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Indice degli argomenti Toggle Architettura zero sprechiEconomia circolare applicataPionieri della circolaritàL'approccio all’architettura circolare e come viene declinato in cantiereCi sono differenze fra il progetto del nuovo e il recupero con l’architettura circolare?Che tipo di sviluppo potrà avere il concetto di architettura circolare? La spinta alla circolarità in architettura occupa un posto in primo piano nell’evoluzione del progetto dall’idea al cantiere, fino alla chiusura del ciclo di vita del manufatto edilizio. Senza se e senza ma. Sul tema, non a caso, ha premuto l’acceleratore anche la 19. Biennale di architettura di Venezia. Il Manifesto di Economia Circolare, curato da Carlo Ratti con la guida di Arup e il contributo di Ellen MacArthur Foundation, invita a progettare, costruire, gestire e decostruire secondo una visione Whole-Life Carbon, massimizzando l’uso di materiali di recupero, riciclati o rinnovabili o di esposizioni/risorse già esistenti, idealmente di provenienza locale, che ammontino a non meno del 50% in termini di peso, eliminando tutti i rifiuti edili, nell’intento di azzerare gli scarti da smaltire in discarica. Ma anche progettare per la modularità, prefabbricazione e la decostruzione facile con materiali leggeri, sistemi di connessione semplici evitando componenti non necessari puntando al 100% di riciclo o di riutilizzo dei materiali, lavorare a stretto contatto con la catena di fornitura end-to-end, escludere i materiali pericolosi e inquinanti che abbiano un impatto negativo sull’ambiente e sulla salute, mettere in luce il valore ecologico del sito e promuovere un uso efficiente dell’acqua. In questo scenario di transizione profonda fra cultura e pratica del costruire lavora Deerns Italia, società di ingegneria internazionale specializzata in building services, che conta oltre 130 professionisti e 2mila progetti all’attivo tra gli uffici di Milano e Roma, in partnership strategica con la sede Deerns in Olanda. Gli obiettivi sono ridurre l’embodied carbon e aprire la strada alla seconda vita dei materiali da costruzione, secondo una logica virtuosa di recupero, riciclo e riuso, grazie a un nuovo approccio progettuale integrato che comprende ingegneria avanzata, analisi ambientale e strategie di economia circolare. Architettura zero sprechi Il progetto “zero sprechi” riguarda, oltre l’edificio, anche gli arredi e le finiture che possono essere soggetti nel tempo a sostituzioni e modifiche. La multidisciplinarità è la strada da percorrere. Secondo Deerns il processo di progettazione va oltre il concetto di sostenibilità passiva e comprende valutazioni climatiche, Progettazione Parametrica Computazionale (CPD), analisi del ciclo di vita dei materiali (LCA) e strategie di urban mining; tutti elementi che contribuiscono a creare edifici a basso impatto, efficienti e capaci di evolvere nel tempo. Schema circolarità – credits Deerns In cantiere, questo approccio si traduce in un percorso che comprende l’audit dei materiali in fase di pre-demolizione, la definizione di linee guida per il riuso e il riciclo, la tracciabilità dei materiali in uscita, il calcolo delle emissioni evitate e l’integrazione con i principali protocolli ambientali come LEED, BREEAM, WELL, CREEM, TRUE Zero Waste. L’economia circolare applicata all’architettura non si chiude in cantiere, ma allarga la propria azione alla comunità. Centrale diventa il coordinamento con enti donatori e riceventi che possono riutilizzare i materiali e le attrezzature dismessi. Rientra nel lavoro di Deerns una consulenza circolare multi-attore che coinvolge donatori (per esempio uffici in fase di dismissione, investitori con magazzini inutilizzati), intermediari (onlus come Banco Building e Manitese), traslocatori e contractor, e riceventi (come scuole, carceri, spazi per start-up, enti locali), con un documento di censimento e valorizzazione del materiale per ogni progetto. Secondo questa logica, anche smontaggio, trasporto, stoccaggio e riutilizzo seguono i principi “zero waste”, e sono predisposti per garantire efficienza logistica e riduzione delle emissioni di CO₂. Economia circolare applicata Per lavorare in questa direzione Deerns gioca (anche) in casa. Nel caso del trasloco della propria sede da via da Silva a via Monte Rosa a Milano, la società ha reso disponibili gli arredi dismessi a dipendenti, familiari e amici attraverso un’asta interna, il cui ricavato è stato devoluto in beneficenza; gli arredi residui sono stati donati al carcere di Bollate, nel quale sono stati impiegati per arredare nuove aule didattiche. Sempre nel capoluogo lombardo, per la società di investimento privata Ardian, Deerns ha coordinato nell’ambito della riqualificazione dell’edificio in via Amerigo Vespucci una complessa attività di strip-out circolare che ha compreso diversi step: audit iniziale dei materiali presenti; recupero on-site di pavimenti galleggianti, porte tagliafuoco e sanitari; recupero off-site di moquette (conferita parzialmente a Banco Building per un progetto in Camerun), facciate vetrate (recuperate tramite il programma “Take Back” di AGC Glass Europe); donazioni a enti del terzo settore; monitoraggio delle emissioni di CO₂ legate a trasporto e smaltimento. In sinergia con il general contractor e gli stakeholder coinvolti, è stato possibile evitare l’invio in discarica di oltre il 95% dei materiali. Nelle scuole pubbliche di Parigi, la società ha guidato la riqualificazione climatica di dieci complessi scolastici, puntando alla mitigazione dell’effetto isola di calore e al miglioramento del microclima urbano tramite azioni di depaving e utilizzo di materiali chiari, creazione di superfici vegetali e soluzioni di ombreggiamento, ottimizzazione dell’esposizione solare per favorire la mitigazione delle temperature e promuovere la creazione di spazi didattici all’aperto, studi di fluidodinamica per la protezione dell’edificio dal vento invernale, e lo studio della LCA dei materiali per minimizzare l’impatto ambientale. All’aeroporto di Schiphol, in Olanda, Deerns ha applicato l’approccio CPD (Computational Parametric Design), che utilizza gli strumenti digitali parametrici per analizzare scenari energetici e di confort indoor complessi in tempo reale. Sempre a Milano, progetti come Corso Como Place e Casa BFF, nuova sede centrale dell’omonimo gruppo finanziario nell’area del Portello, mostrano come l’integrazione delle rinnovabili tramite facciate attive o canopy possano integrare nell’estetica architettonica fino a 1.000 moduli fotovoltaici, coprendo oltre il 65% del fabbisogno energetico dell’edificio. Pionieri della circolarità Il processo che accompagna la diffusione dell’economia circolare nel mondo dell’architettura è irreversibile, e richiede uno sforzo importante per tutti gli attori in gioco; dalle istituzioni ai progettisti. “Oggi la circolarità non è più una curiosità sperimentale, ma nemmeno la regola del gioco: è entrata nei requisiti di gara dei progetti pubblici e di alcuni privati, però riuso di componenti e reversibilità restano da pionieri – spiega Giambattista Brizzi, Expert Building Physics di Deerns -“. L’Europa sta spingendo forte, con il calcolo del carbonio, embodied e operational, lungo l’intero ciclo di vita per tutti i nuovi edifici, e si parla di Digital Product Passport per tracciare i materiali. I Paesi “frontrunner” stanno già introducendo limiti: la Francia con soglie rigide di embodied carbon entro il 2031; la Danimarca con LCA obbligatoria per tutti i nuovi edifici e limite di 12 kgCO₂e/m²·anno; i Paesi Bassi con una valutazione ambientale obbligatoria ai permessi. Questi paletti stanno cambiando le scelte di progetto. In Italia i CAM, Criteri ambientali minimi, e la relazione di sostenibilità che richiede il calcolo del carbon footprint stanno alzando l’asticella, ma ancora ci si focalizza sulla percentuale di riciclato e si chiede di rendicontare più che di cambiare davvero i progetti. Dove siamo concreti? Stiamo sempre più rigenerando invece di costruire il nuovo. Nei progetti “normali” vediamo riuso dell’esistente, materiali con EPD, Environmental Product Declaration, dettagli a secco nei sottosistemi. Ma la vera partita del riuso dei componenti, dell’urban mining e dell’upcycling resta appannaggio di pochi pionieri, spesso in progetti dimostrativi. Come descrivete il vostro approccio integrato all’architettura circolare e come viene declinato concretamente all’interno del cantiere? Per noi parlare di architettura circolare significa ribaltare lo sguardo: l’edificio non è più un progetto chiavi in mano statico, che si conclude definitivamente una volta consegnato, ma sta diventando un deposito temporaneo di materiali e risorse. È da qui che nasce l’idea di urban mining: quando un immobile chiude il suo ciclo d’uso, ciò che contiene non è un rifiuto ma un capitale materiale pronto a rientrare nel mercato. Cambia così anche il cantiere, che da luogo di demolizione diventa officina di decostruzione selettiva. Tradotto in pratica, vuol dire seguire protocolli di strip-out per separare materiali, tracciarli digitalmente e indirizzarli verso filiere di riuso e upcycling. Ci poniamo il target concreto di recuperare almeno il 95% dei materiali, riducendo al minimo il conferimento in discarica. Il vero valore aggiunto di questo approccio, però, sta nella multidisciplinarietà. Portiamo in Italia le lezioni imparate in Paesi come Francia, Olanda, Germania e Spagna. Questa prospettiva internazionale ci permette di adattare soluzioni locali a una visione europea. La circolarità funziona solo se integrata senza attriti, se le valutazioni LCA dimostrano che il riuso genera davvero un beneficio climatico ed economico. Non basta dire “riciclo”, bisogna misurarne il vero valore. Ci sono differenze, e quali, fra il progetto del nuovo e il recupero dell’esistente con l’architettura circolare? In entrambi i casi – nuovo o recupero – valgono regole comuni come minimizzare i rifiuti e usare componenti riciclati, materiali bio-basede locali. Questo ormai è quasi una prassi, la vera difficoltà non è scegliere prodotti low carbon, ma progettare fin dall’inizio con un’attitudine circolare. Ed è lì che si gioca la partita più interessante. Sul recupero la sfida è chirurgica con l’utilizzo delle tecniche di demolizione selettiva, urban mining e upcycling. Il valore consiste nel saper riconoscere cosa può essere salvato, ricondizionato e riportato alle prestazioni di oggi. È un lavoro di diagnosi e di ingegno, dove il progetto parte non dal foglio bianco, ma da ciò che esiste già. Sul nuovo, invece, abbiamo a disposizione due strade: progettare in ottica “build to last”, quindi edifici flessibili e longevi, oppure spingere sul “design for disassembly”, cioè immaginare un edificio smontabile pezzo per pezzo. Triodos Bank Headquarter a De Reehorst, in Olanda (Credits Bert Rietberg) L’esempio più chiaro è il Triodos Bank Headquarter a De Reehorst, in Olanda, seguito da Deerns. Si tratta di un edificio-manifesto, pensato come un “material bank”: ogni vite, ogni pannello, ogni elemento in legno ha un passaporto digitale per garantirne origine e riuso. Triodos Bank Headquarter La scelta di utilizzare struttura in legno lamellare e CLT (Cross Laminated Timber, ndR), acciaio ridotto al minimo e connessioni a secco trasforma la reversibilità da slogan a realtà. Comfort, luce naturale, climatizzazione e sistemi intelligenti sono stati integrati nel progetto fin dall’inizio. Il risultato è un edificio leggero, trasparente, performante, certificato BREEAM Outstanding. Nei prossimi anni l’approccio espresso dal concetto di architettura circolare potrà, e con quali strategie, diventare realmente accessibile e diffuso per tutti e per tutti i tipi di costruzioni, dal grande edificio all’edilizia residenziale? O sono presenti ancora dei limiti, per esempio di tipo economico e/o culturale? L’architettura circolare diventerà davvero accessibile quando smetteremo di vederla come un esercizio culturale e inizieremo a praticarla come creatività applicata al reale. Non servono materiali esotici ma imparare a progettare con quello che abbiamo già. Questo vuol dire che il progetto non comincia da una pagina bianca ma da un inventario critico di ciò che esiste. Essere presenti già nella fase di strip-out è cruciale: è lì che si decide cosa si salva e cosa si perde, ed è lì che il gesto creativo degli architetti può trasformare scarti in risorse. Il problema, oggi, non è più culturale, committenze e progettisti sono pronti. Il nodo è operativo e amministrativo. Recuperare un componente richiede più tempo, più logistica, più burocrazia. In cantiere significa formulari, certificazioni, controlli: ostacoli che rendono il riuso più complicato di un ordine da catalogo. La svolta passa per tre mosse concrete: progettare circolare fin dall’inizio attraverso smontabilità, modularità e tracciabilità digitale; effettuare lo strip-out di demolizione selettiva con audit mirati e partnership con imprese di deconstruction; contare su regole e mercato più intelligenti, con meno burocrazia e più riconoscimento formale ai materiali recuperati, così che valgano quanto i nuovi. Se lavoriamo su questi tre fronti, la circolarità smetterà di essere un lusso per progetti iconici e diventerà la normalità anche nell’edilizia quotidiana. Con un vantaggio doppio: meno impatti ambientali, più valore economico. Il riuso non è fermato dalla mancanza di idee, ma dalla fatica di trasformarle in procedure regolari. C’è una differenza cruciale: se un materiale rimane nel sito e viene riutilizzato subito, spesso può essere trattato come “prodotto esistente”. Se invece esce dal cancello per essere ricondizionato, diventa un rifiuto e si ricade nella complessità operativa di codici, formulari e adempimenti. Gli inerti oggi hanno un percorso chiaro ma quando parliamo di facciate, serramenti e moquette entriamo in un labirinto, pensiamo a sigillanti invecchiati, certificazioni CE mancanti e componenti composti difficili da separare. Non a caso, le esperienze di successo funzionano solo se pensate a monte progettando moduli smontabili, prevedendo contratti di take-back e integrando test e prove già nel capitolato. Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento