Autolivellanti, mai più crepe

L’indurimento dei prodotti cementizi avviene a causa dell’idratazione, a seguito della quale essi sviluppano progressivamente le caratteristiche meccaniche desiderate. Le reazioni di idratazione inducono anche delle variazioni volumetriche, causate dal fatto che il volume del cemento idratato è minore della somma dei volumi del cemento e dell’acqua prima dell’idratazione.
Una delle conseguenze pratiche più indesiderate di tali variazioni volumetriche è la formazione di crepe che possono verificarsi nei prodotti in fase di indurimento. La formazione di crepe è legata al fatto che il cemento è molto resistente a compressione, ma piuttosto debole nei confronti di sforzi di trazione. E’ quindi chiaro che è di estrema importanza essere in grado di controllare le variabili che provocano tali variazioni di volume.
Questo argomento è assolutamente cruciale per quanto riguarda i prodotti autolivellanti, in cui la formazione di crepe è un problema ben noto e che desta sempre notevoli preoccupazioni in fase di applicazione. Peraltro le crepe non sono l’unico inconveniente indotto dalle variazioni volumetriche negli autolivellanti, dato che queste possono anche generare delle tensioni eccessive, che possono causare il distacco del prodotto dal sottofondo.
Le foto 1 e 2 sono piuttosto espressive e raffigurano il verificarsi di questi due eventi, distacco e crepe, in condizioni reali di cantiere.
I laboratori di ricerca Mapei hanno dedicato a tali questioni un’attenzione particolare, con lo scopo di sviluppare dei prodotti autolivellanti che fornissero garanzie speciali rispetto ai problemi descritti sopra. E’ comunemente noto che negli autolivellanti è necessario utilizzare particolari composizioni della fase legante che permettano di ottenere delle espansioni in grado di compensare almeno in parte i movimenti di ritiro. Ciò viene solitamente ottenuto utilizzando delle miscele di cemento Portland, cemento alluminoso e solfato di calcio che per idratazione formano una specie chimica detta ettringite, che provoca un’espansione della matrice cementizia.
La foto 3 mostra una bella immagine dell’ettringite ottenuta al microscopio elettronico a scansione ambientale, che è uno strumento che rende disponibili informazioni fondamentali sulla morfologia di questa specie così importante nel determinare le proprietà applicative dei prodotti autolivellanti. La formazione dell’ettringite avviene solitamente entro alcune decine di minuti dalla miscelazione del prodotto con acqua.
I fenomeni di contrazione della matrice cementizia intervengono successivamente, in tempi più lunghi: in un buon prodotto autolivellante espansione iniziale e ritiro all’incirca si compensano e il movimento totale è di conseguenza piuttosto piccolo. Un aspetto tuttavia spesso trascurato dai produttori di autolivellanti e su cui viceversa Mapei ha focalizzato la propria attenzione è il fatto che la fase del processo di idratazione, durante il quale si forma l’ettringite, è comunque uno stadio critico nel ciclo di vita del prodotto.
La formazione massiva di ettrigite, infatti, avviene mentre il prodotto sta andando in presa: in questa fase esso quindi subisce delle notevoli variazioni dimensionali e contemporaneamente attraversa una profonda trasformazione delle proprie caratteristiche meccaniche, passando da uno stato fluido a uno stato solido. E’ necessario quindi che la composizione chimica dell’autolivellante sia tale che questa fase avvenga in maniera ben controllata: solo in questo modo il prodotto è in grado di garantire un’assoluta sicurezza in fase di posa.
Per poter meglio focalizzare lo studio di questa fase, la ricerca Mapei ha recentemente implementato dei nuovi metodi di indagine servendosi di strumenti che permettono di approfondire lo studio dei movimenti dei prodotti, estendendo la finestra sperimentale fino ai primi attimi di vita del prodotto impastato, la cosiddetta “fase plastica”.
Il metodo convenzionale per misurare i movimenti per i prodotti autolivellanti, rappresentato dal cosiddetto metodo dei ritiri igrometrici, consente infatti di misurare la variazione dimensionale di un provino solo successivamente al suo indurimento. Il valore di riferimento della misura, quindi, corrisponde all’istante in cui questo viene estratto da uno stampo, cosa che avviene almeno tre ore dopo la sua miscelazione con acqua. Di conseguenza il metodo dei ritiri igrometrici non permette di monitorare interamente la fase espansiva.
Il primo di questi nuovi strumenti è costituito da una piccola cassaforma d’acciaio di sezione triangolare, dotata di pareti laterali mobili, in cui viene versato il prodotto subito dopo la miscelazione con acqua. Le due pareti si muovono per effetto delle variazioni volumetriche del materiale e i loro spostamenti vengono misurati da due trasduttori sommando le misure dei quali si ottiene il movimento totale (foto 4).
A tale strumento è stato affiancato l’uso di una sonda termica con l’intento di monitorare le variazioni di temperatura che si verificano nel campione, provocate dalle reazioni di idratazione che sviluppano calore.
L’importanza delle informazioni acquisite con questa tecnica d’indagine può essere compresa con un esempio.
Un prototipo “A” di un autolivellante in fase di sviluppo in laboratorio aveva dato risultati in specifica ed i movimenti registrati con i classici ritiri igrometrici – rappresentati dalla linea bianca in fig. 1 – non si discostavano di molto da quelli di prodotti presenti sul mercato.
Durante la realizzazione delle prove erano state però riscontrate delle crepe sui provini abitualmente utilizzati per la caratterizzazione meccanica.
Il prodotto in questione presentava un lento asciugamento ed era stato possibile estrarre i campioni per i ritiri igrometrici solo 5 ore dopo la miscelazione.
L’analisi dei movimenti in fase plastica ha finalmente permesso di individuare la causa dell’anomalia, poiché il prodotto presentava in queste 5 ore un’espansione eccessiva (fig. 1) provocando poi le crepe nei provini.
In generale gli andamenti dei vari prodotti autolivellanti misurati con il rilevatore dei movimenti in fase plastica presentano una sequenza di stadi qualitativamente simili: una prima fase in cui il prodotto non fa registrare movimenti apprezzabili o mostra un lieve ritiro, che ha luogo interamente in fase plastica; una seconda fase di massiccia espansione che si svolge durante l’indurimento del prodotto e una successiva fase di ritiro dovuta all’asciugamento. Tuttavia l’entità di tali fasi può variare notevolmente a seconda della formula e delle materie prime utilizzate. Una serie di prove realizzate nei laboratori Mapei mostra che è necessario mantenere contenuto il valore dell’espansione iniziale; è anche preferibile che questa avvenga nelle prime ore dopo la miscelazione, quando il prodotto non ha ancora sviluppato le proprie resistenze meccaniche ed è in grado di assorbire più facilmente le sollecitazioni dovute a variazioni volumetriche.
Lo sviluppo delle tecniche d’analisi per i movimenti dei prodotti e le informazioni estrapolate da una lunga serie di test realizzati, hanno fornito al laboratorio R&S di Mapei un ausilio sostanziale nell’introduzione di variazioni formulative di alcuni dei prodotti autolivellanti che hanno permesso di migliorare significativamente le proprietà applicative, dove un’attenzione speciale è stata dedicata al controllo dei movimenti del prodotto. Un particolare progresso nelle performance degli autolivellanti della serie Ultraplan è stato ottenuto grazie all’introduzione della tecnologia Dynamon come agente fluidificante.
I superfluidificanti acrilici per calcestruzzo hanno confermato la loro efficacia anche in formulazioni complesse come quelle degli autolivellanti, consentendo l’ottenimento di prodotti opportunamente ottimizzati in termini di lavorabilità e controllo dei movimenti.
Il confronto delle curve rappresentate in figura 2 evidenzia il notevole miglioramento conseguito sulla formula dell’Ultraplan con l’introduzione della tecnologia Dynamon. Sebbene l’ Ultraplan con la vecchia formula presentasse già movimenti più contenuti rispetto alla maggioranza dei prodotti concorrenti – di cui in figura sono riportati due esempi – l’introduzione dei superfluidificanti Dynamon ha consentito di ridurre l’entità dell’espansione, accorciando il tempo necessario per terminare tale espansione.
Aggiungiamo che peraltro il prodotto nella nuova formula ha un ritiro igrometrico ai 28 gg molto contenuto, pari a circa 0.3 mm, molto ben compensato dall’espansione in fase plastica.
La differenza di comportamento in fase plastica tra l’ Ultraplan e i prodotti della concorrenza è amplificata nelle prove eseguite sul secondo degli strumenti implementati nei laboratori Mapei per misurare i movimenti degli autolivellanti in fase plastica, denominato “Film Sottile” (foto 5).
Nel film sottile il campione viene colato su un film di polietilene, supportato da una base rigida e contenuto da una cornice di gomma, deformabile per non ostacolare i movimenti, la cui altezza è variabile per poter simulare spessori applicativi differenti. Sul campione vengono poi sistemati due cubetti di polistirolo, che galleggiano sulla superficie. Questi cubetti riflettono dei raggi laser e ne misurano il tempo di volo, la cui variazione è un indice delle espansioni e dei ritiri del prodotto.
I movimenti osservabili con tale tecnica si discostano notevolmente da quelli misurati con la cassaforma a pareti mobili. La diversa geometria dei campioni, molto vicina alle condizioni reali d’applicazione di un autolivellante, con un maggior rapporto superficie/ volume, produce infatti movimenti in ritiro molto più marcati sia nel periodo precedente che in quello successivo alla fase di indurimento. Questo test, molto selettivo, permette di apprezzare l’eccellente compensazione tra espansione e ritiro nel prodotto Mapei, mentre i prodotti della concorrenza appaiono completamente sbilanciati, con movimenti di ritiro decisamente eccessivi, come si può osservare dal grafico di figura 3. La netta differenza di comportamento dei prodotti è facilmente intuibile anche osservando i campioni a fine test. I provini ottenuti con gli autolivellanti della concorrenza si deformano, sollevando i bordi verso l’alto, a causa dell’eccessivo ritiro (foto 6), che invece è molto più contenuto con l’Ultraplan (foto 7). E’ necessario sottolineare che tra film sottile e applicazione reale esiste una differenza sostanziale, cioè che nel test il prodotto non aderisce al supporto, provocando dei movimenti molto più elevati rispetto a quelli che verosimilmente si verificano in cantiere. Tuttavia il metodo del film sottile consente di mettere in evidenza ed apprezzare differenze prestazionali tra i prodotti non rilevabili con i metodi convenzionali. Risulta in ogni caso ancora una volta dimostrato come l’applicazione di nuove tecniche sperimentali abbia consentito a Mapei di ottimizzare opportunamente le caratteristiche dei propri autolivellanti.
La sinergia tra scienza formulativa e nuovi metodi sperimentali ha permesso di confermare e consolidare l’eccellenza tecnologica dei prodotti Mapei, particolarmente apprezzabile in prodotti quali gli autolivellanti che nelle applicazioni possono presentare situazioni di particolare criticità.
Per concludere, le metodologie sperimentali sopra esposte hanno permesso di migliorare le già eccellenti proprietà di Ultraplan, Ultraplan Eco ed Ultraplan Maxi.
Infatti l’uso di autolivellanti di maggiore stabilità volumetrica consente una posa in opera più sicura, limitando rischi di distacchi e fessurazioni specialmente quando applicati, anche ad elevato spessore, in condizioni particolari come ad esempio: massetti con superficie poco compatta, superfici molto lisce come vecchi pavimenti in piastrelle di ceramica o marmo, preesistenti adesivi utilizzati per la posa di vecchi pavimenti in moquette, ecc.
Oltre a quanto sopra esposto, l’introduzione della tecnologia Dynamon ha permesso di migliorare le proprietà autolivellanti delle rasature che risultano di più facile applicazione e di ottenere superfici finali più lisce, con notevole vantaggio nel caso di posa di pavimentazioni resilienti (gomma, PVC ecc.).

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