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La polemica innescata dall’intervento di manutenzione effettuato sul Castello Sforzesco di Milano non cessa di interessare architetti e intellettuali. Questa volta a fare sentire la sua autorevole opinione è Umberto Eco. Lo scrittore italiano più famoso nel mondo affronta il problema partendo dall’analisi di ciò che il Castello Sforzesco effettivamente è: una costruzione ampiamente reiventata da Luca Beltrami, ma che contiene ancora parti originarie. Oltre alla integrazione mimetica di parti e alla conservazione dei lacerti originari di un edificio, Eco individua un terzo modo di rapportarsi con il passato, un terzo tipo di restauro, che “consisterebbe nel prendere l’opera antica (in buono o cattivo stato che sia) e modernizzarla attaccandovi sopra qualcosa d’altro, come a dire “inserire un Oldenburg sulle guglie del Duomo o pitturare a strisce multicolori Santa Maria delle Grazie”. Secondo Eco operazioni di questo tipo, e quindi anche quella fatta sul Castello, hanno dell’assurdo: “ ….Fatta su un monumento storico, questa operazione, a casa mia, si chiama sfregio, come mettere i baffi alla Gioconda, ma a quella vera. Quindi sarà bene mostrare il Castello puntando sull’imponenza delle sue mura e delle sue torri, e quindi illuminandolo dal basso, lasciando in penombra la sua parte meno autentica, che fa tanto paggio Fernando”. Umberto Eco si augura che il nome del curatore colombiano del progetto di illuminazione del monumento milanese scompaia presto dalla storia dell’arte dell’urbanistica (ammesso che ci sia maientrato). A chi sostiene che comunque il nuovo volto del castello alla gente piace e non poco Eco risponde senza mezzi termini: “non facciamo del facile democraticismo (o populismo): non bisogna dare alla gente il Castello che vorrebbero (perché, a dare ascolto alla gente, vorrebbero anche visitarlo buttando per terra le lattine di Coca Cola, come fanno a Venezia), ma insegnare alla gente quale Castello dovrebbero volere”. Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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