La Biennale dei “practitioner” (praticanti)

Africa, cambiamento, decolonizzazione e decarbonizzazione sono i temi ispiratori della 18esima Biennale dell’Architettura di Venezia, che ha come protagonisti i “practitioner”, appellativo più adeguato all’idea attuale di progettista, secondo la curatrice, Lesley Lokko, scozzese con cittadinanza ganese. L’Africa come “monito” per ciò che potrebbe avvenire nel resto del pianeta e l’Africa come banco di prova e sperimentazione da cui far partire il cambiamento attraverso i nuovi accademici.

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Biennale di Architettura di venezia 2023, Padiglione Centrale_Giardini
Padiglione Centrale-Photo by Francesco Galli

Nell’era dei grandi cambiamenti climatici e con l’urgenza che questi sembrano prospettarci proprio nelle ultime settimane, c’è rimasto poco spazio per la teoria, anche alla Biennale di Architettura di Venezia che, perfettamente allineata, trasmette già nel manifesto “The Laboratory of the Future” la volontà di segnare un ponte verso nuove pratiche.

Architetti e progettisti sono definiti “practitioner”, praticanti, nuovi accademici in grado di contrastare i cambiamenti del clima con altrettanti cambiamenti nella ratio del progetto.

Non c’è più tempo per gli esercizi di stile, servono iniziative concrete che accelerino il processo di sperimentazione. Sembra un po’ questo il messaggio della Biennale di Architettura di Venezia 2023 curata da Lesley Lokko, architetto scozzese con cittadinanza ghanese che parla di “decolonizzazione” e “decarbonizzazione” e mette al centro l’Africa e la diaspora africana.

Lesley Lokko, curatrice della Biennale di Architettura di Venezia 2023
Lesley Lokko_Photo Jacopo Salvi_Courtesy of La Biennale di Venezia

In realtà gli accademici ci sono (la formazione e l’immaginazione sono alla base di ogni progetto, come dice Lokko “È impossibile costruire un mondo migliore se prima non lo si immagina”), ma hanno il ruolo di mentore, narratori onniscenti che guardano dall’esterno e provano a “consapevolizzare” le società e in attesa che questo avvenga lanciano messaggi profetici: “attenti abitanti del pianeta terra, se continuate così, se non abbracciate il cambiamento finirete come l’Africa e i suoi figli, costretti a fuggire e a disperdersi per il mondo”.

Biennale di Architettura di Venezia: Overview Arsenale
Overview Arsenale_Photo by Andrea Avezzù – Courtesy La Biennale di Venezia

Degli 89 partecipanti oltre la metà proviene dall’Africa o sono creativi di origine africana emigrati in altri paesi; l’età media dei progettisti coinvolti è di 43 anni; c’è equilibrio di genere e quasi metà degli architetti proviene da studi a conduzione individuale o composti da un massimo di cinque persone.

Il focus sull’Africa parte dal Padiglione Centrale ai Giardini che ha riunito 16 studi africani e prosegue all’Arsenale con l’installazione di Emmanuel Pratt “Dangerous Liaisons” (Relazioni Pericolose), accanto a quella dei “Progetti Speciali della Curatrice”: “In entrambi gli spazi sono presenti opere di giovani practitioner africani e diasporici”, speiga la curatrice, i nostri “Guests from the Future” (Ospiti dal Futuro), il cui lavoro si confronta direttamente con i due temi della Mostra, la decolonizzazione e la decarbonizzazione, fornendo un’istantanea, uno scorcio delle pratiche e delle modalità future di vedere e stare al mondo”.

Biennale di Architettura di Venezia – Padiglione Italia

I progettisti del Padiglione Italia hanno raccolto il “richiamo all’azione” documentando un processo in corso in 9 territori del Paese, un work in progress che si evolve nell’arco della manifestazione (20 maggio – 26 novembre 2023) ma che ha preso il via alcuni mesi prima e che proseguirà anche dopo la chiusura della kermesse.

L’installazione va oltre l’idea che la mostra debba essere solo un’esibizione e coglie l’occasione, anche economicamente, per avviare nuovi progetti sul territorio o per potenziare progetti già esistenti, grazie alla collaborazione di diverse figure. Questo è “Spaziale. Ognuno appartiene a tutti gli altri”, titolo del padiglione. In tutto 50 persone tra progettisti under 40 (nati tra il 1987 e il 1989), a cui sono stati affiancati professionisti provenienti da diversi campi delle industrie creative. Nove gruppi transdisciplinari che sono andati a lavorare su nove siti del territorio italiano ritenuti fragili o degradati. Ma all’interno del padiglione non vediamo un progetto finito, bensì l’avvio di una serie di interventi che a lungo termine impatteranno sul territorio.

Una via per introdurre una nuova forma mentis della progettazione che non può accampare soluzioni istantanee e interventi strutturali ma deve procedere per gradi e passaggi, passando per una fase di ricerca iniziale rigorosamente sostenuta da figure professionali dal carattere trasversale.

Biennale di Architettura di Venezia: Post Disaster Rooftops Taranto
Post Disaster Rooftops Taranto_Ph.Sara Scanderebech

A Taranto il collettivo Post Disaster racconta la convivenza della popolazione con un contesto ormai degradato e fortemente compromesso: dai tetti della Città Vecchia si ha una panoramica degli effetti devastanti della crisi (ambientale, economica, sociale…) e spostando lo sguardo tra “reale” e “possibile” si prova a immaginare uno scenario diverso; nell’Oasi naturalistica di Napoli.

Biennale di Architettura di Venezia, La Terra delle Sirene_Baia di Ieranto
La Terra delle Sirene_Baia di Ieranto_Ph.Luca Campri

La Baia di Ieranto si prova  amettere in scena una “riconciliazione” con l’ambiente (architetti BB – Alessandro Bava e Fabrizio Ballabio).

Biennale di Architettura di Venezia: Uccellaccio_Ripa Teatina
Uccellaccio_Ripa Teatina_Ph.Barbara Rossi

A Trieste si riflette sulla multiculturalità (Giuditta Vendrame); in provincia di Chieti, a Ripa Teatina, si tenta di recuperare un patrimonio (HPO); di inclusione sociale si parla invece tra Mestre e Marghera, con i Parasite 2.0.

Biennale di Architettura di Venezia, Sea Changes_Cabras
Sea Changes_Cabras_Ph.Giovanni Emilio Galanello

In Sardegna, a Cabras il gruppo Lemonot si focalizza sull’alimentazione; e in un’altra isola, la Sicilia, lo Studio Ossidiana fa proprio il tema vastissimo della rigenerazione delle periferie.

Biennale di Architettura di Venezia: Tracce di BelMondo_Belmonte Calabro
Tracce di BelMondo_Belmonte Calabro_Ph.Adrianna Glaviano

Infine, a Belmonte Calabro il collettivo di Orizzontale riflette sul contesto digitale e sul superamento del divario che questo ha portato e nella piana tra Prato e Pistoia i progettisti (ab)Normal hanno scelto i temi della tutela del paesaggio e la sua riproducibilità.

Intervista agli architetti di Fosbury Architecture, curatori del Padiglione Italia

Spaziale. Ognuno appartiene a tutti gli altri” è il titolo del Padiglione Italia curato dagli architetti di Fosbury Architecture, che abbiamo intervistato.

Gli architetti Fosbury Architecture che hanno curato il Padiglione Italia della Biennale di Architettura di Venezia
Gli architetti di Fosbury Architecture -Ph.Giacomo Bianco

Qual è il concept del progetto per il Padiglione Italia della 18esima edizione della Biennale di Architettura e a che cosa si ispira?

Il progetto per Padiglione Italia è intitolato “Spaziale. Ognuno appartiene a tutti gli altri”. “Spaziale” fa riferimento ad una nozione espansa di architettura. Una prospettiva allargata, dove il manufatto non è il fine ultimo del progetto, e lo spazio, categoria fondante della disciplina, non viene inteso solo come luogo fisico ma soprattutto come quel tessuto di relazioni tra individui, comunità e luoghi che è alla base di ogni progetto di architettura e che ne determina il valore al di là della forma. “Ognuno appartiene a tutti gli altri” invece è una citazione di Aldous Huxley, dal suo romanzo il “Mondo Nuovo”. È il motto usato per descrivere una società in cui i rapporti parentali sono stati aboliti grazie alla fecondazione automatizzata. Per noi rafforza un senso di comunità globale cosciente che le azioni di alcuni comportano reazioni su tutti. Lo interpretiamo come un’allusione all’interconnessione tra tutti gli attori che hanno partecipato a questo progetto.

Qual è il ruolo della manifestazione in un momento storico così complicato a livello ambientale?

Ci siamo interrogati a lungo sul ruolo etico e sull’impatto degli eventi temporanei di questa portata: siano essi mostre, sfilate, concerti, eventi sportivi o fiere. Tutti processi estrattivi che dissipano una grande quantità di energie e risorse. Da un lato si tratta di riconoscere l’architettura come parte del problema, come uno dei fattori che maggiormente incidono a livello globale sulla crisi ambientale. Dall’altro di ragionare sul formato delle manifestazioni, nel nostro caso sul formato di mostra, e ripensarne drasticamente flussi e temporalità affinché sia possibile continuare a celebrare momenti di confronto in maniera sostenibile. Per queste ragioni abbiamo deciso di dilatare il più possibile la “durata” del Padiglione oltre i sei mesi canonici della Biennale, cercando di far si che tutte le energie accumulate non si esaurissero all’opening. Infatti nel periodo precedente l’apertura, abbiamo attivato una serie di nove progetti pionieri, dispersi lungo tutta la penisola italiana. I siti saranno visitabili e accessibili anche durante i mesi di apertura della mostra.

Quale messaggio veicolerà, secondo voi, la manifestazione di Venezia quest’anno?

Nell’ideare The Laboratory of the Future, Lesly Lokko si interroga su che cosa significa essere “un agente di cambiamento”. La mostra per la prima volta punta i riflettori sull’Africa, raccontando una cultura architettonica fluida e intrecciata di practioners africani che oggi abbraccia il mondo. Nel caso del Padiglione Italia gli agenti di cambiamento sono gli invitati stessi. Nove pratiche che abbiamo inviato a misurarsi con progetti concreti, in contesti reali. Mediatori creativi tra pragmatismo ed emozione – sono pratiche che sfruttano gli strumenti codificati della progettazione per mettere in discussione le condizioni sociali dei luoghi in cui intervengono.

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