No.1 Common: il legno imperfetto che cambia il design

Alla fiera 3daysofdesign di Copenaghen, la mostra No.1 Common promossa da AHEC mette in scena un nuovo modo di intendere il legno nel design: autentico, sostenibile, poetico. Tre progetti firmati da Andu Masebo, Daniel Schofield e Anna Maria Øfstedal Eng dimostrano come la bellezza risieda nelle imperfezioni e nella materia così com’è.

No.1 Common: il legno imperfetto che cambia il design

In occasione del festival 3daysofdesign si svolge a Copenaghen la mostra No.1 Common, promossa da AHEC (American Hardwood Export Council) in collaborazione con Benchmark e curato da KUF Studios, per valorizzare il legno di latifoglia classificato “No.1 Common”.

Dal 18 al 20 giugno 2025 la mostra, che sarà ospitata al piano terra del Gammel Dok (Strandgade 27B, Copenaghen), racconta una nuova visione della materia: accogliere l’imperfezione come estetica, valorizzare ciò che solitamente si scarta, progettare con ciò che la natura offre.

Il grado “No.1 Common” (No.1C) identifica legni di latifoglia con una buona percentuale di legno chiaro ma in tagli più piccoli, caratterizzati da nodi, variazioni di colore e venature naturali. Scelto principalmente per l’arredo, è poco utilizzato in Europa, dove si preferiscono materiali più uniformi. 

L’evento si inserisce all’interno del festival Material Matters e porta in scena tre opere inedite firmate da designer di respiro internazionale – Andu Masebo, Daniel Schofield e Anna Maria Øfstedal Eng – che si confrontano con la specificità del legno No.1C attraverso un linguaggio contemporaneo, sostenibile e consapevole.

Progettare con la materia: tre interpretazioni 

Il progetto ha preso forma con una prima fase di ricerca commissionata da AHEC a Benchmark, produttore inglese impegnato da anni nella sostenibilità applicata all’arredo. Lo studio ha valutato la resa tecnica, estetica e produttiva del grado No.1 Common, con l’obiettivo di comprenderne i benefici anche in termini di efficienza e rendimento. È da questa base che sono nate le collaborazioni con tre designer capaci di tradurre il potenziale del materiale in oggetti dal forte impatto visivo ed etico.

Andu Masebo, londinese con esperienza in ceramica, metallo e falegnameria, firma Around Table, un’opera modulare e dinamica in quercia rossa e acero bruno No.1 Common.

Mostra No.1 Common, promossa da AHEC, installazione Around Table by Andu Masebo
Around Table by Andu Masebo – Photography by Thom Atkinson

Otto segmenti curvi formano un tavolo che cambia configurazione durante l’esposizione, diventando superficie narrativa e spazio sociale. Attorno, una serie di sgabelli richiamano il linguaggio del tavolo invitando alla partecipazione. “Ogni evento lascia una traccia, ogni gesto diventa parte della superficie”, racconta Masebo, sottolineando il potere relazionale del design.

Mostra No.1 Common, promossa da AHEC, installazione Around Table by Andu Masebo
Around Table – Photography by Thom Atkinson

Daniel Schofield, designer britannico con base a Copenaghen, presenta Common Room, una collezione in ciliegio No.1 Common pensata per i nuovi spazi di lavoro flessibili.

Mostra No.1 Common, promossa da AHEC, installazione Common Room by Daniel Schofield
Common Room by Daniel Schofield – Photography by Thom Atkinson

Tavoli, panche, sgabelli e schermi si distinguono per l’uso dichiarato dei difetti naturali del legno: nodi, fessure e venature non vengono nascosti ma integrati attraverso giunti a farfalla con angoli arrotondati, segno visivo e funzionale che connette forma, produzione e materia. L’intervento di Schofield dimostra come semplicità e complessità possano coesistere in equilibrio.

Mostra No.1 Common, promossa da AHEC, installazione Common Room by Daniel Schofield
Common Room – Photography by Thom Atkinson

Infine, la norvegese Anna Maria Øfstedal Eng con la sua Kontur Series esplora la scultura attraverso la betulla gialla No.1C. Armadi e specchi da parete nascono da un lavoro di laminazione stratificata e scolpitura lungo la venatura, creando pattern visivi organici e vibranti.

Mostra No.1 Common, promossa da AHEC, installazione Kontur Series by Anna Maria Øfstedal
Kontur Series by Anna Maria Øfstedal – Photography by Thom Atkinson

Le superfici luminose dialogano con le forme più espressive, dando vita a un gioco continuo tra ruvidità e precisione. Il risultato è una collezione che esalta la materia viva e il gesto artigianale come elemento progettuale.

Mostra No.1 Common, promossa da AHEC, installazione Kontur Series by Anna Maria Øfstedal
Kontur Series – Photography by Thom Atkinson

Un allestimento rigenerativo

La mostra è curata da KUF Studios, lo studio della designer danese Kia Utzon-Frank, che ha costruito l’intero spazio espositivo utilizzando gli scarti derivanti dai progetti stessi. La scenografia si ispira ai luoghi della produzione primaria: segherie, cantieri, laboratori. Le strutture si basano su fascette, travi e supporti essenziali che rimandano all’essicazione del legno. Tutto è pensato per essere smontabile, riutilizzabile, rigenerabile.

No.1 Common_Exhibition design by Kia Utzon-Frank (KUF Studios)
No.1 Common_Exhibition design by Kia Utzon-Frank (KUF Studios) – Photography by Thom Atkinson

Accanto all’esposizione, due eventi consolidano il carattere collettivo e dialogico del progetto: Making Things in Common – La conversazione (17 giugno, ore 15:00), un dibattito moderato da Grant Gibson tra designer e partner, e Making Things in Common – Il workshop (19 giugno, ore 11:00), un laboratorio pratico condotto da Masebo e Utzon-Frank, in cui i partecipanti costruiranno elementi di illuminazione con scarti di legno, contribuendo attivamente alla mostra.

Tutti i pezzi esposti sono realizzati con legno di latifoglia americana proveniente da foreste a rigenerazione naturale – tra cui ciliegio, acero, quercia rossa e betulla gialla – donato da Bingaman & Son Lumber, MacDonald & Owen, Northland Forest Products e Duffield Timber. L’identità visiva del progetto è curata da Justified Studio.

“No.1 Common è un atto di fiducia verso la natura”, si legge tra le righe del progetto. È anche un invito ad abbandonare il culto della perfezione industriale per riscoprire il valore intrinseco delle imperfezioni, come tracce di un design che non solo si vede, ma si sente.

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