La scelta dell’aggregato

Granulometria
L’aggregato si presenta visivamente sotto forma di granuli sciolti di diversa dimensione. Proprio partendo da tali caratteristiche dimensionali è possibile compiere una prima classificazione tipologica:
sabbia – dimensione dei singoli granuli che non supera i 4-5 mm;
ghiaia – dimensione dei singoli granuli (di origine alluvionale e di forma tondeggiante) di 4-5 mm;
pietrisco – o inerte grosso. Si caratterizza per una dimensione e una forma dei singoli granuli, provenienti dalla frantumazione della roccia, irregolare. Il termine “inerte o aggregato”, senza alcuna precisazione, include sia la frazione fine (sabbia) che quella grossa (ghiaia o pietrisco). La granularità dell’inerte è connessa con il suo assortimento granulometrico, ovvero con la presenza o meno delle diverse frazioni.
E’ buona prassi operativa che l’aggregato sia bene assortito in modo da favorire una maggiore omogeneità della massa cementizia. Questa accortezza procedurale garantirà la formazione di uno scheletro di elementi lapidei con un contenuto di vuoti interstiziali numericamente ridotto. Questi vuoti verranno essere riempiti dalla pasta di cemento che, una volta indurita, trasformerà l’aggregato in un conglomerato monolitico.Data l’importanza che assume un corretto assortimento granulometrico al fine dell’ottenimento di un cls di qualità, occorre soffermarsi sulle metodologie di individuazione di un corretto mix granulometrico.

L’analisi granulometrica
Per la determinazione della distribuzione granulometrica di un aggregato si ricorre alla separazione mediante setacciatura con stacci di diversa luce di maglia ottenendo i pesi delle singole frazioni granulometriche. Questi dati, espressi percentualmente rispetto al peso di tutto il campione analizzato, permettono di calcolare il materiale passante attraverso ogni staccio. Riportando in un grafico il materiale passante in funzione dell’apertura del vaglio, si costruisce la “curva granulometrica” del singolo aggregato. Pur senza intenzioni esaustive è opportuno accennare per sommi capi alle due equazioni che stanno alla base della definizione di una corretta curva granulometrica.Per ottenere un conglomerato con il minor contenuto di vuoti interstiziali tra i singoli granuli possibile, la curva granulometrica del sistema cemento+aggregato deve seguire l’equazione di Fuller e Thompson:
P = 100 (d/D)½
con
P = percentuale di materiale passante allo staccio con apertura d;
D = diametro massimo dell’elemento lapideo più grosso.
Se il sistema cemento + aggregato soddisfa granulometricamente l’equazione si ottiene il massimo assortimento dimensionale nel quale gli elementi più fini sono allocati nei vuoti interstiziali di quelli medi, e questi ultimi si dispongono a loro volta nei vuoti esistenti tra i granuli più grossi.La formula ha validità teorica ma non operativa poiche un calcestruzzo che soddisfi tali parametri si presenta, in realtà, scarsamente lavorabile e necessita, conseguentemente, di mezzi di compattazione molto sofisticati per essere messo in opera.
Bolomey, in relazione alle difficoltà prima accennate, ha modificare leggermente la curva granulometrica ottimale introducendo un parametro A che tiene conto anche della lavorabilità richiesta e del tipo di aggregato disponibile (alluvionale o frantumato).
P = A + (100-A) · (d/D)1/2
L’equazione, a ben vedere, coincide con quella analizzata precedentemente se si assume A=0. Il parametro A assume valori crescenti da 8 a 14 in funzione della lavorabilità del calcestruzzo e se si passa da aggregati alluvionali tondeggianti ad aggregati di frantumazione di forma irregolare.

Le sostanze “pericolose”
Non tutti gli aggregati sono adatti per il confezionamento di un cls. E’, infatti, indispensabile attenersi ad alcuni requisiti fondamentali che caratterizzano il materiale ottimale da destinarsi a questo scopo. In assenza di questi ultimi, calcestruzzo rischia di degradarsi rapidamente. Occorre prestare particolare attenzione soprattutto all’eventuale presenza, nell’aggregato, di sostanze che potrebbero inficiare la durabilità del conglomerato.La lista delle sostanze nocive include il solfato, il cloruro, la silice alcali-reattiva, le sostanze organiche e i limi argillosi. Va tenuto sotto stretto controllo anche , il comportamento gelivo degli inerti, cioè la caratteristica di frantumarsi quando, dopo essere stati saturati con acqua, sono esposti a temperature che favoriscono la formazione del ghiaccio.Di aiuto, in questo senso, sono le norme Uni.La norma UNI 8520 Parte 2a , ad esempio, stabilisce i limiti per l’accettazione degli inerti, mentre le norme UNI 8520 Parte 4a – 22a illustrano i metodi di prova per la determinazione di questi limiti. Tali prove vanno effettuate periodicamente su materiali che debbono essere impiegati per la prima volta come inerti per calcestruzzo. La procedura è valida in particolare quando si utilizza come aggregato un materiale nuovo e di cui non si conoscono le caratteristiche.Seppur sommariamente è utile analizzare quali sono le sostanze nocive, che possono trovarsi nell’aggregato, e che sono nocive per il cls.

Solfato
Il solfato può essere presente nell’inerte in forma anidrite o di gesso bi-idrato. La presenza di solfato nell’inerte oltre un certo limite – normalmente da contenersi entro lo 0,2% – comporta il rischio di fessurazione del calcestruzzo per formazione di ettringite espansiva a seguito della reazione con gli alluminati del cemento. La presenza del gesso nel cemento è indispensabile, mentre va accuratamente evitata nell’aggregato. Il gesso presente in un inerte, infatti, è granulometricamente disomogeneo ed irregolare e reagisce molto lentamente con gli alluminati del cemento. L’ettringite che si forma all’interno di un calcestruzzo ormai indurito può creare pericolose tensioni per il carattere espansivo della reazione che porta alla formazione dell’ettringite stessa. La distribuzione non uniforme del gesso nell’inerte, inoltre, incrementail rischio di fessurazione.Gli inerti caratterizzati dalla presenza di gesso vanno accuratamente scartati data l’impossibilità operativa di una loro radicale bonifica.

Cloruro
La presenza di tale sostanze è particolarmente dannose in relazione al rischio di corrosione dei ferri di armatura.Nei calcestruzzi non armati, infatti, la presenza di cloruro nell’inerte non comporta alcun rischio di degrado, ma solo un danno di carattere estetico per la formazione di depositi salini sulla superfici esposte a cicli alternati di bagnatura e asciugamento. Nella maggior parte dei casi gli inerti inquinati da cloruro sono identificabili con la sabbia del mare.

Silice alcali-reattiva
Altra fonte di pericolo è rappresentata dalla presenza di silice alcali-reattiva.Alcune forme di silice presenti nell’aggregato lapideo, infatti, possono reagire con gli alcali del cemento per formare silicati alcalini idrati dal carattere espansivo e dirompente nei confronti della matrice cementizia. Questa reazione si concretizza visivamente in fessurazioni irregolari o espulsioni localizzate di malta – il cosiddetto fenomeno del pop out – che possono pregiudicare la durabilità del manufatto.La presenza di silice reattiva rappresenta la più pericolosa forma di potenziale degrado per il cls. Questa nocività latente è collegata, ad esempio, ai tempi di reazione tra l’elemento e il cemento (generalmente piuttosto lunghi) ed alla difficoltà di individuazione della silice nell’aggregato.Inoltre la reazione alcali-silice può avvenire solo in presenza di umidità e si verifica più frequentemente in ambienti esterni o in ambienti chiusi soggetti a fenomeni di risalita capillare d’umidità. La reazione alcali-silice, inoltre, accelerata alle temperature più elevate.Per prevenire il fenomeno, date le difficoltà precedentemente elencate, è opportuno impiegare sistematicamente cementi di miscela alla cenere o alla loppa oppure di cementi pozzolanici, d’altoforno o compositi.

Frazioni limo-argillose
La presenza di tali sostanze è notevolmente meno pericolosa di quella legata alla silice reattiva od al cloruro.
Frazioni limo-argillose possono influenzare negativamente il giunto adesivo tra la superficie degli elementi lapidei e la matrice cementizia, senza però influire consistentemente sulle prestazioni meccaniche del conglomerato.

Sostanze organiche
Le sostanze organiche possono interagire negativamente con il processo di idratazione del cemento rallentando o riducendo lo sviluppo delle resistenze meccaniche. Il fenomeno riduce le prestazioni del calcestruzzo senza inficiare pericolosamente la durabilità del manufatto.

Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici

Commenta questo approfondimento