per gli autodidatti: artigiani, operai, commercianti, contadini.

Un prezioso strumento di formazione al servizio dell’industria
La classe dirigente di fine secolo non tarda ad accorgersi del legame esistente tra preparazione scolastica e progresso economico e promuove una serie di leggi per incentivare lo sviluppo delle scuole a “indirizzo tecnico” in Italia. Nel 1877 viene varata la legge Coppino che impone l’obbligatorietà della scuola elementare e, negli anni 1878-1879, una serie di provvedimenti riguardanti il riordinamento negli Istituti tecnici e delle Scuole d’arti e mestieri.
Negli ultimi anni del secolo si assiste a una diffusione di questo tipo di istituti, che sono frequentati soprattutto da adulti e ragazzi provenienti dalla classe operaia e da quella artigianale. Espressamente per queste scuole, l’editore Hoepli formula il suo progetto editoriale, contrapponendo a una radicata ed elitaria cultura umanistica, la proposta di una formazione più concreta e più allargata, maggiormente adatta a corrispondere agli interessi di una società in profonda trasformazione.
I ceti dirigenti attribuisce molta importanza all’istruzione secondaria, destinata alla formazione del ceto medio di cui si compone: ”la maggioranza della guardia nazionale, del giurì, degli elettori, dei deputati, dei pubblici magistrati e dei funzionari appartenenti ai diversi rami amministrativi”, per trasmettere le esigenze e le ideologie di sviluppo sociale alle comunità periferiche.
Con l’impegno editoriale di Hoepli, assume credibilità “il sapere più propriamente tecnico, delle tecniche e tecnologie più svariate, radicate in quel mondo tecnico confinato nel sottoscala a partire dalla legge Casati del 1859 alla riforma scolastica del Gentile e alle persistenti negligenze secolari della cultura intellettuale che ha
teso a ritenere spirituale e fine solo ciò che è immune da ogni fattività e (…) manualità (…) e quindi ritiene di serie C il mondo delle tecniche” (7).
Non tardano anche i riconoscimenti ufficiali; nel 1900 sia il Ministero della Pubblica Istruzione, responsabile degli istituti tecnici, sia il Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio, incaricato di seguire le Scuole d’arte e mestieri, inviano all’editore attestati di benemerenza e stima per l’attività svolta nella formazione scolastica con la collezione dei suoi manuali.
Attraverso la serie dei Manuali emerge una nazione che scopre la dimensione industriale, dove per la prima volta le tecniche e tecnologie, considerate marginali, vengono accostate alle scienze universitarie: accanto ai manuali di scienze umane, di diritto, storia, religione, linguistica, filologia, letteratura assumono pari dignità quelli dedicati alla pratica. I Manuali, inoltre, sono stati anche una fonte di unificazione rispetto ai linguaggi e alle terminologie, creando una comunità con un medesimo modo di esprimersi nella realtà lavorativa quotidiana.
I titoli, rilegati in tela cartonata, crescono rapidamente di numero : “(…) da 500 entro i primi 15 anni (1897)” a “(…) 1000 nel 1910, a 1500 nel 1926, a 2000 nel 1922”; le tirature oscillano tra le duemila e quattromila copie per edizione e il costo varia dalle 1,50 alle 2 lire a seconda della serie, mentre lo stipendio medio di un ingegnere è di 25 lire al giorno.
Ogni edizione viene costantemente aggiornata e talvolta ricomposta interamente dall’autore o dai suoi allievi, infatti secondo le indicazioni della pubblicità, i manuali rappresentano: ”un Enciclopedia perennemente viva di Scienze lettere ed arti”.

Inevitabile il “matrimonio” con la cultura politecnica
Rinfrancato dal successo della sua iniziativa, Hoepli stringe personalmente accordi con le università italiane e questo gli permette di iniziare una proficua collaborazione con autori nazionali, che affianca a quelli stranieri, già presenti nella serie dei Manuali.
Lo sviluppo concreto della collana è, infatti, intimamente collegato alla nascita dell’Istituto tecnico superiore di Milano, il futuro Politecnico, fondato nel 1859, secondo la legge Casati, come scuola superiore, autonoma dall’università, per incentivare gli studi tecnici e scientifici.
Ideatore e fondatore ne è il matematico Francesco Brioschi, che avanza questa iniziativa per ovviare alle carenze delle istituzioni scolastiche esistenti in Italia, impreparate ai nuovi bisogni della scienza e alle nuove condizioni sociali, progettando di realizzare una scuola per ingegneri, con indirizzi di specializzazione tecnica, in grado di recepire i progressi registrati nelle scienze positive e nelle loro applicazioni e di offrire al pubblico insegnamento un indirizzo totalmente nuovo: l’indirizzo tecnico.
Brioschi guarda in particolare, in seguito a un viaggio compiuto con alcuni colleghi in Germania nel 1851, alle Technische Hochschulen tedesche o al Politecnico di Karlsrhue o di Zurigo, che offrono una spiccato orientamento alla specializzazione, nel senso proprio auspicato e programmaticamente ricercato dalla casa editrice Hoepli.
I titoli scientifici e tecnici della collana dei manuali vengono, così, a essere strettamente collegati al progredire dei programmi di studio del Politecnico, a sua volta dipendente dallo sviluppo delle esigenze produttive del paese: infatti i finanziamenti, per la realizzazione di nuovi laboratori, non provengono dallo stato, ma dall’industria stessa;
il problema delle coperture finanziarie del Politecnico è garantito dalla formazione di un consorzio di istituti d’istruzione superiore presso il capoluogo lombardo.
L’Istituto, d’altronde, diventa immediatamente il punto d’incontro delle forze culturali cittadine e il suo preside gestisce, con un unico consiglio, l’Accademia scientifico letteraria, la Scuola superiore d’agricoltura, l’Orto botanico di Brera, la Scuola superiore di medicina- veterinaria, il Museo civico, l’Osservatorio astronomico, la Regia Accademia di belle arti.
Hoepli diviene, attorno agli anni ’70, l’editore di tutte le pubblicazioni di queste istituzioni milanesi, fra loro collegate, e del gruppo di intellettuali che monopolizza la vita culturale del capoluogo lombardo, influenzato dalla figura di Gaetano Negri, sindaco di Milano tra il 1884 e il 1889. Un gruppo che si esprime nei manuali, contrapponendo alle ideologie il mondo del lavoro, dell’agire economico, e che assume una posizione teorica collegata al primo positivismo, che la classe dirigente accoglie per tenere il passo con il pensiero europeo contemporaneo. I manuali sono, quindi, in conclusione, espressione della scienza applicata o tecnica, che affianca la scienza pura fino ad allora coltivata nelle università, e forniscono una giustificazione teorica all’obiettivo pratico della produzione, costantemente presente nel pensiero di docenti, studenti, editori che lavorano in funzione della nascente industria italiana.

Note
(1) Laura Michelin, “La pratica come norma – Regole dell’arte e cultura materiale nella manualistica per l’edilizia moderna”, Relatore Prof.Aldo Norsa, Anno Acc. 2000/01, Iuav Venezia.
(2) S. Smiles, Self Help, Londra 1859.
(3) Claudio Giovannini, “Pedagogia popolare nei manuali Hoepli”, in Studi storici, n. 1, gennaio- marzo, 1980, cit. pag 95.
(4) Idem, cit. pag. 96.
(5) Idem, cit. pag 97.
(6) Tullio De Mauro, “Il caso Hoepli”, in Alessandro Assirelli, “Un secolo di Manuali Hoepli, 1875-1971”, Hoepli , Milano, 1922, cit. pag. 12.
(7) Idem, cit. pag.16.

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