Tecnologia e innovazione in edilizia: occorre aprirsi alla digitalizzazione e all’inclusione 21/07/2025
Indice degli argomenti Toggle Imperfezione come linguaggio: un’estetica consapevoleCome si ristrutturano edifici facendo dialogare passato e futuro secondo l’architetto Alfonso FemiaCome si progettano spazi contemporanei e funzionali all’interno di una struttura storica?Quali elementi sono essenziali per garantire la continuità tra antico (e quindi originario) e moderno?Che cosa pensa del concetto di architettura come stratificazione storica, materia sempre aperta?Conservare per evolvere: una visione per l’architettura del futuroCase study – L’Atelier Covivio, un esempio di trasformazione rispettosa del passato e aperta al futuroCase study – Architettura e “realismo sociale”Case study – La progettazione onesta di StudiOCase study – Il caffè ottocentesco che rinasce in provincia di VicenzaCase study – la Chiesa che diventa ufficio in provincia di TrapaniFAQ restyling conservativoChe cosa significa progettare in ottica filologica (e quindi valorizzando il passato), ma pensando al futuro?Qual è il legame tra incompiutezza e innovazione architettonica?L’architettura incompiuta può davvero essere funzionale? “Che cosa succederebbe se smettessimo di progettare per decenni e iniziassimo a progettare per secoli?” Una domanda che fa molto riflettere e non a caso arriva da Gensler, uno dei più grandi e influenti studi di architettura e design al mondo, società di progettazione globale con sede principale a San Francisco, fondata nel 1965 da Art Gensler con la moglie Drue e il loro socio James Follett. L’occasione è l’installazione “The 500-Year Building”, alla Biennale di Venezia 2025, nell’ambito della mostra Time Space Existence, dove lo studio statunitense rivede l’architettura come un organismo vivente, guidato da creatività, tecnologia e speranza. L’installazione “The 500-Year Building”, alla Biennale di Venezia 2025 “In un mondo che troppo spesso pianifica a intervalli di cinque anni, ci stiamo sfidando, e invitiamo anche gli altri a farlo, a immaginare un’architettura che duri centinaia di anni”, ha dichiarato Jordan Goldstein, Co-CEO di Gensler. “Questa installazione non vuole prevedere il futuro, aprire uno spazio creativo per inventarlo. Si tratta di abbracciare le possibilità, sognare in grande e progettare con empatia tra le generazioni”. Nel panorama architettonico contemporaneo, si fa strada una filosofia progettuale che sovverte i canoni tradizionali di “completo” e “rifinito”, per abbracciare un’estetica dell’imperfetto, dell’incompiuto, del lasciato a vista. Un approccio filologico e allo stesso tempo profondamente contemporaneo, che riconosce il valore delle tracce del passato, le rende parte integrante del progetto e apre nuove prospettive per un’architettura più sostenibile, flessibile e autentica. Imperfezione come linguaggio: un’estetica consapevole Questa filosofia si fonda sull’idea che l’architettura non debba necessariamente essere una forma chiusa, definitiva, ma piuttosto un organismo vivo, aperto, pronto ad accogliere trasformazioni, modifiche, adattamenti. Un’architettura che rivela la sua origine, la sua materia grezza, la sua storia costruttiva, senza camuffarla dietro superfici lisce e rifiniture perfette. La bellezza del grezzo, del “non finito”, diventa così un elemento identitario, un tratto distintivo che comunica sincerità progettuale, sostenibilità e apertura al futuro. Muri lasciati a vista, impianti esposti, strutture originarie non rimaneggiate, elementi deteriorati conservati e integrati nel nuovo: tutto contribuisce a un linguaggio architettonico che privilegia l’autenticità rispetto all’artificio e che concepisce la struttura costruita quasi come un organismo vivente, in continua mutazione. Come si ristrutturano edifici facendo dialogare passato e futuro secondo l’architetto Alfonso Femia Come si progettano spazi contemporanei e funzionali all’interno di una struttura storica? Ritengo essenziale intervenire seguendo un modello cronotopico, cioè analizzando e soddisfacendo non solo le questioni filologiche, ma anche quelle legate alla riqualificazione dello spazio urbano, dell’intorno dell’edificio storico. Il processo che porta al recupero dell’edificio coinvolge l’analisi dei problemi fino alla soluzione progettuale compatibile con il mantenimento o con la ri-destinazione funzionale. Ad Avignone abbiamo sviluppato un progetto che ha soddisfatto sia le esigenze di recupero monumentale, sia l’aggiornamento urbano e sociale, valorizzando e conservando il carattere dell’edificio. Quali elementi sono essenziali per garantire la continuità tra antico (e quindi originario) e moderno? Aggiornare un edificio storico al fine di una ri-destinazione funzionale, oltre all’intervento di restauro, significa attuare un processo assimilabile, sia pure a scala e con implicazioni diverse, a quello permanente di trasformazione della città, di fatto una dimensione artificiale realizzata e modificata continuamente dall’uomo. Nella maggior parte dei casi, l’adeguamento funzionale impone innesti contemporanei. Sta alla sensibilità e alla responsabilità dell’architetto progettare, prima ancora delle nuove e necessarie integrazioni, l’equilibrio, la relazione e la sinergia tra innesto ed esistente. Due sono, a mio avviso, i fattori fondamentali: la scelta dei materiali e la mitigazione compositiva dei nuovi sistemi tecnologici, necessari per la sostenibilità energetica e ambientale. Su questi due punti ad Avignone abbiamo lavorato con grande attenzione: la scala della quale è stato valorizzato il carattere monumentale attraverso un involucro trasparente che contiene l’ascensore e il rivestimento di ceramica diamantata delle pareti del vano; la nuova facciata dell’auditorium per realizzare un dialogo visivo e fisico con lo spazio esterno e il volume ricavato nello spessore del sottotetto, soluzione progettuale in cui l’innesto è funzionale alla creazione di un nuovo piano, senza interferire in modo evidente con l’edificio. Che cosa pensa del concetto di architettura come stratificazione storica, materia sempre aperta? Come accennato nelle precedenti risposte, un edificio è come una città in sé, che muta e si trasforma nel tempo. La tutela del patrimonio non è solo la sua conservazione, ma sempre di più la sua proiezione, mi verrebbe da dire la sua salvaguardia per il futuro, più che per il presente. Dunque, credo che per preservare il patrimonio sia necessaria capacità creativa e conoscenza dell’innovazione (tecnologica, digitale, dei modelli sociali, delle dinamiche urbane). Per esempio, proprio considerando le veloci e continue mutazioni degli scenari sociali e urbani, anche per quanto riguarda il patrimonio storico, è fondamentale la reversibilità della destinazione d’uso. Proprio perché l’adeguata conservazione del patrimonio mette in gioco investimenti importanti, è importante il binomio flessibilità e versatilità che garantisca la trasformabilità dell’edificio. Quest’ultima, insieme ai due sopradetti, è il terzo fattore fondamentale: dunque la scelta dei materiali per gli innesti, la mitigazione degli elementi di compensazione energetica e ambientale e la reversibilità progettuale. Villa Créative, all’interno dell’Università di Avignone – img by ©Stefano Anzini Villa Créative, all’interno dell’Università di Avignone, è uno spazio dedicato alla creatività, aperto a studenti, ricercatori, professionisti e imprenditori, che offre spazi di coworking, eventi, laboratori e supporto a progetti innovativi. Nato nel XIX secolo come sede dell’École Normale d’Institutrices du Vaucluse, è stato ripensato nel 2020, da Alfonso Femia / Atelier(s) Alfonso Femia con DLAA Architectes. Il progetto di riqualificazione ha previsto una serie di interventi fondamentali, come la bonifica del terreno e la rimozione dell’amianto, l’adeguamento dell’edificio agli standard francesi, il miglioramento dell’isolamento termico, la sostituzione completa degli impianti: sanitari, idraulici, elettrici e termici e la ristrutturazione delle facciate. img by ©Stefano Anzini Ma ha cercato di mantenere la struttura esistente, per contenere i costi e semplificare la manutenzione futura: le coperture e le facciate sono state recuperate conservando i materiali originari; gli infissi in legno sono stati restaurati o sostituiti con altri in legno, per rispettare lo stile storico; le parti metalliche esterne sono state trattate con zincatura o metallizzazione per aumentarne la durata; i pavimenti degli spazi interni sono in materiale vinilico resistente e facile da mantenere. Sono stati scelti materiali ecologici e reversibili, compatibili con l’ambiente: strutture in cemento; acciaio inox e vetro per auditorium e scale monumentali; legno certificato per gli interni; doppi vetri e rivestimenti in legno per migliorare l’isolamento. Conservare per evolvere: una visione per l’architettura del futuro Questa visione non è solo estetica, ma anche etica e ambientale. Recuperare l’esistente, valorizzarne gli aspetti più “brutalmente” reali, significa ridurre gli sprechi, limitare i consumi e progettare con un occhio al passato e uno al futuro. Le architetture “aperte” a modifiche future diventano così piattaforme abilitanti, capaci di mutare in base a nuove funzioni, nuove esigenze, nuovi utenti, senza perdere il legame con la propria identità originaria. Più delle parole sono alcuni lavori emblematici a poter spiegare questo approccio e come appare nella pratica. Case study – L’Atelier Covivio, un esempio di trasformazione rispettosa del passato e aperta al futuro STUDIOS (collettivo internazionale di architetti, fondato nel 1985 a San Francisco) nel 2024 ha seguito il progetto a Parigi per L’Atelier Covivio, una ristrutturazione profonda di un ex edificio tecnico degli anni ’20 (l’ex centrale telefonica di rue de Madrid e rue d’Édimbourg), trasformato in uno spazio moderno, accessibile e a basso impatto ambientale. Dietro questa struttura poco accogliente, fatta di spazi bui e complessi da attraversare, c’erano grandi potenzialità: ampi volumi, una struttura flessibile, facciate in mattoni di pregio e tanti spazi esterni mai sfruttati. Atelier Covivio I principali interventi realizzati hanno puntato a migliorare la fruibilità e il valore architettonico dell’edificio. In primo luogo, è stato potenziato il sistema di collegamenti interni: i due ingressi principali, un tempo separati, sono stati unificati grazie alla creazione di una “base attiva”, che comprende un nuovo atrio, una caffetteria e una scala interna che collega in modo naturale i diversi livelli dell’edificio. La scala interna Il cortile centrale è stato completamente ripensato e trasformato in una vera e propria piazza vivibile, arricchita da percorsi accessibili e spazi verdi. Uno degli elementi più iconici del progetto è la nuova scalinata monumentale, che attraversa tutti i livelli dell’edificio, diventando non solo un elemento funzionale, ma anche un riferimento architettonico di forte impatto estetico. L’intervento ha inoltre previsto una sopraelevazione leggera e moderna: l’ultimo piano è stato ridisegnato con una facciata in vetro trasparente e leggera, destinata a ospitare ambienti prestigiosi come la sala del consiglio e una terrazza panoramica. Grande attenzione è stata riservata anche al restauro delle facciate storiche: i mattoni e gli elementi architettonici originali sono stati recuperati con cura, restituendo all’edificio il suo valore estetico originario. La facciata restaurata Gli spazi di lavoro sono stati completamente ripensati per essere più flessibili, luminosi e meglio integrati con l’architettura esistente. Infine, è stata posta particolare attenzione all’inserimento del verde: sono stati introdotti 700 metri quadrati di aree verdi distribuite tra cortili, terrazze e coperture, contribuendo ad aumentare la biodiversità e a migliorare il benessere degli utenti. L’Atelier Covivio è un esempio concreto di come l’architettura possa rispettare la storia di un luogo, valorizzare l’esistente, rispondere alle esigenze ambientali attuali e quindi prolungare la propria funzionalità a lungo nel tempo. Il progetto ha ottenuto importanti certificazioni green (HQE, BREEAM, BBCA, BiodiverCity) e ha ridotto di oltre il 50% i consumi energetici, grazie a soluzioni come l’uso di materiali sostenibili, l’efficienza energetica e l’uso del teleriscaldamento. Case study – Architettura e “realismo sociale” Il team internazionale IARA, co-fondato da Jingqiu Zhang e Lubin Liu a Pechino, è impegnato nella trasformazione degli ambienti urbani e rurali contemporanei. Al centro della loro filosofia c’è il “realismo sociale”, un pensiero progettuale che considera l’architettura non solo come costruzione spaziale, ma anche come risposta a questioni sociali e realtà complesse. Lo studio lavora direttamente sul territorio, nelle lacune della società, ricercando azioni integrate e trasformative e partendo da un’ampia prospettiva progettuale, partecipa attivamente ai cambiamenti sociali attraverso la produzione culturale e il coinvolgimento pubblico. Come risultato di questo approccio progettuale multiprospettico e multidimensionale, IARA ha ridefinito il villaggio di Fengwu, situato nel distretto di di Xicheng, a Pechino, che conserva un ambiente naturale affascinante. Come molte zone rurali in Cina, affronta problemi come spopolamento, invecchiamento della popolazione, mancanza di servizi e attività culturali. Credit Img: Huien Song, Ziyi Liu, Yi Huang, Jingqiu Zhang, Team of Yizhe Zhang Per dare nuova vita al villaggio, nel 2023 è nato il progetto “Fengwu JI”, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita degli abitanti attraverso piccoli interventi architettonici e attività culturali. Un elemento centrale di questa iniziativa è il “Museo della Memoria Rurale”, che sorge su una vecchia piazza poco utilizzata, un tempo sede di un edificio chiamato “Yingfengli”. Ora è stato trasformato in uno spazio pubblico moderno, che unisce tradizione e contemporaneità. Credit Img: Huien Song, Ziyi Liu, Yi Huang, Jingqiu Zhang, Team of Yizhe Zhang Il nuovo edificio, costruito con materiali locali, rispetta la storia del luogo ma introduce un design innovativo. Il piano terra, aperto e protetto, serve come spazio per incontri e attività comunitarie; il secondo piano ospita tre sale tematiche, una dedicata alla memoria del villaggio, una al futuro e una piccola sala per proiezioni. L’intervento ha utilizzato materiali tradizionali (legno, calce, piastrelle grigie), reinterpretati in chiave moderna. Le pareti interne evocano il tempo che passa, con superfici trattate a mano per sembrare antiche. Il legno carbonizzato è usato per proteggere e valorizzare la struttura. Il museo è anche un luogo di ritrovo per feste, matrimoni e momenti di vita quotidiana e oggi rappresenta il nuovo centro spirituale e sociale del villaggio di Fengwu, dove memoria e vita quotidiana si incontrano. Case study – La progettazione onesta di StudiO Le Mont Saint Farm è una pluripremiata ristrutturazione di una storica casa colonica (vincitrice del Guernsey Design Awards 2018) che unisce antico e moderno. In sintesi, la storia degli edifici vincolati è preservata e raccontata con onestà, mentre un nuovo capitolo prende forma nel fienile vittoriano sul retro, trasformato in uno spazio ampio e luminoso. Credit Img Etienne Laine I progettisti di StudiO che hanno firmato il lavoro rifiutano il tradizionale approccio tipico della “conversione di fienile” per abbracciarne uno nuovo, moderno e sfaccettato, immaginando una struttura con ambienti familiari divertenti e vivaci del XXI secolo, ma mettendo al contempo in risalto elementi e dettagli storici di tutte le epoche in modo filosoficamente “onesto”. Credit Img Etienne Laine Le Mont Saint Farm, di StudiO, a St Saviours, Guernsey (Canale della Manica), ha vinto il Guernsey Design Awards 2018. Il Guernsey Design Awards è un premio biennale dedicato al design sostenibile, originale e distintivo del paesaggio costruito nella Contea di Guernsey (Isole del Canale). Case study – Il caffè ottocentesco che rinasce in provincia di Vicenza Nel cuore di Arzignano (Vicenza), AMAA (studio di architettura fondato da Marcello Galiotto e Alessandra Rampazzo), ha restituito vita al Caffè Nazionale, uno storico locale ospitato nel palazzo municipale ottocentesco. Il progetto non è un semplice restauro, ma un intervento poetico che intreccia passato e presente attraverso materia grezza, luce e memoria. AMAA, Caffè Nazionale – Credit Img Mikael Olsson L’approccio di AMAA evita la cristallizzazione del passato e punta invece su una narrazione aperta, fatta di stratificazioni, imperfezioni e ambienti in continua evoluzione. La sequenza degli spazi, dalla piazza al portico, fino a un sorprendente giardino di betulle, si sviluppa come una scenografia teatrale, in cui il dialogo tra interno ed esterno è costante. Credit Img Mikael Olsson La sala principale, vero cuore del caffè, combina frammenti storici, arredi su misura e installazioni artistiche (tra cui lavori di Stefan Marx e Nero/Alessandro Neretti). Qui, pareti traforate in acciaio, mosaici policromi e un grande soffitto ligneo creano un ambiente scenografico e funzionale. Anche l’ingresso, con una porta in ferro brunito e marmo serpentino, esprime l’attenzione al dettaglio e alla materialità. La cucina a vista, la saletta ristorante al piano superiore e gli arredi ispirati a Donald Judd e alla metropolitana di New York arricchiscono l’esperienza spaziale. Credit Img Simone Bossi Il progetto si fonda su una filosofia del “non finito”: alcune parti sono volutamente lasciate incomplete, come a testimoniare il tempo e il processo del costruire. Questo approccio, che valorizza anche le tracce emerse sotto le vecchie controsoffittature, è coerente con la ricerca di AMAA sul senso del tempo e dell’autenticità nei luoghi. Case study – la Chiesa che diventa ufficio in provincia di Trapani Nel centro storico di Alcamo, una chiesa del XVI secolo, ormai sconsacrata, è rinata come ufficio moderno grazie al progetto dello Studio Didea. Con pochi elementi originali rimasti dopo una pesante ristrutturazione del Novecento, gli architetti hanno trasformato l’edificio puntando su luce naturale e minimalismo mediterraneo. Uno dei principali interventi ha visto la rimozione di un soffitto per creare uno spazio a doppia altezza, sormontato da un ampio lucernario che illumina le antiche pareti in tufo. Gli interni si distinguono per eleganza e leggerezza, evitando nuovi muri e valorizzando la struttura in cemento esistente, ora cuore funzionale dell’ambiente. Il progetto articola lo spazio in quattro sezioni flessibili, dove si alternano vetro e legno, creando zone per il lavoro individuale, riunioni e relax. Il design combina materiali naturali e sostenibili come legno, cemento e alluminio, mantenendo un dialogo armonioso con la storia del luogo. Gli elementi divisori, trasparenti e in rovere su misura, uniscono estetica e funzionalità, garantendo comfort, efficienza energetica e versatilità d’uso. Gli interni sono organizzati in spazi aperti e flessibili, alternando aree per il lavoro agile, zone silenziose per la concentrazione, ambienti dinamici per incontri informali, uffici amministrativi e una grande sala riunioni. Attorno al lucernario si trova uno spazio relax all’aperto. I materiali combinano cemento e legno, creando un’atmosfera contemporanea in armonia con le antiche mura in pietra. FAQ restyling conservativo Che cosa significa progettare in ottica filologica (e quindi valorizzando il passato), ma pensando al futuro? L’approccio “incompiuto” non è sinonimo di trascuratezza o carenza progettuale, bensì frutto di una scelta consapevole, che integra la teoria architettonica con le istanze contemporanee di sostenibilità, partecipazione e memoria. È una modalità progettuale che guarda con rispetto al passato, ma senza nostalgia, e che si apre a un futuro fatto di adattabilità, leggerezza e rigenerazione. Nel costruire o recuperare oggi, non finire tutto può essere un gesto di lungimiranza: lasciare tracce, possibilità, aperture. Un modo per far sì che l’architettura continui a raccontare storie, anche quelle che ancora non conosciamo. Qual è il legame tra incompiutezza e innovazione architettonica? L’incompiutezza diventa una piattaforma aperta per la sperimentazione: spazi lasciati volutamente “non finiti” permettono l’uso di materiali contemporanei, tecnologie sostenibili e soluzioni ibride che rispondono ai bisogni del presente e del futuro, come efficienza energetica, flessibilità d’uso e resilienza climatica. L’architettura incompiuta può davvero essere funzionale? Assolutamente sì. Sebbene visivamente possa sembrare “non finita”, questa tipologia architettonica è spesso progettata per essere funzionale e abitabile. L’incompiutezza diventa una qualità, non un difetto: consente modifiche future, adattamenti e una lunga durata d’uso, rispondendo a un’idea di architettura dinamica e mai del tutto conclusa. Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento