Ricerca e didattica del Laboratorio di Archeologia dell’Architettura dell’Universita di Genova – II parte

Stratigrafia dei rivestimenti ed immagine urbana
(Foto 1 e 2)
Con questa ricerca si è voluto sperimentare un nuovo metodo di lettura dell’ambiente urbano partendo dall’analisi di alcune sue componenti materiche: l’intonaco e la tinteggiatura. Dall’esame degli strati di intonaco e colore, sono state tratte informazioni sui differenti materiali, sulle tecniche adottate nei diversi periodi, sui sistemi di protezione e su quelli di pulitura. Tutto questo sia per una maggiore conoscenza storica, sia per trarre suggerimenti per i comportamenti attuali.
Oggetto dell’indagine è uno degli assi viari più antichi del centro storico genovese, quello costituito da via S. Bernardo, via di S.Donato, Piazza delle Erbe e Salita del Prione, una zona all’interno della cinta muraria, soggetta a leggi e norme sanitarie, in cui le facciate erano oggetto di periodiche operazioni di manutenzione. Sono state fatte però anche analisi e confronti comparativi con altre zone che presentavano parametri del tutto differenti, gli antichi borghi dei pescatori di Prà, Crevari e Voltri e la zona collinare dell’espansione ottocentesca cittadina, con lo scopo di verificare la dipendenza o meno di singolari caratteristiche dallo specifico ambiente.
Per quanto riguarda la metodologia di lavoro si è proceduto per fasi. Inizialmente sono state fatte analisi generali (stratigrafia di elevato orizzontale e verticale) per delineare le fasi di trasformazione dei singoli edifici. Si è quindi proseguito con il campionamento e lo studio delle sequenze di strati di intonaco e colore sulle singole facciate. Sono state, infine, svolte diverse analisi per la caratterizzazione fisico-chimica e mineralogica degli strati: per le tinteggiature, in particolare, è stata compiuta, a livello macroscopico l’analisi del colore mediante codice Munsell, mentre a livello microscopico sono stati valutati la morfologia e la dimensione dei singoli grani di pigmento ed il rapporto di brillanza; per gli strati di intonaco sono state fatte analisi sull’inerte e sul legante valutandoli dal punto di vista mineralogico-petrografico, morfoscopico e granulometrico. Messi a punto gli strumenti di sintesi per poter consultare agevolmente questa enorme massa di dati, si è fatto infine il collegamento tra questi ultimi e l’elemento temporale sia attraverso dati cronotipologici e mensiocronologici, sia attraverso la lettura critica delle fonti storiche.
I dati emersi registrano, per il passato, la frequenza delle manutenzioni: sono stati rilevati, infatti, fino a 31 strati sovrapposti di tinta ed intonaco su un’unica facciata.
I diagrammi diacronici hanno mostrato che, fino al XVII secolo, raramente nella ritinteggiatura ci si discostava dal colore originale, sia come tonalità sia come luminanza e saturazione, mentre, per i periodi successivi, facilmente si registrano sostanziali variazioni di tali parametri. Questa evidenza materica di continuità cromatica, confrontata con le fonti documentali, indica la radicata mentalità di imitazione e conservazione dell’esistente, nonostante non vi fosse nessun vincolo e controllo governativo reale sulla scelta del colore.
La stessa mentalità può avere determinato un’altra caratteristica saliente dei colori di Genova: l’uso di tinte a bassi valori di saturazione e alti valori di luminanza. Queste caratteristiche, tipiche delle facciate dipinte, sono state infatti ritrovate nella quasi totalità degli strati esaminati nel centro storico. Si può quindi pensare che la grande abbondanza di facciate policrome presenti nel centro storico genovese nel periodo XVI-XVII sec. abbia imposto queste caratteristiche quali standard di fatto anche per le facciate monocrome. Esaminando invece i borghi e l’espansione ottocentesca, si sono rilevati valori di saturazione generalmente più alti e valori di luminosità minori. Non essendo, in queste zone, particolarmente diffusa la decorazione dipinta di facciata viene confermato per opposizione il carattere di identità delle antiche facciate del centro.
Indagando sulle cause responsabili di percezioni visive particolari, si è così trovato che nel centro antico (e non nei borghi) è frequente l’uso di mescole di pigmenti diversi, di polvere di marmo, alabastro calcareo e quarzo e, inoltre, che nelle facciate storiche (e non in quelle recenti) si ha una marcata anisotropia di superficie. Questo secondo aspetto dipende dagli orientamenti privilegiati riscontrati nei microcristalli di calcite, dovuti probabilmente alla stesura a pennello (il pelo del quale condiziona la direzione di crescita del cosiddetto “germe di cristallizzazione”). Ciò è responsabile della forte riflettanza, costituente microscopica della alta luminosità macroscopica, che determina la maggiore “vitalità” delle facciate storiche, le quali rispondevano diversamente alla differente inclinazione dei raggi solari.
Per ottenere un determinato effetto non basta quindi scegliere il tipo di terra ma bisogna anche mettere in conto gli effetti di riflessione, diffusione, chiarezza e trasparenza che dipendono dalla dimensione dei pigmenti, dal rapporto terra-latte di calce, dalla densità della miscela, dal trattamento della superficie e dal rapporto calcio / magnesio della calce impiegata. Da ciò risulta evidente che non solo i materiali, ma anche le tecniche di esecuzione e persino gli strumenti e l’uso di questi, possono portare a forti differenze percepibili a livello macroscopico.
Attraverso questa storia materiale, si è riusciti a penetrare nella mentalità, nei gusti, nelle capacità tecniche ed economiche dei committenti e di chi operava. L’analisi archeologica, quella fisico-chimica e la lettura dei documenti sono strettamente interconnesse e l’esame contestuale intrapreso nelle esperienze qui riportate può portare effettivamente a fare storia in modo diverso e più completo.
La complessità dell’esistente e delle sue vicende storiche evidenzia inoltre la necessità di uno studio caso per caso, e sottolinea i rischi di una pianificazione che si basi solo su alcuni aspetti di più facile lettura.

Data:
1989-1992
Gruppo di lavoro:
Daniela Pittaluga, Alessandra Casarino, Antonio Cucchiara, Laura Negretti, Roberto Ricci

Archeologia del costruito nel corso di un cantiere
Un edificio della Ripa di Genova
(Foto 3 e 4)
Il cantiere di recupero o di restauro costituisce una peculiare occasione di conoscenza per che si occupa di archeologia dell’architettura. La presenza di impalcature, la possibilità di effettuare saggi o campioni, l’accessibilità a parti del manufatto normalmente invisibili o non ispezionabili e, non ultime, le operazioni di smontaggio o demolizione previste nella maggior parte degli interventi sul costruito storico, consentono forme di analisi peculiari e spesso preziose per chi opera in questo settore.
E’ stata questa la condizione in cui è stata svolta un’approfondita analisi archeologica su un edificio di abitazione prospiciente l’antica Ripa Maris della città di Genova, nel quale, in fase di cantiere, sono emerse inaspettate ed interessanti testimonianze architettoniche risalenti ai primi anni del XVI secolo.

Anni:
1994-95
Gruppo di lavoro:
Anna Boato, Claudio Cicirello, Daniela Pittaluga, Roberto Ricci

I terrazzamenti delle Cinque Terre
Cultura materiale e tutela del paesaggio
(Foto 5, 6 e 7)
Questo studio è stato condotto tra il 2001 ed il 2004 nell’ambito di due successivi programmi di ricerca (“Studio per la pianificazione e la conservazione dei terrazzamenti delle Cinque Terre”, e “Strumenti per la conservazione del paesaggio terrazzato delle Cinque Terre”), gestiti dall’Ente Parco delle Cinque Terre, con il coordinamento di Mariolina Besio (Dipartimento POLIS, Università degli Studi di Genova) e promossi dal World Monument Fund, con il sostegno dell’American Express Company.
Il territorio terrazzato del Parco Nazionale delle Cinque Terre, per la sua unicità ed estensione, è stato iscritto nel 1997 nella lista dell’UNESCO dei paesaggi culturali appartenenti al patrimonio mondiale dell’umanità. Nonostante ciò esso è oggi un sistema a rischio, per diversi motivi di ordine economico, tecnico, culturale….
Per dare alcune risposte al problema della conservazione di questo straordinario “paesaggio artificiale” si è cercato di approfondire la conoscenza dei modi di costruzione e di intervento tradizionali, per accertare la loro validità, capire in che misura essi siano ancora attuali e riproponibili e, se ciò non fosse, per trovare suggerimenti su materiali e sistemi costruttivi alternativi, ma in sintonia con il paesaggio. Ciò nella convinzione che le scelte costruttive operate nel passato sulla base del sapere empirico (ossia su prove ripetute e sull’eliminazione progressiva dell’errore) risultano spesso le migliori nel contesto e nelle condizioni date e possono ancora oggi insegnarci qualcosa.
Un primo obiettivo è stato, quindi, quello di studiare le tecniche costruttive adottate nel passato per realizzare i muri di terrazzamento, in particolare quelli in pietra a secco, e le sistemazioni idrauliche ad essi connesse.
A tale fine si è proceduto ad una ricerca bibliografica e, parallelamente, sono state individuate zone omogenee dal punto di vista delle caratteristiche tipologiche dei terrazzamenti, entro le quali circoscrivere aree-campione per le indagini di dettaglio.
Il lavoro è proseguito con una serie di colloqui con maestri muratori e con coltivatori, che hanno permesso di verificare l’esistenza di differenti scuole costruttive e di acquisire utili conoscenze sulle modalità di coltivazione, manutenzione e gestione delle aree terrazzate.
Una campagna di schedatura dei terrazzi, dei relativi muri di sostegno, dei fenomeni di degrado e dei crolli presenti nelle aree – campione hanno, quindi, permesso di riconoscere le regole costruttive adottate nella realizzazione dei terrazzamenti. Si è riconosciuta come “regola” ciò che corrisponde alla scelta ricorrente e condivisa, riguardante le geometrie e i dimensionamenti, la scelta del materiale, le modalità di posa in opera, i sistemi di drenaggio e di regimazione delle acque…
Lo studio ha mostrato la complessa stratificazione dei terrazzamenti, conseguente sia ad uno sviluppo diacronico del paesaggio costruito, sia ad un fisiologico processo di tipo manutentivo, derivante dalla natura “precaria” del sistema tradizionale, che, in qualche modo, implica il continuo rifacimento di successive porzioni di muratura.
Nel corso della terza fase di indagine i dati raccolti sono stati studiati alla luce delle attuali conoscenze nel campo dei materiali, dell’ingegneria strutturale e della geotecnica allo scopo di mettere a punto dei modelli di verifica strutturale di tali manufatti, di dimostrare scientificamente la validità, o meno, delle regole costruttive tradizionali e di individuare le cause dei diversi fenomeni di degrado e delle diverse tipologie di dissesto e di crollo.
Un primo esito delle ricerche è la stesura di una serie di suggerimenti operativi per gli interventi di recupero dei muri a secco. Tramite una guida in cui vengono mostrate, con l’aiuto di disegni e fotografie, le operazioni costruttive e manutentive errate e quelle corrette, si intende fornire un primo strumento di orientamento tecnico per gli operatori e di controllo della qualità degli interventi effettuati sul territorio.

Ente finanziatore ed anni
World Monument Found, grant 2000,
svolgimento 2000-02
World Monument Found, garnt 2002,
svolgimento 2002-04
Gruppo misto di lavoro che ha partecipato alle ricerche
Anna Boato (DSA, UniGE), Alberto Colombo, Tiziano Mannoni (ISCUM), Simona Martini (IISL), Gianluca Pesce (ISCUM): indagini di archeologia del costruito e cultura materiale;
Sergio Lagomarsino (DISEG, UniGE), Roberto Passalacqua (DISEG, UniGE), Fabrizio Tavaroli: indagini statiche;
Roberto De Franchi, Luca Sivori (geologi): indagini geo-litologiche.

Uno strumento per la programmazione territoriale
La Carta INFO PAASAL
(Foto 8 e 9)
La Carta del Patrimonio Archeologico, Architettonico e Storico-Ambientale della Liguria (INFO PAASAL) ha come scopo il monitoraggio del patrimonio culturale della Regione Liguria. Essa è derivata dalla volontà della Regione di implementare la “banca dati ambiente e territorio” e di creare uno strumento tecnologicamente avanzato che rispondesse alle richieste della nuova legislazione urbanistica e che fosse di supporto ad una “progettazione compatibile” del territorio, secondo quanto previsto dal più ampio progetto Ecozero (http://ecozero.liguriainrete.it/ecozero/ecozero.htm).
I dati raccolti nella Carta, relativi fino ad oggi a 48 comuni, facenti parte dell’area interessata dall’ex obiettivo 2 della Regione Liguria e pari al 24% del territorio regionale e al 50% della popolazione, permettono di individuare i beni e di localizzarli rispetto alla Carta Tecnica Regionale 1:5.000, quando possibile tramite geo-referenziazione. Di ogni bene (per un totale di 1949 schede compilate) è fornita la descrizione e sono indicate la funzione, la cronologia, il tipo di ricerca che ha condotto alla “scoperta” del bene, lo stato di conservazione, l’eventuale valorizzazione in atto,…. La Carta contiene, infine, una valutazione del bene sotto il profilo dell’importanza storica e indicazioni sugli eventuali fattori di “rischio” in rapporto alla sua tutela.
Si tratta, quindi, di un vero e proprio sistema WebGIS di dati alfanumerici e cartografici di conoscenza ambientale, fruibile in ambiente Internet/Extranet e dotato di un’ampia flessibilità e possibilità di incremento.
Le fonti utilizzate per il censimento comprendono pubblicazioni a stampa, atti pubblici, archivi e schedature di enti competenti. La scelta dei beni da segnalare e la valutazione dell’attendibilità delle fonti si basano sul confronto tra le interpretazioni e le descrizioni riscontrate in ognuna di esse.
La progettazione della Carta del Patrimonio, che si riallaccia all’esperienza maturata negli anni Ottanta dall’Istituto di Storia della Cultura Materiale in relazione alle “Emergenze storiche ed archeologiche” dei Piani Paesistici, ha comportato un notevole impegno. Lo sforzo principale è stato quello di creare una scheda di rilevamento unica per le tre categorie di beni censiti, superando le differenze o le sovrapposizioni disciplinari. Problemi non indifferenti sono derivati inoltre dalla natura delle fonti utilizzate, che necessitavano di un confronto critico non sempre agevole, dalla necessità di operare una selezione e di fornire delle valutazioni senza che tali operazioni fossero guidata da criteri puramente soggettivi o eccessivamente influenzate dal giudizio del singolo compilatore, dalla diversa consistenza e natura dei beni oggetto del censimento, dalla complessità del reale che si fa fatica a ridurre nelle formule univoche e lineari imposte dalle regole della catalogazione e dall’uso degli strumenti informatici.

Committente: Regione Liguria
Anni: 1999-2000
Gruppo di lavoro: Tiziano Mannoni (responsabile scientifico), ARCHEOLOGI PREISTORICI: Nadia Campana, Paola Chella, Ennio Cirnigliaro, Francesca Giomi, Cinzia Guglielmucci, Dorina Riccobono, Ginevra Scotti, Barbara Traversone; ARCHEOLOGI CLASSICI/MEDIEVISTI: Francesca Bandini, Chiara Davite, Giancarla Deferrari, Rita Lanza, Paolo Ramagli, Olivis Ratti, Eleonora Torre; ARCHITETTI: Erminia Airenti, Laura Bruzzone, Tiziana De Iaco, Tulliola Guglielmi, Laura Maggiolo, Giovanni Pesce, Daniela Pittaluga, Patrizia Pittaluga, Mara Sarcina, Simona Valeriani; ELABORAZIONE INFORMATICA: Claudio Cicirello
Strutture coinvolte: Soprintendenza ai Beni Archeologici della Liguria; Soprintendenza ai Beni Architettonici ed Ambientali della Liguria; Università degli Studi di Genova: Facoltà di Lettere e Filosofia, Facoltà di Ingegneria-D.E.U.I.M; Istituto Internazionale di Studi Liguri; ISCUM

Archeologia, archeometria e ingegneria dei materiali
Lo studio delle malte di calce
(Foto 10)
L’analisi archeologica, in alcuni casi, ha contribuito in maniera notevole allo studio e alla comprensione di materiali tradizionalmente utilizzati nell’edilizia storica.
Nel caso, ad esempio, della calce dolomitica, studi di tipo archeologico e archeometrico hanno evidenziato il suo diffuso impiego (non solo nell’Italia del Nord e del Sud ma anche in Francia, in Germania ed in Inghilterra) e la sua ottima resa. A Genova, in particolare, dal XII sino al XIX secolo, questo tipo di calce è utilizzata ovunque: dalle malte di allettamento delle opere portuali agli intonaci di facciata. In tutti i casi è stato riscontrato un eccellente esito alla prova del tempo. Negli attuali manuali sui materiali da costruzione la calce dolomitica è invece definita poco plastica, a presa lenta, scadente.
Le ricerche scientifiche, condotte presso il Laboratorio di Ingegneria dei Materiali del Dipartimento di Edilizia, Urbanistica e Ingegneria dei Materiali, hanno indagato i differenti processi di cottura, legati ai diversi tipi di combustibile (legna, carbon fossile, oli minerali e gas) e di fornace (forni preindustriali a funzionamento intermittente o forni industriali a funzionamento continuo). Il combustibile usato storicamente era costituito da fascine di legna che, bruciando, sviluppano un’atmosfera gassosa ricca di anidride carbonica e soprattutto di vapore acqueo, che è presente in minor quantità nelle fornaci attuali. La differente atmosfera in cui avviene la cottura determina la formazione di prodotti strutturalmente diversi (le decomposizioni, condotte nei forni a legna producono un ossido a grana più grossa e pori più accessibili ai reattivi). Ciò potrebbe essere responsabile della diversa resistenza e qualità del prodotto finito.
Dopo questi primi risultati si sta ora indagando la fase di spegnimento della calce viva.
Le ricerche scientifiche sulla calce stanno dimostrando, quindi quanto il sistema “ossido – acqua – anidride carbonica” sia complesso e come sia necessario studiarlo in tutte le operazioni del ciclo produttivo (scelta della pietra, cottura, spegnimento, stagionatura o conservazione, impasto, messa in opera e presa).
Questa ricchezza di informazioni, e al tempo stesso di interrogativi, è derivata dalle indagini archeologiche che hanno messo in luce la validità dei materiali utilizzati nel passato, collegando inoltre le loro caratteristiche alle diverse epoche e, quindi, ai differenti sistemi produttivi. Le indagini storico-archeologiche condotte sugli edifici, integrate dalle analisi scientifiche condotte nei laboratori hanno permesso un reale avanzamento delle conoscenze.
Ciò può avere una grande importanza nel settore edile. Le ricerche sui materiali antichi non hanno, infatti, solo un fine conoscitivo ma possono costituire uno stimolo nella messa a punto di materiali innovativi da impiegarsi sia nel restauro sia nella nuova costruzione.
L’aver scoperto, ad esempio, il ruolo dell’atmosfera gassosa e la sua probabile influenza sulla resa finale del prodotto, non vuol dire dover ritornare in futuro agli antichi sistemi produttivi, ma trovare in essi suggerimenti per modificare in modo opportuno le moderne tecnologie.

Anni:
1998-2004
Gruppo di lavoro:
Alessandra Casarino, Laura Fieni, Marino Giordani, Gianluca Pesce, Rita Vecchiattini
Responsabili delle ricerche: Tiziano Mannoni (aspetti archeologici e archeometrici), Dario Beruto (ingegneria dei materiali)

Bibliografia
R. VECCHIATTINI, The use of dolomitic lime in historical buildings: history, tecnology and science in “First International Congress on Construction History” a cura di S. Huerta (Madrid 20-24 gennaio 2003), vol. III, Instituto Juan de Herrera, Madrid, 2003, pp 2065-2073.
R. VECCHIATTINI, Un patrimonio da salvare: conoscenza e conservazione delle fornaci in “Recuperare l’edilizia”, 38, 2004, pp 32-38.
T. MANNONI, G. PESCE, R. VECCHIATTINI, Rapporti tra archeologia, archeometria e cultura materiale, nello studio dei materiali impiegati nelle opere portuali, in “Secondo Seminario Anciennes Routes Maritimes Mêditerranéennes: Le strutture dei porti e degli approdi antichi” (Roma 16-17 aprile 2004), in corso di stampa.
CASARINO A., PITTALUGA D., Superfici intonacate: inquinamento, degrado e pulitura nei secoli XVI-XIX, in Atti del XI convegno internazionale di studi Scienza e Beni culturali, Libreria Progetto, Padova, 1995, pp.127-138.
CASARINO A., NEGRETTI L.,PITTALUGA D., Le pellicole ad ossalati sulle superfici architettoniche: analisi di laboratorio ed archeologiche, in REALINI M., TONIOLO L., The oxalate films in the conservation of works of art, Atti del II “interantional Symposium”, Editeam, Milano, 1996, pp.33-45.
CASARINO A.,PITTALUGA D., An analysis of building methods: chemical-physical and archaelogical analyses of micro-layer coatings on medieval facades in the centre of Genoa, in Journal of Cultural Heritage, ed Elsevier, Paris, n.4, 2001, pp. 259-275.
A. Boato, C. Cicirello Un edificio della Ripa genovese, dalla stratigrafia di facciata alle indagini globali in fase di cantiere, in Atti del X convegno di studi Scienza e beni culturali “Bilancio e prospettive”, Libreria Progetto, Padova, 1994, pp. 135-144
TIZIANO MANNONI, FRANCESCA BANDINI, SIMONA VALERIANI, Dall’archeologia globale del territorio alla carta archeologica numerica, in Atti del Seminario di Studi La carta archeologica tra ricerca e panificazione territoriale, Insegna del Giglio, Firenze, 2001, pp. 43-48.

Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Recuperare l’Edilizia nº 41, novembre 2004

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