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Presentato nei giorni scorsi Ambiente Italia 2003, il rapporto annuale di Legambiente, che tratteggia gli esiti di un decennio di globalizzazione. “C’è chi ritiene – spiega Ermete Realacci, presidente di Legambiente, intervenuto alla presentazione del volume realizzato con l’Istituto di ricerche Ambiente Italia e pubblicato da Edizioni ambiente – che l’attuale sistema economico sia sostenibile così com’è, che attribuisce all’innovazione tecnologica da sola il potere di ridurre gli effetti ambientali dello sviluppo, e che crede che questo sviluppo inevitabilmente produrrà benessere diffuso e benefici per la salute e l’ambiente. Queste stesse persone – e basterebbe citare il noto opinionista Lomborg, divenuto paradigma dell’eco-scettico – tendono a sminuire la portata dei danni che negli ultimi decenni la crescita industriale ha prodotto sul pianeta. Il loro modo di pensare è l’espressione di un nuovo conservatorismo compassionevole, che arriva addirittura ad additare le ‘infondate lagnanze’ degli ambientalisti come causa dello spreco di risorse indirizzate a problemi che non esistono invece che a dare soluzioni concrete a problemi reali. Queste tesi si scontrano coi dati di fatto, che invece mostrano la necessità di forti politiche che indirizzino i processi industriali ed economici”. Gli ultimi dieci anni – secondo gli ambientalisti – mostrano chiaramente come potrebbe andare: laddove, come in Europa, è stata attuata una politica diretta alla riduzione dei gas serra, ad esempio, le emissioni sono calate del 3 per cento; negli Stati Uniti invece, che hanno avversato queste politiche, c’è stato un aumento del 21 per cento. Mentre nei paesi dell’Unione Europea si registra una contrazione significativa degli NOx (meno 30 per cento tra il 1990 e il 2000), negli Stati Uniti nell’ultimo decennio si registra una crescita del 6 per cento e, nel periodo 1990-1995, crescono del 14 per cento in Giappone e del 33 in Cina. Lo stesso dicasi per rifiuti ed energia. Al crescere del reddito aumenta la produzione dei rifiuti e i consumi energetici: più 14 per cento su scala mondiale nell’ultimo decennio, più 18 per cento nel Nord America e più 43 nei paesi asiatici. “E non sono solo i fanatici ambientalisti a sostenerlo – aggiunge Realacci – il più recente studio sull’argomento, quello della Banca Mondiale, conclude che la regolazione – e dunque una rigorosa legislazione ambientale, politiche tariffarie e agevolazioni per le tecnologie più innovative e meno inquinati – è il fattore determinante nella riduzione dell’inquinamento. Tra i paesi sviluppati, Stati Uniti e paesi scandinavi rappresentano in modo esemplare come alti tassi di sviluppo ed elevati livelli di reddito possano essere associati a politiche ambientali (e sociali) radicalmente diverse”. In Europa, il miglioramento locale della qualità ambientale è stato associato a politiche di efficienza energetica, di efficienza nell’uso delle risorse e di riciclo dei materiali, che hanno determinato un contenimento o una riduzione delle emissioni e dei prelievi di risorse di interesse globale. Negli Stati Uniti, invece, il miglioramento locale della qualità ambientale non si è associato a un miglioramento equivalente dell’efficienza del consumo e della produzione. Quella americana è diventata un’economia obesa. In Italia, secondo il rapporto di Legambiente, crescono la aree protette (quasi 5 mila ettari, più del 9 per cento del territorio nazionale); l’agricoltura biologica compie passi da gigante arrivando a coprire l’8 per cento della superficie agricola; aumenta il numero di prodotti italiani certificati Dop e Igp (più 7 per cento in un anno); l’energia eolica comincia a diventare competitiva (700 i MW installati, che pure segnano, se paragonati agli 8.700 della Germania, il nostro ritardo). Ma resta inaccettabile lo stato della mobilità (solo il 50 per cento delle autovetture a norma Euro 1 o 2 nel 2001, ipertrofico il rapporto auto/abitante, in crescita i consumi di carburante), grave la situazione della criminalità ambientale (31.201 reati accertati in un anno, un giro d’affari dell’ordine di 2,5 milioni di euro), pessima la qualità dell’aria nelle città (calano CO e NO2, grazie al parziale rinnovo del parco auto, ma PM10 e benzene fanno registrare un numero allarmante di superamenti annui delle soglie limite: 254 Torino, 192 Roma, 165 Napoli, 145 Milano), insignificanti le politiche per la riduzione dei gas serra (più 5 per cento dal 1990), drammatica la situazione del territorio (il 35 per cento dei comuni è ad alto rischio idrogeologico) e preoccupante il futuro della ricerca e dell’innovazione. “Il nostro Paese – conclude Realacci – sembra indirizzato su una strada che mette a rischio le conquiste degli ultimi anni, visto che senza dubbio il provvedimento col maggiore impatto sulle sorti dell’ambiente è la Legge Obiettivo. A far pendere il piatto della bilancia contribuiscono anche la sottovalutazione dell’abusivismo, la penalizzazione della ricerca, le nuove normative sui rifiuti e la scarsa fiducia nell’impatto della raccolta differenziata, la minimizzazione dei rischi dell’inquinamento elettromagnetico e l’incapacità di far fronte ai crescenti rischi idrogeologici. La crescita dell’agricoltura biologica, invece, l’aumento dei prodotti certificati DOP e IGP, lo sviluppo delle aree protette, e lo spazio conquistato dall’energia eolica, rappresentano il fiore all’occhiello del nostro Paese. Le uniche tracce di una volontà di scommettere sulla qualità e su uno sviluppo ambientalmente e socialmente sostenibile”. Fonte: Legambiente Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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