L’emergenza clima da Venezia a Matera non chiamatelo soltanto maltempo

Il Mose l’altra opera incompiuta e come ci si difende dall’acqua nel resto del mondo. Pronta una mozione per impegnare il governo a “dare risposte adeguate alla sfida dei cambiamenti climatici, a partire da una finanziaria green, che inizi a tagliare i sussidi dannosi per l’ambiente”. Il ministero delle Infrastrutture ha fatto sapere che sono pronti 65 milioni di euro per la salvaguardia e la riqualificazione.

L’emergenza clima da Venezia a Matera non chiamatelo soltanto maltempo

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Venezia sommersa. Matera infangata. Le mareggiate in Puglia. Tante facce per la stessa medaglia. L’Italia si trova ancora una volta, e ancora una volta in pieno autunno, a fare i conti con il maltempo; con eventi meteo eccezionali per la precisione che molto hanno a che fare con gli effetti dei cambiamenti climatici. Dietro questo ondate che flagellano il Paese infatti c’è la miscela di fattori messa in atto dai cambiamenti climatici.

Se ne parla da tempo, l’Italia è in emergenza climatica e basterebbe questo affinché Palazzo Chigi ne prendesse atto: “Se il governo vuole dare risposte adeguate alla sfida dei cambiamenti climatici, come chiedono i giovani dei climate strike, è arrivato il momento di agire – spiega una mozione di Rossella Muroni di LeU, che sarà discussa in Aula alla Camera oggi, lunedi 25 novembre – a partire dalla dichiarazione dello stato di emergenza climatica e da una finanziaria green, che inizi a tagliare i sussidi dannosi per l’ambiente, ad alzare i canoni di concessione per i beni pubblici, a rimodulare l’Iva premiando i prodotti a minor impatto ambientale”.

Con la mozione si “impegna il governo ad accelerare la transizione energetica per ridurre le emissioni in tutti i settori e arrivare al 100% di rinnovabili al 2050“, e si chiede “un Green new deal che porti alla conversione ecologica dell’economia” da finanziare “con le risorse recuperate” dal taglio ai sussidi fossili e con la “fiscalità verde”.

Per ottenere, un impegno del “governo a un Piano di investimenti decennale che coinvolga i principali settori produttivi e preveda programmi nazionali per la messa in sicurezza del territorio, la mitigazione del rischio e l’adattamento al climate change, per la riqualificazione energetica e la messa in sicurezza statica degli edifici, per la riqualificazione delle produzioni ad elevato impatto ambientale e per la mobilità sostenibile”. Inoltre, “l’esecutivo dovrà lavorare anche all’istituzione di una carbon-tax europea”.

Il Mose

Lo stato di emergenza a Venezia riporta necessariamente l’attenzione sul Mose, la grande opera che grazie a un sistema di ingegneria meccanica e idraulica dovrebbe riuscire a difendere la città dall’acqua alta, governando le maree. Il Mose (Modulo sperimentale elettromeccanico) separa la laguna di Venezia dal mare Adriatico.

Una volta ultimato, dovrebbe essere composto complessivamente da 78 paratoie mobili installate nelle tre bocche di porto lagunari: Lido, Malamocco e Chioggia. Nello specifico il Mose è formato da 4 barriere: 2 alla bocca di porto del Lido (quella più vicina a Venezia che è larga il doppio delle altre due ed è formata da 2 canali con profondità diverse) che sono composte rispettivamente di 21 paratoie quella nel canale nord e di 20 quella nel canale sud, le due barriere sono tra loro collegate da un’isola intermedia; 1 barriera formata da 19 paratoie alla bocca di porto di Malamocco; 1 barriera di 18 paratoie alla bocca di porto di Chioggia.

Acqua alta in Piazza San Marco a Venezia
Acqua alta in Piazza San Marco a Venezia. Credit img @Wolfgang Moroder

Il progetto elaborato prevede oltre a un sistema integrato di barriere a paratoie mobili alcune opere complementari, come le scogliere all’esterno delle bocche di porto per attenuare i livelli delle maree più frequenti e il rialzo delle rive e delle pavimentazioni nelle aree più basse.

L’opera è stata pensata negli anni ’80 per difendere Venezia e la sua laguna dall’acqua alta superiore ai 110 centimetri. Al sistema idraulico di paratie mobili che stanno appoggiate invisibili sul fondo delle bocche di porto e si alzano con l’alta marea, riempite di aria compressa si affianca la sede operativa all’Arsenale, che già dal 2012 è in grado di fornire previsioni sul meteo e sulle maree con un anticipo di tre giorni.

I lavori per la sua realizzazione sono cominciati nel 2003, quando era presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ma non sono ancora stati completati. Nel 2014, il Consorzio Venezia Nuova – concessionario del ministero delle Infrastrutture per la realizzazione dei lavori – è stato commissariato dallo Stato, visto che vari suoi membri erano stati coinvolti dalle indagini della magistratura per aver ricevuto fondi illeciti e avevano patteggiato la pena. Da allora si sono succeduti diversi commissari.

La costruzione del Mose iniziata nel 2003 dovrebbe concludersi il 31 dicembre 2021.

L’opera ha subìto un allungamento dei tempi, dovuto alle inchieste della magistratura, e la lievitazione del costo stimato per il suo completamento che arriva a oltre 5 miliardi.

Arriva la supercommissaria

Approda al nuovo incarico con una solida conoscenza della macchina dello Stato ed esperienze dirette sul territorio veneziano Elisabetta Spitz, indicata dalla ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti Paola De Micheli come nuova supercommissaria del Mose. Romana di radici austriache, architetta, esperta urbanista, Spitz diventa segretaria generale del Consorzio Roma Capitale nel 1986; si occupa di Venezia già una prima volta dal 1992 al 1999 quando presiede il consorzio di progettazione della salvaguardia delle aree abitate della città veneta.

Nel 1999 viene nominata dal ministro del Tesoro Vincenzo Visco nel comitato esperti per la riforma del ministero delle Finanze; dal 2001 al 2008 è direttore dell’Agenzia del Demanio e nel 2009 torna ad occuparsi di Venezia come consulente dell’Autorità Portuale per la formulazione del Piano di gestione del Porto di Venezia e governance delle procedure. Dal 2013 al 2018 è stata amministratore delegato di Invimit, la società che si occupa di una parte del patrimonio immobiliare pubblico.

Come difendersi dall’acqua

Dighe, dune, sbarramenti. Sono tanti gli impianti in servizio nel mondo per proteggere città e intere regioni da un eventuale innalzamento del livello delle acque, dall’Olanda, modello in questo settore, alla Gran Bretagna passando per Russia e Stati Uniti.

L’Olanda per esempio con un territorio per il 40% sotto il livello del mare, senza i suoi 18 mila chilometri di dighe, dune e sbarramenti, sarebbe solo una grande palude e non la quinta economia dell’Eurozona. Da decenni non solo si sta proteggendo da un potenziale innalzamento del livello delle acque del mare del nord ma sta anche esportando le sue soluzioni in tutto il mondo, con 7 miliardi fatturato.

“E’ il momento della resilienza e dell’adattamento, della mitigazione – osserva il ministro dell’Ambiente Sergio Costa – serve una politica che guarda al clima con attenzione completamente diversa. Ce ne accorgiamo tutti ci sono situazioni che prima noi non abbiamo mai vissuto e che si stanno ripetendo con frequenza sempre maggiore. Vuol dire che qualcosa sta cambiando”.

Intanto il ministero delle Infrastrutture ha fatto sapere che sono pronti 65 milioni di euro per la salvaguardia e la conservazione della laguna di Venezia; di questi 46 sono destinati alla città che nei giorni scorsi ha vissuto la drammatica ondata di acqua alta. Si tratta di fondi contenuti nella Legge speciale su Venezia, rifinanziata dalla scorsa Legge di Bilancio, che sono stati sbloccati. Le risorse si aggiungono ai 20 milioni già stanziati per Venezia dal consiglio dei ministri che ha approvato lo stato di emergenza. I 65 milioni sono destinati a compiere lavori di manutenzione, riqualificazione e conservazione della laguna di Venezia.

Dopo il crollo di ieri del viadotto sull’autostrada A6 Torino-Savona in un comunicato Francesco Peduto, Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi, ha commentato che “circa il 90% delle problematiche legate alle infrastrutture italiane sono determinate non da fattori strutturali, bensì dovute a criticità idrogeologiche. In tal senso, le parole d’ordine sono sempre le stesse: prevenzione, manutenzione del territorio e delle infrastrutture, monitoraggi strumentali, satellitari e tecnico-esperti attraverso il presidio territoriale. Parole che ripetiamo spesso dopo ogni evento idrogeologico significativo, che purtroppo in Italia non riescono a diventare un fatto concreto”.

 

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