Chiesa del Santo Volto a Torino

La Chiesa del Santo Volto a Torino ha vinto il Premio d’Onore Decennale nell’ambito della settima edizione 2007/2008 del Premio Internazionale Dedalo Minosse alla Committenza di Architettura. Fra i più importanti riconoscimenti a livello internazionale, il premio è promosso da Ala Assoarchitetti e dalla rivista l’Arca, con la sponsorizzazione di Caoduro Lucernari.
La Chiesa del Santo Volto rientra in un programma di riqualificazione urbana, previsto dal piano regolatore generale di Torino del 1995, che mira a reintegrare le aree industriali dismesse negli anni Settanta, senza perdere la memoria propria della “città del lavoro”. È in questo contesto di importanti trasformazioni che il progetto del Cardinale Severino Poletto, Arcivescovo della città, e realizzato dall’elvetico Mario Botta ha preso corpo.
Il nuovo complesso raccoglie tutte le attività di servizio della Curia, che ha dovuto misurarsi con i rischi e le speranze che una chiesa sollecita nel particolare confronto con la città.
La struttura sorge all’interno della “spina 3”, un’area a poca distanza dalla Dora, compresa tra i quartieri San Donato, Parella e Madonna di Campagna, che un tempo ospitava le più grandi fabbriche, oltre agli altiforni di grandi stabilimenti siderurgici, che dopo essere decaduta è divenuta oggetto di interventi di riqualificazione urbana. Obiettivo della pianificazione urbanistica è stato di riconvertire l’area in modo che accogliesse nuovi servizi e ben 10.000 nuovi abitanti senza peraltro perdere la caratteristica memoria propria della “città del lavoro”.
Di qui l’esigenza -come sottolineato dal Cardinal Poletto, di “fornire il servizio religioso al nuovo quartiere” e di costruire, in forme monumentali, la prima chiesa del XXI secolo. Una grande impresa, affidata a Mario Botta, architetto noto e non scevro dalla dialettica religiosa, capace di trasfondere valori di brillantezza nell’estetica architettonica, già autore di molti spazi sacri.
Il complesso torinese, per la sua collocazione baricentrica nell’area interessata, ha dettato le linee portanti dell’idea progettuale con la proposta di un intervento a forte carattere monumentalesi.
Mario Botta ha osservato che “il progetto adotta il linguaggio di oggi, ma ricerca nella storia delle tipologie ecclesiali la ragione di esprimersi. La scommessa è che i sentimenti suggeriti dalla chiesa del Santo Volto non restino soltanto patrimonio dell’architetto, ma che possano essere condivisi dalla comunità torinese, visto che il ruolo dell’architettura è soprattutto riuscire a essere interprete delle speranze del proprio tempo”. Pur nella diversità dei loro ambiti, architetto e committente sono stati motivati dalla volontà di regalare alla città un’architettura sacra di alto valore artistico ed un luogo che evocasse un forte significato spirituale perché, come sostiene il Cardinale “Questa struttura, incastonata in una zona della città di Torino che è in piena trasformazione urbanistica, rende ragione di come una città, gloriosa come la nostra, possa ora riconoscersi e qualificarsi nel nuovo che viene avanti per dare continuità a una storia ricca di valori cristiani e umani.” Per Mario Botta architettura e memoria costituiscono un binomio inscindibile in quanto le trasformazioni attuate dall’architettura diventano parti del paesaggio umano.
L’edificio religioso è stato edificato in soli cinque anni ed ha impegnato oltre cento lavoratori tra operai e professionisti. In realtà l’idea di erigere una nuova Chiesa Parrocchiale –dedicata al Santo Volto in Torino- risalirebbe al 1993, mentre l’incarico viene affidato solo a fine Millennio. Difatti il disegno è risalente al 2000.
Il progetto
La chiesa del Santo Volto ha una struttura colossale: è infatti uno spazio religioso di oltre 10 mila metri quadrati, e comprende l’edificio sacro, gli uffici parrocchiali ed una cappella iemale, ma anche un centro congressi sotterraneo oltre ai nuovi uffici della Curia diocesana ed annessi parcheggi. Questi edifici lineari a tre piani racchiudono inoltre lo spazio del sagrato ricostruendo in tal modo una cortina stradale sul lato lungo del lotto.
La nuova chiesa si presenta con un impianto a carattere monumentale, segno fortemente plastico capace di indirizzare l’attenzione del visitatore verso uno spazio centripeto; una presenza che non risulterà certo indifferente al tessuto dell’intorno.
La chiesa a pianta centrale é circondata da sette torri perimetrali alte 35 m, alle quali si aggiungono i corpi più bassi delle cappelle. La scelta di una pianta a forma eptagonale, che è venuta a coincidere con il forte significato simbolico-religioso, ha permesso di dare un orientamento all’aula interna introducendo un’asse ingresso-altare rivolto verso la città.
Il vuoto che si crea all’interno nella copertura a forma di piramide è costituito dall’alternarsi di spicchi pieni e spicchi vuoti, che ruotano su un tamburo centrale che funge da perno. I volumi delle singole torri, svuotate al loro interno per funzionare da lucernari, poggiano al centro sul cilindro sospeso e perimetralmente su una coppia di pilastri.
L’ex-ciminiera delle acciaierie è stata mantenuta come simbolo del vecchio e del nuovo utilizzo: da un lato testimonia le origini industriali del luogo, dall’altro è una torre a sostegno della croce.
Durante la costruzione era molto ben visibile il disegno della stella a sette punte. Al di sotto dell’area di culto, rialzata in corrispondenza del presbiterio, si trovano una sala auditorium sotterranea (attrezzata in maniera polivalente) e una serie di locali che ospitano gli uffici della curia torinese. L’intera superficie, fra il fabbricato chiesa e locali curiali, misura 12000 metri quadrati.
L’interno della chiesa si presenta molto luminoso -grazie ai raggi di luce che penetrano perpendicolarmente dalle alte torri- ha una capacità di circa 1000 posti –di cui 700 sedute.
Il “dato luce”, incontrovertibile nell’architettura bottiana, nasce dalle sette torri, attraverso i lucernari angolati a 45 gradi che convogliano la luce zenitale al di sotto, all’interno della struttura, ed in sette volumi bassi, che compongono le sette cappelle.
Elemento innovativo è lo sfondo del presbiterio, che grazie alla texturizzazione dei mattoni ed al conseguente gioco di luci e ombre ha consentito di proiettare sulla parete l’immagine Sindonica -cui è stato dato un effetto pixel-. Mario Botta ha ricostruito il santo volto attraverso una sapiente tessitura delle pietre: mattoncini in “rosso di Verona” sono stati infatti lavorati con due forme diverse e montati in modo da mostrare un cuneo per creare una zona d’ombra oppure un lato piano per riflettere la luce.
Di giorno, la chiesa è illuminata internamente da una luce zenitale, che produce sfumature dissimili in base al corso del sole. Di notte, per contro, ha luogo il contrario: la luce non naturale dell’interno è irradiata all’esterno, attraverso 700 piastrelle in vetrocemento, posizionate nelle torri.
La facciata principale è “segnata” da una croce vetrata, con il braccio verticale di 22 metri e quello orizzontale di 8: anch’essa illuminata dall’interno, è rivolta verso la città. L’ex ciminiera è stata conservata per ricordare la presenza operaia nel quartiere, è avvolta da un cordone elicoidale in acciaio, che dà un senso di ascensione, sul quale sono montate una serie di lamelle, la torre luccica sia di giorno sia di notte, e al vertice dei suoi sessanta metri sta una croce color argento.
Mario Botta ha pensato ad un segnale che -avvolto da una struttura metallica elicoidale- dà il senso dello slancio verso la Croce, posta alla sommità del fumaiolo. Le campane sono ubicate ai piedi della ciminiera, di fianco alle gradinate che danno accesso al sagrato.
“La ciminiera è –sottolinea lo stesso Botta- una presenza, una memoria della cultura operaia che ha visto grandi fatiche su questo territorio. La caratteristica della cultura della città europea è quella di avere una stratificazione storica: non azzerare il tessuto preesistente, ma creare una complicità”.

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Premio Internazionale Dedalo Minosse alla Committenza di Architettura
Il premio unico nel suo genere, promosso da Ala Assoarchitetti e dalla rivista l’Arca, con la sponsorizzazione di Caoduro Lucernari è dedicato alle già realizzate, e pone l’attenzione sulla committenza, in molti casi sottovalutata quando si parla d’architettura, dimenticando che il compimento di opere architettoniche di qualità, può avere origine solo dall’esemplare connubio tra chi la promuove e chi la progetta.
Erano 547 opere, provenienti da oltre 36 paesi, iscritte alla settima edizione; 4 i premi conferiti il 30 maggio 2008, al Teatro Olimpico di Vicenza, dalla giuria internazionale di questa edizione, oltre al Premio d’Onore Decennale che festeggia i 10 anni dalla fondazione.
La mostra dei progetti premiati, segnalati e pubblicati, allestita nel palladiano Palazzo Valmarana Braga, resterà aperta al pubblico fino al 24 agosto 2008. Successivamente sarà in tour in Italia e all’estero.
Il punto di forza del Premio Dedalo Minosse risiede, oltre che nel porsi come punto d’incontro tra la cultura architettonica contemporanea e la società, anche nel consacrare accanto ai grandi progetti, nomi ancora poco noti, ponendo in luce il ruolo di arricchimento apportato dal committente nel promuovere l’attività progettuale futuro patrimonio della collettività.
Unico parametro di giudizio in questo vasto scenario, la qualità dell’esito, osservata e valutata relativamente al progetto complessivo che ha portato alla realizzazione finale.
Particolare attenzione nel valutare le opere vincitrici, è stata posta a specifici aspetti del progetto, quali l’uso attento delle risorse energetiche, i valori ambientali, il Design for All, la spinta alla ricerca.
Giuria della 7ª edizione del Premio Internazionale Dedalo Minosse
– Richard Haslam, storico d’architettura, presidente
– Paolo Caoduro, sponsor principale del Premio
– Cesare Maria Casati, direttore de l’ARCA
– Mario Cucinella, architetto
– Bruno Gabbiani, presidente di ALA – Assoarchitetti
– John M. Johansen, architetto
– Franco Miracco, portavoce del Presidente della Regione del Veneto
– Giuseppe Nardini, committente premiato nel 2006
– Satoshi Okada, architetto del committente premiato nel 2006
– Adriano Rasi Caldogno, segretario generale per la programmazione della Regione del Veneto
– Oliviero Toscani, fotografo
– Roberto Tretti, presidente del Centro Studi per le Libere Professioni
– Stefano Battaglia, architetto ALA
– Marcella Gabbiani, architetto ALA

Photo by Enrico Cano



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