Il calcestruzzo di ritorno, da problema a opportunità

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Con il progetto Good By-Beton Cisef alcuni operatori del settore sposano i principi della sostenibilità e delle circolarità in economia attraverso il recupero del calcestruzzo ancora fresco di rientro dal cantiere. Con l’impiego di alcuni macchinari è possibile recuperare inerti e acqua

Per le imprese del settore il calcestruzzo di ritorno dal cantiere rappresenta un problema economico e ambientale
Per le imprese del settore il calcestruzzo di ritorno dal cantiere rappresenta un problema economico e ambientale (credits, Betonrossi)

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Non è un’impresa facile ma recuperare il calcestruzzo di ritorno secondo i principi della sostenibilità e della circolarità è possibile. Il modo per farlo, per riprendersi quote consistenti di calcestruzzo dalle autobetoniere di rientro dai cantieri e dirette nelle centrali di betonaggio, esiste.

Il progetto Good By-Beton Cisef

A indicare la strada di un esempio di economia circolare applicata è il progetto Good By-Beton Cisef, un’iniziativa che nasce dall’intuizione di due aziende che operano nel milanese: La Ginestra, una società di escavazione di sabbia e ghiaia di Brugherio, e Cava Visconta di Cernusco sul Naviglio, che opera nel settore del recupero dei rifiuti da demolizione.

Al progetto collaborano anche Betonrossi di Piacenza, che produce calcestruzzo, e il Gruppo Wam di Ponte Motta di Cavezzo in provincia di Modena, che realizza macchinari per gli impianti di betonaggio e che ha ideato l’impianto Cisef.

Schema di funzionamento della macchina di selezione del calcestruzzo di ritorno

Schema di funzionamento della macchina di selezione del calcestruzzo di ritorno (fonte, progetto Good Bye-Beton Cisef)

Il vecchio e il nuovo processo

Il progetto prevede l’installazione nella cava di Brugherio delle attrezzature Cisef (operazione già avvenuta) che, senza aggiunta di additivi chimici, scompongono nei suoi componenti originari il calcestruzzo che le betoniere, per vari motivi, non riescono a scaricare in cantiere con il getto. L’acqua di lavaggio del materiale di ritorno viene filtrata attraverso un idrofiltro e gestita attraverso un circuito chiuso, senza quindi emungere altra acqua dalla falda o dall’acquedotto.

Macchina di selezione del calcestruzzo di ritorno, Schema di funzionamento dell’idrofiltro
Schema di funzionamento dell’idrofiltro (fonte, progetto Good Bye-Beton Cisef)

Negli impianti betonaggio attuali il processo prevede l’indurimento del calcestruzzo di ritorno, la sua demolizione e il conferimento in discarica o agli impianti di recupero dei rifiuti inerti.

Con il progetto Good By-Beton Cisef è invece possibile intercettare il calcestruzzo ancora fresco proveniente dal cantiere per scomporlo nelle sue componenti primarie e consentire che le stesse possano essere recuperate e direttamente reimmesse nel processo produttivo di betonaggio.

Quanto si recupera

Il calcestruzzo di ritorno presente nelle betoniere è una miscela composta di aggregati fini (medi e grossi), cemento, acqua e additivi: l’idea è recuperare sia la maggior parte dei componenti presenti sia l’acqua, dopo averla depurata e chiarificata.

I promotori del progetto hanno calcolato che da un metro cubo di calcestruzzo di ritorno si riesce a recuperare la totalità degli inerti, più parte dell’acqua di impasto; da destinare in discarica rimarrebbe solo il 17% del totale. Ciò significa che l’83% del prodotto di partenza può essere recuperato.

Il macchinario necessario per il recupero del calcestruzzo di ritorno
Il macchinario necessario per il recupero del calcestruzzo di ritorno (fonte, progetto Good Bye-Beton Cisef)

«Il processo sposa il principio dell’economia circolare – afferma l’avvocato Pietro Merlini, esperto di diritto ambientale e di economia circolare -, riduce al minimo la produzione di rifiuti e recupera un residuo di produzione che viene scomposto, come sottoprodotto, in materiali che si possono utilizzare in un nuovo processo di produzione del calcestruzzo».

L’Atecap, l’associazione tecnica ed economica che raggruppa i produttori nazionali di calcestruzzo preconfezionato, stima che il 2-3% del totale del calcestruzzo preconfezionato diventi residuo di produzione.

Se si dovesse considerare solo l’1% del calcestruzzo preconfezionato prodotto annualmente in Italia, secondo i calcoli dei promotori si potrebbero recuperare 500mila tonnellate di aggregati di calcestruzzo, permettendo il reimpiego di significative quantità di materia prima vergine: un numero che corrisponde alla quantità scavata ogni anno in una cava di medie dimensioni.

Se consideriamo che in Europa la produzione di calcestruzzo è stimata in 365 milioni di metri cubi (dati Atecap 2019; nda), applicando il processo produttivo che il progetto sta per sperimentare si potrebbero recuperare circa 13 milioni di tonnellate di aggregato con evidenti benefici sul fronte ambientale.

Con questo processo produttivo sarà possibile ottenere diversi vantaggi: risparmiare sulle quantità di escavazione; eliminare le tre fasi attualmente svolte dagli impianti di betonaggio per la gestione del calcestruzzo di ritorno (indurimento, demolizione, trasporto in discarica o agli impianti); creare nuovi posti di lavoro; ridurre l’impatto ambientale.

Il mercato dei calcestruzzi preconfezionati

Il progetto si colloca all’interno di un settore, quello della produzione di calcestruzzi preconfezionati, che con fatica sta cercando di modificare il proprio profilo originario. Un settore da anni alle prese con una profonda crisi rispetto ai livelli di produzione di un decennio fa e che risente anche dello stallo politico esistente in materia di realizzazione delle grandi opere pubbliche.

Dagli ultimi dati disponibili dell’Atecap, nel 2018, rispetto al 2011, la produzione si è ridotta del 55%; a ciò si è aggiunta una crescente difficoltà del sistema finanziario. Questi due fattori hanno indotto un processo di riorganizzazione produttiva che inevitabilmente ha coinvolto le centrali di betonaggio.

Per quanto riguarda la situazione in Europa, l’Italia è il terzo Paese produttore di calcestruzzo preconfezionato con 27,3 milioni di metri cubi (dato 2017; nda), contro i 51,7 milioni della Germania e i 38,7 della Francia. Alle nostre spalle troviamo Regno Unito (22,9 milioni), Polonia (20,4) e Spagna (13,3).

Caratteristica del sistema italiano nella produzione di calcestruzzi, nonostante il processo di riorganizzazione che si è registrato nell’ultimo triennio, è la presenza di un numero elevato di impianti (2.100 contro i 1.900 della Germania) e di una produzione media per impianto di circa 13mila metri cubi annui, contro un dato medio europeo di 24.365 metri cubi. Elevata è anche la presenza di betoniere: 5.600 contro una media europea di 2.876 (dati Atecap 2019 nda).

In risposta al calo della domanda, diversi produttori hanno avviato progetti di ricerca e sviluppo per la realizzazione di nuove tipologie di calcestruzzo, come i drenanti usati per le pavimentazioni delle piste ciclabili e pedonali, quelli colorati per ridurre il fenomeno delle isole di calore in ambito urbano o quelli ancora con ossidi di titanio per abbattere gli inquinanti.

La ricerca e sviluppo nel settore

«Il progetto Good By-Beton Cisef – sostiene Carlo Merlini, consigliere delegato di La Ginestra – si colloca in questo filone di ricerca e innovazione e fa i conti con i temi della sostenibilità e della circolarità in economia. Ma l’iniziativa ha anche un altro obiettivo: quello della trasferibilità delle attività di ricerca. La tecnologia del progetto sarà infatti utilizzabile in qualsiasi impianto estrattivo e servirà a ottimizzare i rapporti con gli impianti di calcestruzzo, che sono i principali clienti delle cave, e valorizzare una risorsa che altrimenti andrebbe perduta».

La tipologia di macchinario si adatta agli impianti di betonaggio e di cava di qualsiasi capacità produttiva, potendo essere installata in maniera modulare. In caso di incrementi della produzione di calcestruzzo, un singolo impianto si può infatti integrare con una seconda linea di lavaggio e selezione. L’installazione della macchina e la sua messa in opera richiedono pochi giorni di lavoro, fattore questo che rende immediato l’utilizzo della tecnologia.

«I destinatari di questa operazione – afferma Lorenzo Petroboni Peroni, consigliere delegato di La Ginestra e Cava Visconta – sono in primo luogo gli impianti di betonaggio e quelli di produzione di prefabbricati cementizi, ma anche le cave, che hanno così la possibilità di offrire servizi aggiuntivi ai propri clienti in una logica di economia circolare».

Il valore aggiunto

Good By-Beton Cisef nasce dall’esigenza di valorizzare i residui del calcestruzzo di ritorno e di risolvere il problema del lavaggio della betoniera, questioni che oggi vengono gestite in maniera poco efficiente e con costi a perdere.

Sul mercato, infatti, esistono dei separatori che, a fine processo, utilizzando acqua, danno vita a un prodotto inutilizzabile che, solitamente, viene conferito in discarica. Va anche detto che in commercio esistono delle soluzioni alternative che utilizzano prodotti chimici, da cui si ottiene un aggregato la cui possibilità reale di utilizzo, in base alla normativa attuale, è dubbia e valida solo per impieghi di minor pregio, come ad esempio i sottofondi.

«L’interesse nostro e di aziende come la nostra – afferma Enrico Manni, responsabile tecnologico della Betonrossi – è duplice: da un lato si tratta di rendere efficiente ed economico il processo e dall’altro di reimmettere nel ciclo lavorativo prodotti già utilizzati, quindi di aderire ai principi dell’economia circolare e rispettare i criteri Cam per l’accesso agli appalti pubblici. Ma ciò che anche ci interessa è dare un contributo per giungere ad un definitivo inquadramento normativo di processo».

Recupero del calcestruzzo di ritorno, Getto del calcestruzzo dall’autobetoniera
Getto del calcestruzzo dall’autobetoniera (credits Betonrossi)

Insomma, il residuo di calcestruzzo da criticità può diventare un’opportunità, che consente anche di risolvere il problema del processo dell’acqua di lavaggio della betoniera, che viene trattata e recuperata mediante filtrazione. Un valore aggiunto innovativo rispetto a ciò che esiste oggi sul mercato.

I vincoli normativi

«Possibili barriere allo sviluppo del progetto – aggiunge Pietro Merlini – potrebbero essere rappresentate dalla normativa vigente in materia di gestione dei rifiuti e dai capitolati d’appalto pubblici non ancora pronti a recepire i prodotti cosiddetti circolari e anche da un mercato che va quindi stimolato ad accogliere tale novità. Ciò non toglie nulla alla bontà della direzione intrapresa, che è quella chiesta dall’Agenda Onu 2030 e dai Criteri ambientali minimi».

C’è infine un aspetto giuridico collegato al progetto: i promotori ritengono che per poter gestire il calcestruzzo di ritorno come sottoprodotto in sostituzione del materiale di cava, sussistano le quattro condizioni previste dall’articolo 184 bis del decreto legislativo 152 del 2006, il Codice dell’Ambiente.

I costi del progetto

Il progetto, il cui costo di implementazione vale circa 200mila euro e che gode di un finanziamento della regione Lombardia di 80mila euro, è in fase avanzata di sperimentazione.

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