Italia, un paese a rischio

Il rapporto Ispra 2018 parla chiaro: il 91% dei comuni italiani è a rischio frane e alluvioni. Un pericolo che riguarda persone, edifici, fabbriche e beni culturali del nostro Paese. Il fenomeno si aggrava a causa degli effetti dei cambiamenti climatici con effetti catastrofici. Intanto, la Camera vota un altro condono edilizio per Ischia e il Centro Italia terremotato

La zona del Bellunese colpita dalla violenza del maltempo (foto, Montagna Tv)

La zona del Bellunese colpita dalla violenza del maltempo (foto, Montagna Tv)

Sono undici le Regioni che, dopo i disastri ambientali della fine di ottobre, hanno chiesto lo stato di emergenza. Per far fronte alle spese più urgenti, il governo ha stanziato 53 milioni di euro, in attesa di poter utilizzare altre risorse già previste nel bilancio dello Stato per fronteggiare il dissesto idrogeologico dell’intero Paese. A essere duramente colpite sono state Calabria, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Veneto e Trentino Alto Adige.

Altri soldi, promette il governo, sono in arrivo: si parla di 200 milioni che dovrebbero arrivare con un apposito decreto del presidente del Consiglio.

Questo il conto economico, che non tiene conto delle vittime che anche questa volta i crolli, le alluvioni e gli smottamenti hanno sepolto sotto un mare di acqua, fango e detriti.

Una montagna del Bellunese dopo il disastro ambientale di fine ottobre (foto Valigia Blu)
Una montagna del Bellunese dopo il disastro ambientale di fine ottobre (foto Valigia Blu)

L’Italia è un Paese fragile, si sa. Ma anche di scarsa memoria, perché il problema del dissesto di montagne e fiumi ci accompagna ormai da decenni e ci viene ricordato praticamente ogni anno, con dati sempre più drammatici. Perché accanto al cronico problema del dissesto idrogeologico, da qualche anno a questa parte si aggiungono gli effetti sempre più devastanti dei cambiamenti climatici.

Chi invece da alcuni anni monitora lo stato del dissesto idrogeologico è Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, che di recente ha prodotto il Rapporto 2018. Lo studio dei ricercatori fornisce un quadro di riferimento aggiornato sulla pericolosità di frane e alluvioni sul territorio nazionale e presenta anche gli indicatori di rischio relativi a popolazione, famiglie, edifici, imprese e beni culturali.

La zona di Fiemme colpita dal maltempo (foto, Comune info)
La zona di Fiemme colpita dal maltempo (foto, Comune info)

Rispetto all’edizione 2015, balza all’occhio un incremento del 2,9% della superficie complessiva classificata a pericolosità da frana e del 4% della superficie a pericolosità idraulica media (i dati sono frutto di elaborazioni desunte dai Piani di assetto idrogeologico e dei Pai Frane; l’incremento lo si deve al miglioramento del quadro conoscitivo; nda).

Dai principali dati contenuti nel Rapporto di quest’anno  si ricava che il 91% dei comuni italiani (7.275) sono a rischio per frane e/o alluvioni; il 16,6% del territorio nazionale è classificato a maggiore pericolosità; 1,28 milioni di abitanti sono a rischio frane e oltre 6 milioni di abitanti a rischio alluvioni. Le regioni con i valori più elevati di popolazione al doppio rischio sono Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Lombardia, Veneto e Liguria.

 I principali dati del Rapporto 2018 di Ispra sul dissesto idrogeologico in Italia
Nell’infografica i principali dati del Rapporto 2018 di Ispra (fonte, elaborazione Ispra)

Le famiglie a rischio frane e alluvioni sono rispettivamente 538.034 e 2.648.499. Su un totale di oltre 14,5 milioni di edifici, quelli ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono 550.723 (3,8%), quelli ubicati in aree allagabili nello scenario medio (tempo di ritorno tra 100 e 200 anni) sono 1.351.578 (9,3%).

Le industrie e i servizi ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono quasi 83mila, con 217.608 addetti esposti a rischio. Nello scenario medio sono esposte al pericolo di inondazione 596.254 unità locali di impresa (12,4% del totale) con 2.306.229 addetti a rischio.

Il Rapporto contiene anche una stima dei beni culturali a rischio. L’Italia, con i suoi 53 siti Unesco e gli oltre 200mila beni architettonici, monumentali e archeologici, è uno straordinario museo all’aperto:  i beni culturali potenzialmente soggetti a fenomeni franosi sono 11.712 nelle aree a pericolosità elevata e molto elevata; raggiungono complessivamente 37.847 unità se si considerano anche quelli ubicati in aree a minore pericolosità. I monumenti a rischio alluvioni sono 31.137 nello scenario a pericolosità media e raggiungono i 39.426 in quello a scarsa probabilità di accadimento o relativo a eventi estremi (per la salvaguardia dei beni culturali, è importante valutare anche lo scenario meno probabile, tenuto conto che, in caso di evento, i danni prodotti al patrimonio culturale sarebbero inestimabili e irreversibili; nda).

Questo il quadro ufficiale, non proprio tranquillizzante. In questo contesto, c’è chi, come Legambiente, non le manda a dire: nei giorni successivi al disastro di fine ottobre l’associazione ambientalista ha chiesto al Governo di approvare un piano nazionale di adattamento al clima e una normativa per fermare il consumo di suolo.

“Il clima sta cambiando. È un dato di fatto, eppure l’Italia continua a essere impreparata – sostiene Giorgio Zampetti, direttore generale dell’associazione ambientalista -. Le città non possono essere lasciate da sole a fronteggiare impatti di questa dimensione dovuti in primis ai cambiamenti climatici, che amplificano gli effetti di frane e alluvioni e che stanno causando danni al territorio e alle città, mettendo in pericolo la vita e la salute dei cittadini. Nonostante siano state messe in campo nuove politiche per la riduzione del rischio sul territorio, purtroppo ancora oggi non se ne vedono i risultati. La dimensione dei problemi che vediamo nei territori legati alla fragilità idrogeologica del Paese, a una pianificazione e a una espansione urbanistica che spesso non ne tiene conto e a un clima che sta cambiando, è tale da obbligare a un cambio di strategia e di velocità degli interventi. Occorre un piano nazionale di adattamento e interventi coerenti e coordinati. Per questo chiediamo al Governo di approvare il Piano nazionale, a cui devono seguire piani su scala regionale e territoriale, in modo da aiutare i Comuni, che devono individuare i rischi e gli interventi prioritari di prevenzione”.

Per Legambiente servirebbero risorse adeguate e continuative: si giustifica così la richiesta dell’associazione di un fondo di 200 milioni di euro all’anno da destinare ai Piani clima dei comuni e a progetti di adattamento ai cambiamenti climatici. Un richiesta pare inascoltata, se si analizza la legge di bilancio 2019.

L’associazione ambientalista ricorda che tra il 1944 e il 2012 sono stati spesi 61,5 miliardi di euro, solo per i danni provocati dagli eventi estremi nel territorio italiano e l’Italia è tra i primi Paesi al mondo per risarcimenti e riparazioni dovuti a eventi di dissesto con circa 3,5 miliardi all’anno.

Sul fronte governativo, il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, nei giorni scorsi, ha ricordato ai governatori di regione che i fondi per il contrasto al dissesto idrogeologico ci sono: si tratta di 6 miliardi e mezzo, di cui 3,1 derivanti dal Fondo per lo viluppo e la coesione e 3,4 di risorse proprie del ministero.

“I progetti in cantiere hanno la copertura finanziaria, ma bisogna velocizzare la progettazione – ha spiegato Costa -. Per questo abbiamo proposto un tavolo tecnico con le Regioni, garantendo loro il massimo sostegno”.

Alluvioni e frane chiamano spesso in causa l’abusivismo edilizio, come è avvenuto nella frana di Casteldaccia dove sono morte nove persone ospitate nella villetta abusiva costruita anni fa sulla riva del fiume Milicia.

Sul fronte dell’abusivismo, un fenomeno che nel nostro Paese è duro da debellare, non si può tacere l’ennesimo condono edilizio che ha riguardato Ischia e le zone terremotate del Centro Italia. Un condono contenuto in un provvedimento atteso da tempo: il decreto per le misure straordinarie a sostegno della ricostruzione di Genova. Quasi una beffa.

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