Il lockdown ha fatto emergere alcune nuove esigenze legate all’abitare e allo spazio domestico, a partire dalla flessibilità delle divisioni interne, fino alla necessità di ampi ingressi/guardaroba per le opportune precauzioni igieniche. Ma più di tutto ha fatto pensare all’importanza degli spazi condivisi, da ripensare in un più ampio progetto di revisione urbanistico-residenziale. Ecco le riflessioni dell’architetto Alfonso Femia I Giardini di Gabriel progetto di Alfonso Femia – Asnières-Sur-Seine, France. ®Luc Boegly Indice degli argomenti: Quali sono i principali cambiamenti che l’architettura residenziale potrebbe subire in un futuro post – Covid? Spazi separati o open space? Quali sono gli elementi imprescindibili di cui ci siamo accorti di non poter fare a meno in casa a fronte della pandemia? Come sarà la casa post – Covid Progetti architetto Alfonso Femia Living in the blue – Milano Lambrate I Giardini di Gabriel – Asnières-Sur-Seine, France Residenze Romainville, 93230 Paris L’Italia presenta un patrimonio edilizio antico e poco flessibile, lo sapevamo, ma ce ne siamo accorti ancora di più durante il lockdown, quando sono venuti a galla tutti i limiti dei nostri spazi abitativi insieme a quelli dell’intera rete residenziale urbanistica. Un concept “vecchio”, che andrebbe ripensato per valorizzare cortili e spazi comuni, per rivedere la partizione interna di condomini e abitazioni e renderla quanto più possibile versatile e ovviamente dare più spazio al verde e agli spazi esterni laddove si può. Ne parla l’architetto milanese Alfonso Femia dello studio Atelier(s) Alfonso Femia presentando tre progetti che sono ovviamente antecedenti al Covid, ma che possono rappresentare validi esempi di “messa in pratica” di un nuovo concept abitativo . I tre progetti sono accomunati dall’utilizzo della ceramica per il rivestimento delle facciate, un elemento di grande impatto a livello decorativo, ma anche di grande utilità viste le caratteristiche altamente igieniche di questo materiale. Quali sono i principali cambiamenti che l’architettura residenziale per come è stata concepita finora potrebbe subire in un futuro post – Covid? Ho letto di recente che le indagini compiute, sia pure su un piccolo campione (7mila famiglie), da CasaDoxa, (l’osservatorio permanente che mette a sistema tutti gli attori dell’ambiente domestico), hanno messo in evidenza che la Covid-19 ha definito con chiarezza degli orientamenti al cambiamento: necessità di spazi esterni, di privacy e di maggiori dimensioni degli alloggi. Ma, a caldo, dopo quasi tre mesi chiusi in casa in convivenza forzata, svolgendo attività ludiche, scolastiche, lavorative, sportive e domestiche e, per di più, assediati dal timore del contagio, appare scontato che emergessero bisogni e desideri di questo tipo. Stiamo vivendo un “The day after” in cui domina ancora l’ansia di vivere repliche della quarantena e di comprendere come sarà quella che si prefigura, nella migliore delle ipotesi, una lunga convivenza con il virus e/o comunque le sue conseguenze psicologiche. Dunque, è probabile che il modello dell’edilizia residenziale, statico per decenni e già in fase di trasformazione prima della pandemia, venga ripensato. L’esperienza storica indica profonde modificazioni dei centri abitati dopo ogni evento che abbia mutato i termini delle relazioni sociali (epidemie, conflitti). Quello che è meno probabile è che questo avvenga rapidamente. La Covid ha imposto di aggiornare paradigmi progettuali già molto datati e anacronistici, ma il tempo d’inerzia urbanistico ed edilizio non cambierà l’aspetto dei luoghi in un tempo breve. Soprattutto, al di là delle riflessioni da Decameron elaborate nel periodo della stretta quarantena, la città continuerà a essere il fulcro fisico della socialità. Diventerà una città diffusa, si rigenererà in direzioni diverse da quelle attuali, con più welfare e meno finanza. L’abitare dovrà esigere una città diversa più che una tipologia residenziale differente che si può risolvere reintroducendo un principio di generosità sia negli spazi collettivi dell’abitare, annullati negli ultimi decenni, sia in quelli intimi che non si possono relegare in codici minimi di metri quadrati, ma che potrebbero semplicemente “regalare” la stanza in più, come variabile nel tempo e per le esigenze di ogni nucleo familiare e tipologia abitativa. La lunga permanenza in casa ha fatto tornare l’esigenza di spazi separati per accogliere la privacy di ciascun componente della famiglia. È un “regresso” alla partizione, un superamento dell’open space? La privacy come esigenza fondamentale nell’ambiente domestico c’è sempre stata. L’open space, la condivisione di aree della casa ha senso quando la fruizione non sia contemporanea e permanente da parte di tutti i componenti della famiglia. Le pareti mobili, gli spazi trasformabili fanno riferimento ad esigenze legate alla dimensione o all’uso combinato, ambiente domestico-ufficio in emersione già prima della pandemia e ora in fase di consolidamento. Non ci sono regole predeterminate che possano prefigurare la modalità che preferiamo in un contesto storico dove la società ha velocità differenti e continue di “evoluzione” dei comportamenti che presentano differenze marcate già tra una generazione e quella successiva. Occorre ritornare a immaginare lo spazio fondativo a cui riferirci e al quale ognuno sovrapporrà una personale struttura di partizione e organizzazione sia completamente aperta, sia suddivisa. Secondo lei le case attuali possono essere facilmente adeguate a questi cambiamenti o nella maggior parte dei casi sarà molto difficile? Penso che sarà difficile e che bisognerà scegliere, in base alla capacità economica e alla dimensione dei singoli alloggi e allo stato degli edifici, il miglior compromesso. Il patrimonio edilizio residenziale è datato. Secondo un’indagine abbastanza recente (2017) di Cresme e CNAPPC, sono 11,9 milioni gli edifici destinati a uso residenziale in Italia. Di questi 2,15 milioni di edifici sono stati costruiti prima del 1919; 1,38 milioni tra le due guerre; 1,66 milioni tra il 1946 e il 1960; poco meno di due milioni negli anni Sessanta e Settanta. Negli anni Ottanta 1,29 milioni. 80.000 edifici all’anno sono stati costruiti nei primi dieci anni del 2000 e dal 2011 al 2016 32.000 edifici all’anno. La mia è una lettura “scientifica” della situazione: quali possono essere le potenzialità di trasformazione tipologica ed energetica dello standard corrente degli anni dal Cinquanta all’Ottanta per quasi 7 milioni di edifici? Leggendo questi dati si comprende come non sia possibile immaginare cambiamenti significativi, a meno che questi non rientrino in un ripensamento della città che integri variazioni importanti degli spazi delle residenze. Occorre essere realisti e coraggiosi, visionari, ma anche pragmatici. Quali sono gli elementi assolutamente imprescindibili di cui ci siamo accorti di non poter fare a meno in casa a fronte della pandemia? Forse l’elemento di criticità più acuta è quello dell’infrastrutturazione digitale, oltre alla sconfitta della “spazio minimo”. Per quanto penalizzante, tuttavia la didattica a distanza ha consentito agli studenti che ne hanno avuto accesso di studiare, a noi di lavorare, di “andare al cinema”, ma soprattutto di comunicare. Per chi non ha avuto possibilità di usufruirne o l’ha avuta con grandi difficoltà e limitazioni alla rete, la quarantena è sicuramente stata un’esperienza più dura. A questo si aggiunga – e mi pare che non se ne sia parlato molto – a quanto sarebbe stata opportuna una buona infrastrutturazione in termini di telemedicina, nel periodo più acuto della pandemia. Ci sono spazi arredi o complementi che pensa di modificare/aggiornare in casa sua dopo il lockdown? Sinceramente no. Il tema non sono i dispositivi, né gli arredi, ma lo spazio. Come sarà in poche parole la casa post – Covid secondo lei? Più che il singolo alloggio, la mutazione riguarderà gli spazi condivisi, i servizi di quartiere, la possibilità di fare rete nel contesto di prossimità, di garantire l’interazione ai bambini se possibile e di sostenere le utenze deboli. Per le parti comuni potranno essere adottati accorgimenti meccanici o smart per evitare il contatto con le superfici negli spazi di soglia. Per gli appartamenti si potranno immaginare zone d’ingresso che fungano da filtro per l’abbigliamento a rischio di deposito virus, evitando l’accatastamento impietoso di cappotti e scarpe. Spazi multifunzione, trasformabili per le diverse esigenze nei momenti della giornata e spazi efficienti per l’home office saranno sicuramente nuovo input per il layout degli interni domestici, così come la trasformazione/riduzione “intelligente” dei disimpegni e dei corridoi, classici elementi distributivi delle case italiane. E il potenziamento, l’allestimento, la cura anche del più piccolo balcone, terrazzo o poggiolo. In sintesi penseremo forse di più a come funziona il nostro spazio e alla sua interazione con l’esterno. Chiederemo di averne di più e di liberarne, per garantire una condizione duplice di intimità e generosità e per sentirci più sicuri. Per molti non sarà possibile e su questo dovremo concentrarci prioritariamente, e non discutere sui temi o delle situazioni dove le opzioni sono possibili e si riducono solo ad un mero esercizio di pseudo-teoria o di pseudo-forma. Progetti architetto Alfonso Femia Living in the blue – Milano Lambrate Riqualificazione di due edifici a Lambrate Milano, con un impianto planimetrico ad “elle”, si sviluppano per nove piani fuori terra delimitando una nuova piazza pubblica aperta verso la città. Living in the blue L’intervento sviluppa 12.404mq di cui 8.360mq di edilizia convenzionata agevolata di proprietà, 3.344mq di edilizia convenzionata agevolata in locazione, 700 metri quadri di spazi commerciali al piano terra. L’iniziativa, avviata nel 2014, ha visto l’avvio dei lavori nel 2016 e il termine degli stessi nel 2020 accoglierà: 104 alloggi di proprietà, 46 alloggi in affitto, 5 spazi commerciali e 2 alloggi plurifamiliari (cohousing) con 26 posti letto. A completamento, ai piani terra, verranno messi a disposizione della comunità di abitanti due spazi per attività e servizi condivisi; gli spazi prevedono una sala polifunzionale per attività comuni ludiche e di incontro tra gli abitanti, uno spazio “officina” per attività di hobbystica e una lavanderia comune per il condominio. Living in the blue Gli edifici si caratterizzano per i loro ampi terrazzi e spazi loggiati, che permettono di vivere lo spazio esterno come una estensione del singolo appartamento; inoltre, le finestre a tutta altezza presenti in tutti i locali, enfatizzano ulteriormente tale permeabilità tra interno ed esterno. Le facciate dei due edifici raccontano i principi a scala urbana con i quali è stato sviluppato l’impianto di progetto sottolineando il valore della piazza centrale e caratterizzando le facciate che si affacciano verso di essa con un materiale cangiante e tridimensionale come la ceramica di colore blu mentre tutte le facciate che si confrontano con il contesto urbano si caratterizzano per l’uso dell’intonaco in campiture di colori differenti che scompongono il grande volume delle facciate. (CREDIT: studio Atelier(s) Alfonso Femia; foto © Luc Boegly – Stefano Anzini) I Giardini di Gabriel – Asnières-Sur-Seine, France I Giardini di Gabriel Costruzione di 183 alloggi, di cui 144 a canone agevolato e 39 residenze sociali, uno spazio commerciale di 358 m e un parcheggio da 192 posti auto, per una superficie totale di 10 518 mq. Si caratterizza per l’uso della ceramica in esterno, per la facciata dell’edificio che funge anche da elemento decorativo. I Giardini di Gabriel (CREDIT: studio Atelier(s) Alfonso Femia; FOTO ©Luc Boegly) Residenze Romainville, 93230 Paris Il progetto si inserisce nel contesto di un’area di sviluppo residenziale nella prima corona urbana di Parigi. L’area di progetto si colloca nella zona a sud di un nuovo complesso residenziale. Residenze Romainville L’ampia zona verde non edificabile con la quale confina a sud definisce la vocazione verde dell’intero comparto. La volontà di dare continuità visiva all’asse nord-sud definita dalla composizione urbanistica del comparto a nord determina la creazione di due volumi separati. I volumi vengono lavorati per garantire una continuità con le altezze dei volumi adiacenti del nuovo comparto verso nord di 4, 5 o 6 piani per scendere attraverso una gradonata verso sud e armonizzarsi con il contesto di case monofamiliari inserite nel verde. Il progetto dialoga con il contesto e si caratterizza attraverso l’uso della materia e della luce. Ogni fronte definisce una sua specificità e racconta il progetto in modi differenti. Residenze Romainville Verso nord, la facciata di ingresso dal comparto principale si presenta con un rivestimento in ceramica bianca diamantata che riflettendo la luce e il cielo di Parigi fa vibrare la facciata in mille sfumature. Verso ovest, un percorso aperto agli abitanti si muove attraverso gli alberi fronteggiando una facciata arricchita da balconi aggettanti protetti da una maglia verticale in legno. Residenze Romainville Il fronte opposto, ad est aperto verso la collina verde è caratterizzato da un fronte piu compatto scavato a creare delle logge. L’accesso principale avviene verso sud a cui si accede alla hall di ingresso, un’ampio spazio vetrato polifunzionale. Superficie totale di intervento 6.400 mq. (CREDIT: studio Atelier(s) Alfonso Femia; foto, ©S.Anzini) Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici Commenta questo approfondimento