I segreti della pagoda: alle origini dell’architettura in legno

L’architettura in legno ha millenni di storia. Scopriamo con l’ausilio della pagoda, la struttura in legno più antica giunta illesa fino a noi, le origini ed i segreti di queste costruzioni.

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I segreti della pagoda: alle origini dell’architettura in legno

Cosa c’entra la pagoda, l’edificio di culto buddista, con la capanna primitiva, la prima e scarna forma di rifugio? La costruzione in legno più antica esistente e integra, giunto fino a noi, ha circa 1300 anni. È sita in Giappone, ed è arrivata ai giorni nostri completamente intatta, nonostante i numerosi cataclismi naturali
che si sono abbattuti sulla sua testa come terremoti distruttivi, tifoni, tempeste. Stiamo parlando della Pagoda di Horyu-ji nella prefettura di Nara, risalente al VII secolo d.C.

Patrimonio Unesco dal 1993, la Pagoda di Horyuji, originariamente edificata nel 607 e ricostruita intorno al 711 a causa di un incendio, è la più antica struttura in legno del mondo giunta a noi completamente intatta (grazie anche alle opere di manutenzione e restauro eseguite nel tempo che ne hanno permesso la conservazione) ed è la testimonianza vivente di come il legno, se ben progettato e mantenuto è un valido materiale da costruzione, di lunga durata e stabilità nel tempo. Oggi infatti il legno vive un periodo di rinnovata vitalità come materiale da costruzione (vedi Mjøstårnet: l’edificio in legno più alto al Mondo).

Simili a quelle cinesi per forma e concezione strutturale e da loro derivate, le pagode giapponesi spingono la tecnica di uso e lavorazione del legno ad uno stadio ancor più evoluto e raffinato. Sono il pretesto ideale per fare un piccolo salto temporale agli albori dell’architettura in legno, alle origini dell’abitare.

Alle origini dell’abitare: l’archetipo della capanna primitiva

Alcuni storici fanno corrispondere la prima apparizione di case in legno al Paleolitico, altri al Neolitico. Oltre 40.000 anni fa, l’uomo preistorico nomade, ormai capace di accendere fuochi e cacciare, cominciò ad allontanarsi dalle caverne per costruirsi un rifugio all’aperto. Prese ciò che la natura aveva da offrirgli:
tronchi di legno, frasche e canne, le intrecciò tra loro e per ripararsi dal vento e dalla pioggia pensò bene di ricoprire questa intelaiatura di pelli di animali, foglie, paglia o terra pressata.

L’idea primordiale di abitare è ben espressa nell’archetipo della capanna primitiva trasmesso nel celebre saggio de l’Abate Laugier (Essai d’architecture, 1753) e ripreso successivamente nel disegno dell’architetto francese Viollet Le Duc. Ma assai prima di loro, nel I secolo a.C. Vitruvio Pollione raccontò un mito sulle origini dell’abitare. In una radura della foresta, persone precedentemente isolate e selvagge si radunarono attorno alle braci di un fuoco morente: da questo ritrovo sociale sono emerse le istituzioni politiche, il linguaggio umano e la costruzione di rifugi permanenti. Da quando cioè l’uomo si è allontanato dalle
caverne ed ha costruito i primi accampamenti e villaggi.

Alle origini dell’abitare: l’archetipo della capanna primitiva
Rappresentazione della capanna primitiva. A sinistra, Viollet Le Duc. A destra, l’Abate Augier.

“…cominciarono in quella prima assemblea a costruire ricoveri” dice Vitruvio, aggiungendo “Alcuni li hanno fatti di rami verdi, altri hanno scavato grotte sui fianchi delle montagne e alcuni, a imitazione dei nidi di rondine e del modo in cui costruivano, hanno fatto luoghi di rifugio con fango e ramoscelli”.

Ma le testimonianze più antiche giunte intatte sino a noi di strutture in legno fanno parte, com’è facile immaginare, dell’architettura monumentale o sacra (quella per cui si impegnavano maggiori risorse umane ed economiche e maggior cura nella qualità della realizzazione e dei materiali adoperati).

Mentre in occidente, l’architettura sacra e monumentale aveva sposato la pietra quale materia sacra e inviolabile e duratura, e relegato il legno – considerato più fragile – al ruolo esclusivo di decorazioni e coperture (basti pensare all’architettura classica greca e romana), in oriente il legno aveva considerazione ben più prestigiosa. L’architettura orientale si era fin dall’antichità affidata alle straordinarie qualità del legno (flessibilità, lavorabilità, reperibilità, sostenibilità) per erigere i suoi edifici più importanti, ma a tutto tondo: dalla struttura portante alle coperture, decorazioni e arredi.

Le pagode ne sono un lampante esempio. In queste costruzioni il legno emerge con stupefacente chiarezza costruttiva: ogni elemento è pensato, lavorato e posizionato in contrasto con gli altri in simbiotica tensione fino a comporre un’opera in equilibrio totale, capace di sostenersi e sopportare gli stress derivanti dall’esposizione agli agenti atmosferici anche estremi, e resistere ad eventi eccezionali quali sismi e uragani.

Il buddismo e l’evoluzione storica della pagoda

Come per la storia dell’architettura in occidente, anche in Oriente è la religione che definisce e guida le evoluzioni delle costruzioni più rappresentative, come quelle monumentali, dove si condensano tutti i saperi, le arti e le tecniche di quel periodo storico.

Il Buddismo è stato parte della cultura giapponese fin dal VI secolo ed è stato trasmesso in Giappone dall’India attraverso la Cina e la penisola coreana. Il Buddismo ha impiegato circa 500 anni per essere trasmesso in Cina dall’India e altrettanti per sbarcare sulle coste giapponesi.

Diffusione del Buddismo in Asia: India, Cina, Korea, Giappone.
Diffusione del Buddismo in Asia: India, Cina, Korea, Giappone.

Nel millennio occorso al Buddismo per arrivare dall’India al Giappone, l’architettura dei templi religiosi è mutata profondamente. A questo cambiamento contribuirono le differenze climatiche e la grande disponibilità di legname di Cina e Giappone.
Da bassa struttura a cupola a edificio multipiano con tetti aggettanti come soluzione tecnica alle forti piogge locali, e per essere vista da lontano.

Evoluzione della pagoda giappone: da bassa struttura a cupola a edificio multipiano

La pagoda giapponese (塔, tō), proprio come tutte le altre pagode dell’Asia, ebbe origine dall’evoluzione della stupa indiana, un monumento commemorativo e funerario di matrice buddhista. Infatti, la parola giapponese “tou” che significa “torre”, è derivata da “stupa” nell’antica lingua indiana, il sanscrito. Una stupa è una pagoda buddista.

Le Stupas, forse i più antichi monumenti funerari religiosi, erano strutture emisferiche costruite come siti di sepoltura per le ceneri di Buddha. Il più antico edificio esistente in India è la Stupa di Sanchi, risalente al III sec a.C., dalla cupola emisferica fatta in mattoni.

 A sinistra la pagoda di Horyuji, a destra la pagoda di Yingxian
Pagoda cinese e giapponese. A sinistra la pagoda di Horyuji (la più antica struttura in legno). A destra, la pagoda di Yingxian (la più alta struttura interamente in legno)

Arrivando in Cina la cupola lascia il posto ad un edificio multipiano in legno con tetti aggettanti, ponendo le basi per la successiva evoluzione giapponese, e il materiale scelto diventa il legno. Strutture alte e simmetriche, con un numero di piani variabile da un minimo di 3 ad un massimo di 9, sempre dispari.

La più antica struttura cinese in legno (legno di larice) è la Pagoda di Sakyamuni del Tempio di Fugong a Yingxian, costruita nel 1056, ha pianta ottagonale e quasi 1000 anni di vita. È la più alta struttura interamente in legno esistente al mondo, con i suoi 67,31 metri e ben 9 piani, mentre la più antica e illesa struttura in legno è sita in Giappone, a Nara, conosciuta come la celebre Pagoda di Horyuji.

La Pagoda di Horyuji: il più antico edificio in legno da 1.300 anni

La Pagoda di Horyuji, sita a Nara (antica capitale del Giappone), che vanta ben 1.300 anni di vita, è la più antica costruzione in legno giunta illesa fino ai nostri giorni.

Questa pagoda è una struttura a quattro lati (pianta quadrangolare) con telaio in legno. Ciascuno dei piani superiori poggia sulla struttura del tetto sottostante, mentre il perimetro di ogni piano diminuisce successivamente. Il palo centrale (shinbashira 心柱), eretto sopra una cripta sotterranea che contiene reliquie, non si incastra con il telaio ligneo dei vari piani, e quindi non sostiene il carico verticale della struttura: ha più un significato simbolico che pragmatico nel suo suggestivo movimento di ascensione.

Pagoda di Horyuji
A sinistra: opera di Tsuchiya Koitsu, “Rain at Horyuji”, 1938. A destra: foto recente della Pagoda di Horyuji.

La pagoda di Horyu-ji pesa circa 1.200 tonnellate. Ogni piano mostra una live differenza nel posizionamento delle sue travi, dando l’impressione di deformarsi, curvarsi. Non è il risultato di un errore di calcolo, bensì il risultato dell’aver sapientemente compensato la tendenza a deformarsi a destra o a sinistra e la tendenza a curvarsi o inclinarsi.

Concezione strutturale delle pagode

Le pagode cinesi sono progettate per la visione nell’ambiente, mentre quelle giapponesi sono progettate come oggetti da osservare in proprio.

Simile alle pagode cinesi, la pagoda giapponese a più piani in legno è costituita da quattro parti:

  • il pinnacolo (Sorin in giapponese e Tacha in cinese),
  • il corpo,
  • la fondazione,
  • il palazzo simbolico (Shariana in giapponese e Digong in cinese).

All’interno di queste quattro parti il corpo è la parte principale di una pagoda

Concezione strutturale della pagoda giapponese

Il corpo di una pagoda è una struttura multipiano in legno. Per ogni piano la struttura può ulteriormente essere divisa in quattro parti:

  1. il basamento (Hashiraban in giapponese e Pingzuo in cinese),
  2. la colonna,
  3. il tipico “complesso mensolare” (Kumimono in giapponese and Dougong in Chinese),
  4. il tetto.

La Pagoda di Horyuji è costruita in legno di cipresso (hinoki), una specie legnosa giapponese molto forte e resistente, dall’eccezionale durabilità naturale.

Connessioni e giunzioni in legno: il “Dougong”

Il segreto della longevità delle pagode, risiede nell’accurata progettazione delle connessioni delle parti (giunzioni, incastri). Ogni elemento in legno (trave, pilastro o travetto) è abilmente lavorato, scavato e intagliato, a formare degli incastri perfetti tra loro. La giunzione simbolo per eccellenza è il “complesso mensolare” o cosiddetto Dougong.

A tal proposito, un antico proverbio Miyadayku (carpentiere in lingua giapponese), recita: “Costruire una pagoda (togumi) significa giunzioni del legno (kigumi). Unire il legno significa incontrare i caratteri del legno (kusegumi). Incontrare i tratti del legno significa incontrare i tratti umani (hitogumi). Incontrare i tratti
umani significa incontrare i cuori umani (kokorogumi).

Evoluzione delle connessioni e giunzioni in legno: il “Dougong”
L’evoluzione dell’incastro trave-pilastro nel complesso mensolare “Dougong”

Il segreto delle pagode, custodito dai mastri carpentieri, risiede nella magia degli incastri. Ogni elemento, trave o pilastro, orizzontale-verticale od obliquo, è lavorato abilmente: scavato, intagliato o inciso a regola d’arte con precisione millimetrica per combaciare perfettamente con le altre parti della costruzione, a formare un’ossatura completa e organica, come una creatura generata dalla natura per l’uomo e viceversa.

Un organismo unitario che vive l’unità dei frammenti delle parti in una comunione umana. Ogni pezzo è in equilibrio per via della forza d’inerzia e dell’attrito generato dagli incastri modellati con perizia e abilità tecnica dei maestri carpentieri.

L’elemento più caratteristico di una pagoda è il particolare giunto legno-legno denominato in cinese “Dougong” (in giapponese: Kumimono), l’evoluzione tecnica del nodo trave-pilastro, una sorta di elaborato capitello che permette l’esistenza dei tipici tetti a falda molto pronunciata all’esterno, scaricandone il peso su una rapida successione a cascata di piccoli travetti alternati e incastrati tra loro fino a poggiarsi sulle colonne portanti perimetrali dell’edificio.

Il Dougong: esploso e schema delle singole parti
Il Dougong: esploso e schema delle singole parti

Il valore delle pagode quali modelli di architettura in legno, risiede nella sua raffinata concezione strutturale. Tutta la loro resistenza è affidata esclusivamente al legno: gli elementi metallici sono assenti o ridotti al minimo essenziale.

Ben consapevoli infatti che uno dei nemici mortali del legno è il ferro, gli originali carpentieri del periodo Asuka adoperavano un minimo assoluto di chiodi di ferro; quelli che usavano erano ripetutamente forgiati di modo da ottenere multipli strati sottili. Così anche se la superficie arrugginiva, rimuovendo lo strato
superiore si poteva rivelare lo strato sottostante intatto. Questo spiega il perché dopo oltre un millennio, alcuni chiodi svolgono ancora la loro originaria funzione.

Quando il metallo è inserito nel legno, la ruggine conduce il legno circostante alla marcescenza. Il foro creato dal bullone, a causa della ruggine, si espande fino a due volte la sua taglia danneggiando il legno.

L’acciaio appare forte e duraturo, ma la sua vita paragonata a quella del legno è molto corta.

Una struttura antisismica in legno

Nonostante siano costruite senza chiodi o pezzi di rinforzo in metallo, le circa 400 pagode buddiste di legno a più piani presenti in tutto il Giappone hanno, nel corso dei secoli, resistito a terremoti distruttivi, tsunami e potenti tifoni.

All’indomani del famigerato Terremoto di Kobe del 1995 (7,3 di magnitudo della scala Richter: tra i terremoti più distruttivi di sempre), mentre tante strutture di più recente costruzione caddero su loro stesse (200.000 edifici rasi al suolo e oltre 4 mila morti), tutte le vecchie pagode (dai tre ai cinque piani) presenti nelle zone devastate, rimasero intatte.

La pagoda è una struttura in legno antisismica

Le pagode dissipano e disperdono le forze di terremoti, tifoni ed altri cataclismi attraverso la loro costruzione flessibile. I lavori di carpenteria sono morbidi e duttili, funzionano come le giunture del corpo umano. Per muoversi come una cosa vivente, la struttura deve essere solida.

Tutti i piani della pagoda sono strutturalmente indipendenti l’uno dall’altro. Un pilastro centrale (o shimbashira), s’erge su una base di pietra e s’innalza fino al pinnacolo ma non sostiene il tetto o qualsiasi altra parte della struttura. Le travi interne ed esterne sono adagiate intorno al pilastro centrale, a sostenere il peso di ogni sezione in maniera indipendente a cascata.

La solidità di queste strutture è legata alla loro flessibilità, ottenuta dal montaggio delle parti (incastri e giunzioni). In caso di un terremoto o tifone, ciascuno dei piani della pagoda vibra e si muove alternativamente in direzione opposta, con un movimento sinuoso ondulatorio che gli antichi costruttori avevano definito “odori no hebi” (“la danza del serpente”), che dona un naturale equilibrio alla struttura.

La colonna centrale poi, fa da cuscinetto alle travi orizzontali che urtano contro di lei. Questo impedisce alla pagoda di barcollare troppo fuori asse e, di conseguenza, crollare.

Rafforzare la teoria della flessibilità” spiega Tsunekazu Nishioka, celebre mastro carpentiere giapponese che ha curato il grande restauro della pagoda di Horyuji (1942-52): “L’edificio appare molto robusto e solido, ma se si dà una buona spinta con la mano, mentre la pagoda è ancora in costruzione, l’intera struttura dondola avanti e indietro. In caso contrario, l’edificio non è buono. Questa è la regola base e test costruttivo della pagoda”.


Bibliografia

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  • LAUGIER Marc-Antoine, Saggio sull’Architettura, Aesthetica, 2002
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  • NISHIOKA T., KOHARA J., The building of Horyu-ji, Japan, NHK Publishing, 1978.
  • RUDOFSKY Bernard, Le meraviglie dell’architettura spontanea, Bari, Laterza, 1979.
  • TORRICELLI M. C., DEL NORD R., FELLI P., Materiali e tecnologie dell’architettura, Bari, Laterza, 2001
  • UTET, Architettura Cinese: il trattato di Li Chieh, 1998
  • Vitruvio, The Origin of the Dwelling House, tratto da “I 10 libri dell’Architettura”, 50 a.C

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