Comunità energetiche rinnovabili: cosa bisogna sapere

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Da dove si parte per creare comunità energetiche? Ecco i passaggi da conoscere, gli incentivi, i costi, gli ostacoli e le opportunità

Comunità energetiche rinnovabili: cosa bisogna sapere

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Si parla tanto di comunità energetiche, in particolare di comunità energetiche rinnovabili. Essa deve essere formata dai consumatori ubicati nella rete elettrica di bassa tensione, sotto la medesima cabina di trasformazione di media/bassa tensione, illustra ENEA. I partecipanti mantengono i loro diritti come clienti finali, compreso quello di scegliere il proprio fornitore ed uscire dalla comunità quando lo desiderano. La partecipazione è aperta a tutti gli utenti sotto la stessa cabina elettrica, compresi quelli appartenenti a famiglie a basso reddito o vulnerabili.

Ma da dove si parte per avviarne una in pratica? «Innanzitutto, occorre che almeno due soggetti si accordino su chi dei due realizzerà un impianto da fonte rinnovabile, mentre l’altro aderirà come consumatore
. Una volta stabilito e sancito l’accordo, occorre comprendere se i POD (punti di prelievo) dei due soggetti sono o meno sottesi alla stessa cabina di Media o Bassa Tensione, condizione imprescindibile per far parte della CER. Per comprenderlo, Enel Distribuzione ha messo a disposizione una piattaforma dove si possono richiedere e ottenere informazioni. La richiesta di accesso è possibile tramite invio di PEC», spiega Silvano Ribero, Esperto Gestione Energetica e pianificatore ambientale, nonché responsabile ufficio Ambiente Energia delle Unioni valligiane Val Maira e Val Grana, promotrici della prima Comunità energetica di area vasta d’Italia.

Comunità energetiche: cosa sono

Per comunità energetica s’intende una coalizione di utenti che, tramite la volontaria adesione a un contratto, collaborano con l’obiettivo di produrre, consumare e gestire l’energia attraverso un impianto energetico locale.

Nelle comunità energetiche i soggetti partecipanti devono produrre energia destinata al proprio consumo con impianti alimentati da fonti rinnovabili. Per condividere l’energia prodotta, gli utenti possono utilizzare le reti di distribuzione già esistenti e utilizzare forme di autoconsumo virtuale.

Cosa sono le comunità energetiche
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Per la precisione le comunità energetiche possono essere di due tipi: Comunità Energetica Rinnovabile (CER) e Comunità Energetica di Cittadini (CEC). La prima si basa sul principio di autonomia tra i membri e sulla necessità che si trovino in prossimità degli impianti di generazione purché siano da fonte rinnovabile. La seconda non prevede i principi di autonomia e prossimità e può gestire energia elettrica prodotta anche da fonti non rinnovabili. Inoltre la CEC ammette impianti anche superiori ai 200kW di potenza installata, limite invece imposto alle CER.

Comunità energetiche: produttore e consumatore

In una comunità energetica c’è chi realizza l’impianto, ovvero il soggetto beneficiario degli incentivi previsti per le Comunità energetiche rinnovabili (0,11€/kWh), e uno (o più) consumatore cui viene riconosciuta una parte dell’incentivo (pari a 0,007 euro/kWh). L’intestatario sarà invece la CER stessa istituita sotto forma di associazione, ATS ecc.

Va considerato che la Comunità energetica è il soggetto preposto dalla normativa europea, recepita dall’Italia, allo sviluppo dell’energia distribuita. «La finalità di una comunità energetica è evitare meno dispersione possibile nel trasporto energetico. L’idea è di ridurre il costo energetico, tramite incentivi che sul lungo periodo possono arrecare benefici. Tuttavia, economicamente parlando non regge molto, almeno oggi con le attuali tariffe incentivanti, davvero esigue», sottolinea Ribero.

Porta l’esempio attuato nel Comune di Villar San Costanzo (Cuneo): «l’unica possibilità di ammortizzare l’impianto è affiancarlo a un sistema di accumulo per distribuire poi l’energia di notte all’illuminazione pubblica, come autoconsumo. Diverso, invece, è il caso dell’autoconsumo collettivo, simile alle CER, ma destinato ai condomini: in questo caso può essere più interessante, per esempio, per ridurre la povertà energetica, perché ci sono diversi meccanismi che lo rendono molto più gestibile. Tra queste, le operazioni di monitoraggio che sono più semplici e la suddivisione incentivi/gestione che può essere rivestita all’Amministratore di condominio.

Ricordiamo che l’energia elettrica prodotta dall’impianto a fonti rinnovabili ha diritto, per 20 anni, a una tariffa incentivante in forma di tariffa premio pari a 110 euro/MWh (ossia di 0,11 €/kWh) nel caso di impianto parte di una comunità energetica rinnovabile.

Proprio per promuovere l’utilizzo di sistemi di accumulo e la coincidenza fra produzione e consumo, è stata stabilita questa tariffa incentivante, per remunerare l’energia autoconsumata istantaneamente.

La norma prevede anche la restituzione di alcune voci in bolletta a fronte dell’evitata trasmissione dell’energia in rete che questi impianti permettono, con conseguente sgravio che ARERA quantifica in 10 euro/MWh per l’Autoconsumo Collettivo e in 7 euro/MWh per le CER sull’energia condivisa. C’è da contare anche sulla remunerazione dell’energia immessa in rete a Prezzo Zonale Orario, pari a circa 50 €/MWh. Quindi la somma di tutti i benefici ammonterebbe a circa 150-160 €/MWh. Le detrazioni fiscali esistenti applicata al fotovoltaico sono del 50% in 10 anni o anche la nuova detrazione fiscale del Ecobonus 110% in 5 anni – ma, in questo caso, solo per i primi 20 kWp di potenza e in questo caso con il nuovo incentivo calcolato solo sulla quota di produzione a partire da 20,01 kWp dell’impianto.

«Date le cifre, è ancora maggiormente conveniente l’autoconsumo diretto di energia, il quale non produce incentivi, ma agisce direttamente sulla riduzione dei consumi computati in bolletta», spiega Ribero.

Un’opportunità decisamente più interessante è costituita dall’incentivo del Superbonus, che si applica sul costo dell’impianto fino alla potenza di 20 kW e per la quota riferita alla eccedenza e, comunque, fino a 200 kW – spetta la detrazione pari al 110% delle spese, del TUIR, e fino a un ammontare complessivo di spesa non superiore a 96mila euro riferito all’intero impianto.

In questo caso, però, la possibilità di accedere all’Ecobonus 110 è legata a uno dei tre interventi trainanti.

Comunità energetiche e gli ostacoli: costi e burocrazia

Uno dei problemi legati all’avvio di una Comunità energetica che comprende un soggetto pubblico e uno privato è che, a livello pubblico, il ritorno dell’investimento in tema CER viene assorbito dai costi di gestione, che hanno incidenze assai elevate. «Facciamo ancora una volta riferimento al Comune di Villar San Costanzo, che sta installando un impianto fotovoltaico da 20 kW con un impianto di energy storage da 30 kWh. Spenderà complessivamente circa 50mila euro, ma conterà su uno stanziamento da parte di una fondazione di 29mila euro che rende l’investimento economicamente sostenibile. Contando sulla produzione annua e sull’autoconsumo pressoché totale sull’illuminazione pubblica e gli incentivi, si possono calcolare introiti per circa 4mila euro annui, ma con costi pari a 2mila euro l’anno. Calcolando i tempi di ammortamento, il ritorno sull’investimento potrà avvenire in non meno di 15 anni. In altri casi ipotizziamo che il ROI non ci sarà mai. Per questo ritengo che per un Comune non sia conveniente avviare una CER se non nel caso in cui essa venga gestita da un soggetto aggregatore».

È questo il caso di una Comunità energetica di area vasta (assimilabile alla CEC in via di recepimento normativo), come quella avviata tra Val Grana e Val Maira (che aggrega 21 Comuni piemontesi in un’Associazione Temporanea di Scopo), che intende creare un ufficio di coordinamento che svolgerà il ruolo di aggregatore di tante comunità energetiche e con la possibilità di spalmare i costi, rendendo sostenibile economicamente l’investimento e sopperire anche a deficit energetici riconducibili a povertà energetica. «Altrimenti, avviare una CER a livello comunale significa assumersi costi spesso insostenibili e tanta burocrazia da smaltire, con ulteriori incombenze per il personale tecnico comunale», ribadisce Ribero.

Dopo l’accordo tra i soggetti e la realizzazione dell’impianto un altro passaggio riguarda il monitoraggio energetico che attesta produzione e consumo, oltre ai conseguenti benefici. Ma anche questo passaggio implica una soluzione tecnologica in grado di gestire al meglio questi flussi e dei costi gestionali che in un ente pubblico, alle prese con difficoltà di ogni tipo, è difficilmente ipotizzabile.

Altro tema delicato riguarda le figure professionali necessarie per avviare e, soprattutto, per portare avanti la comunità energetica. «Per l’avvio potrebbe essere sufficiente un progettista elettrotecnico e poi una figura ad hoc come un energy manager o un EGE (Esperto Gestione Energia). Ma anche in questo caso, si traduce in una spesa necessaria per una mansione che impegna significativamente». Creare aggregazioni è l’unica forma che permette una gestione sostenibile.

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