Trattamenti ottici per la protezione delle opere d’arte dalla luce

La luce è, in questo contesto, di fondamentale importanza anche perchè è un fattore che non può essere semplicemente eliminato, ma che deve forzatamente essere controllato in modo da permettere la migliore fruizione.
Questa situazione ha portato talvolta alla paradossale affermazione secondo cui per molti materiali, l’ambiente ideale per la conservazione dovrebbe essere la completa oscurità.
L’illuminazione corretta risulta quindi da un continuo compromesso tra la conservazione di un oggetto e la sua valorizzazione dal punto di vista dell’esposizione museale, nonché da un compromesso tra illuminotecnici e conservatori.
Lo scopo del nostro lavoro non è assolutamente quello di presentare la soluzione unica e ideale e tutti problemi conservativi, ma solo quello di fornire un ulteriore strumento che può essere di qualche utilità nell’affrontare il tema del fotodanneggiamento.
Nel seguito presentiamo il problema affrontato e la soluzione tecnologica utilizzata per proporre una soluzione, basata sulla tecnologia della deposizione dei film sottili.
E importante che la soluzione volta ad eliminare le radiazioni nocive non crei problemi di percezione cromatica. Per questo motivo abbiamo realizzato sul prototipo alcune misure colorimetriche.
L’ultima parola in questo settore deve però sempre essere lasciata all’occhio umano.
Per questo motivo abbiamo realizzato alcune misure psicofisiche che intendono valutare la percezione cromatica che si può avere utilizzando un vetro normale o un vetro che utilizza una corretta deposizione per eliminare la radiazione nociva.

Il problema teorico
Non tutta la radiazione elettromagnetica emessa dal Sole o dalle varie sorgenti artificiali è realmente utile per la percezione delle opere d’arte.
Una parte può anzi risultare dannosa, portando a decolorazione o a problemi nella struttura del dipinto. Particolarmente pericolosa risulta essere la radiazione ultravioletta che può portare a un processo di decolorazione generalmente irreversibile, ma anche la parte infrarossa dello spettro può portare danni.
La prima attenzione deve essere quella del progettista illuminotecnico, che deve utilizzare i giusti livelli di illuminamento, le sorgenti più adatte e la migliore geometria nella disposizione degli apparecchi.
Alcune cose rimangono però fuori dalle possibilità di intervento del progettista: troppo spesso, ad esempio, il progettista esce, suo malgrado, di scena dopo l’inaugurazione del museo e l’accuratezza nella manutenzione viene lasciata alla buona volontà del personale.
Capita così che un errato puntamento, la rottura di un filtro, l’apertura di una finestra rovinino tutte le attenzioni conservative realizzate in fase progettuale.
Può così essere di un qualche interesse realizzare un vetro protettivo per i dipinti che, eliminando le radiazioni nocive e servendo allo stesso tempo come misura antivandalica, non renda però più difficile la corretta percezione delle opere.
La soluzione di questo problema può essere offerta dalla tecnologia dei trattamenti interferenziali che prevede la deposizione, in vuoto, di strati di materiali di diverso indice di rifrazione il cui spessore, dell’ordine delle decine di nanometri, deve poter essere controllato con estrema precisione.
In pratica ogni strato di materiale può generare un’interferenza distruttiva in trasmissione o in riflessione, in modo da ottenere un’eliminazione in trasmissione delle radiazioni ultraviolette e infrarosse e un’eliminazione in riflessione della radiazione visibile per evitare fastidiosi riflessi. In commercio esiste già un trattamento di questo tipo.
Tale filtro però presenta l’inconveniente di essere realizzato utilizzando un rivestimento interferenziale con più di 50 strati; questo fa si che si tratti di un filtro estremamente costoso da produrre e non facile da realizzare su grandi superfici di vetro. Inoltre, dato che il filtro non è stato creato per gli usi museali, potrebbe alterare la percezione cromatica specialmente quando non viene osservato in maniera perfettamente frontale, dato che la luce riflessa assume una decisa colorazione.

La soluzione tecnologica proposta
Per ottenere un rivestimento per il vetro che fosse in grado di rispondere alle richieste esposte nel paragrafo precedente si è proposto un trattamento che ha soli 8 strati.
Per ottenere dati che non fossero frutto esclusivamente delle simulazioni numeriche si è poi provveduto a produrre un prototipo del trattamento che fosse realizzato utilizzando solo 4 strati.
A causa del minor numero di strati il campione lascia passare anche una parte di radiazioni potenzialmente nocive per i dipinti, ma l’aspetto interessante per il nostro esperimento è che il comportamento, all’interno dello spettro del visibile, è praticamente identico a quello del trattamento a 8 strati.
Tale campioni possono essere quindi utilizzati per una valutazione colorimetrica “oggettiva” e “soggettiva”. Sin da subito è però possibile notare che la riflettanza complessiva è molto più bassa rispetto a quella di un vetro non trattato (che ha una riflettanza di circa il 4% per ogni faccia).
La trasmittanza è più bassa rispetto a quella che si potrebbe ottenere grazie a un vetro trattato esclusivamente con l’antiriflesso, ma questo non è un problema grazie alla capacità dell’occhio di adattarsi a livelli leggermente più bassi di luminanza, come è stato verificato nella successive misure psicofisiche.

Le misure colorimetriche
Per avere una valutazione delle proprietà colorimetriche più vicina a quella della reale situazione di uso del trattamento si è fatto ricorso a una misura tramite uno spettrofotometro che utilizzasse una geometria diff/0°, in cui cioè l’illuminazione del campione è diffusa e la luce riflessa viene raccolta da un sensore quasi perpendicolare alla superficie del campione.
Come oggetto da osservare è stato inizialmente utilizzato un campione “perfettamente” bianco, con una riflettanza superiore al 99% su tutto lo spettro del visibile e un comportamento lambertiano.
A partire dai risultati di queste misure è stato possibile calcolare le differenze di colore introdotte dai vari campioni nell’osservazione di un oggetto bianco, utilizzando le procedure standard.
In particolare sono state valutate le differenze ‘E*, ‘H*, ‘C* tra ciascun campione e l’oggetto osservato senza vetro di protezione.

5 le misure psicofisiche
In colorimetria, lo studio della relazione fra la differenza colorimetrica e la reale differenza nell’aspetto di un colore è un argomento di ricerca molto importante.
Per questa ragione è stato condotto uno studio psicofisico per investigare come i trattamenti multistrato influenzino la percezione cromatica.
Otto studenti dell’Università degli Studi di Firenze (età media 23 anni), privi di anomalie nella percezione cromatica e all’oscuro dei fini della ricerca, hanno partecipato all’esperimento.
Tutti gli stimoli visivi sono stati presentati su un monitor CRT da 21 pollici con una risoluzione dello schermo di 1024X768 pixel, 32 bit di profondità cromatica, una frequenza di refresh di 100 Hz e una luminanza media di 55.5 cd/m2 .
La distanza di osservazione dei soggetti era di circa 57 cm.
Gli stimoli da confrontare sono tre, disposti a triangolo al centro dello schermo nero.
Nella posizione in alto appare il colore di riferimento; dei due quadrati sottostanti, uno è dello stesso colore di quest’ultimo e l’altro di colore diverso (stimolo test).
Il soggetto ha il compito di individuare quale di questi due presenti una tinta diversa a confronto con il riferimento.
Seguendo un criterio di rappresentatività all’interno del triangolo RGB, formato dai colori ottenibili a monitor, sono stati scelti come stimoli di riferimento 6 colori.
Per la generazione degli stimoli da confrontare con quest’ultimi, il programma segue una retta corrispondente a una linea di confusione cromatica corrispondente al colore selezionato all’inizio della prova.
L’operazione di scelta forzata viene fatta ripetere al soggetto per diverse distanze nello spazio di colore tra riferimento e test, a partire da 0 (colori identici) e via via crescendo, presentate più volte ed in ordine casuale all’interno di ciascuna prova.
La prova era ripetuta in tre diverse condizioni sperimentali: nessun vetro davanti allo stimolo, un vetro privo di trattamento davanti allo stimolo e un vetro trattato davanti allo stimolo.
Ci si attende che nel valutare distanze di 0 i soggetti indichino casualmente l’uno o l’altro stimolo come diverso, riportando una percentuale di risposte corrette intorno al 50%; al crescere della differenza di colore presentata è atteso un miglioramento della prestazione che segua un andamento approssimato ad una curva psicometrica, fino quindi al raggiungimento di un plateau, cioè di una stabilizzazione al 100% nella percentuale di detezione del colore diverso. In base alle percentuali di risposte corrette, viene calcolato il valore di soglia per ciascuno dei 6 colori esaminati, che sarà quel valore di distanza geometrica corrispondente al 75% di risposte corrette, estrapolato dalla curva sigmoide che descrive i dati. I risultati confermano tali aspettative.
Si ottiene così una misura di quella che è la soglia di minima differenza percettibile tra sfumature di un certo colore, esprimibile in differenza nello spazio Luv.
Andando a confrontare i valori di soglia ottenuti nelle tre condizioni sperimentali (nessun vetro, vetro normale, vetro trattato), è possibile analizzare le variazioni della prestazione e valutare se e come l’entità di queste differenze di colore venga influenzata dalla presenza sia di un vetro standard sia di un vetro trattato.
Chiaramente, l’andamento di queste curve si relaziona alla condizione di esecuzione del compito: la forma più o meno allungata delle sigmoidi riflette l’incremento della discriminabilità per distanze di colore crescenti, e l’influenza dell’interposizione di un vetro o dell’altro si può valutare in base a quanto le tre curve si discostino tra loro prima di raggiungere il plateau.
Dai grafici risulta come in confronto alla visione degli stimoli nella condizione di controllo, cioè senza alcun vetro davanti, si verifica uno shift a destra che è di entità maggiore nel caso si tratti del vetro standard.
Nella condizione con vetro trattato, l’andamento della prestazione per distanze crescenti si mantiene generalmente intermedio; nel caso dei colori 6 e 12 addirittura coincide con la condizione senza vetro, ad indicare che non c’è differenza nella sensibilità cromatica tra l’osservazione di questi due colori con un vetro trattato piuttosto che senza vetro.
Per comprendere meglio quello che accade conviene prendere in considerazione i valori di media calcolati sulle soglie di tutti i soggetti: appare chiaramente come le prestazioni al compito si dispongano in modo analogo ma in posizione traslata nelle tre condizioni.
Per tutti i colori, l’esecuzione del compito di scelta forzata nella condizione di controllo è quella per la quale le soglie risultanti sono più basse. I valori aumentano per la condizione con il vetro trattato, per quattro colori su sei. Infine, le soglie nella condizione con vetro non trattato sono le più elevate per tutti i colori.
I valori di soglia più bassi sono quelli ottenuti senza vetro; poco sopra si dispongono le soglie misurate con il vetro trattato; infine, le distanze geometriche di soglia subiscono un’ulteriore incremento utilizzando il vetro non trattato.
Dal confronto finale tra le soglie discriminative misurate su questi colori si può concludere che l’operazione di riconoscere minime differenze tra le sfumature presentate e giudicare correttamente quale dei due quadrati fosse diverso è risultata più difficoltosa con il vetro non trattato, mentre l’azione antiriflesso del rivestimento ottico ha invece portato un indubbio miglioramento della prestazione in caso di vetro trattato.

Conclusioni
L’illuminazione può essere causa di danneggiamento nelle opere d’arte. Un vetro in grado di tagliare le radiazioni nocive può essere uno strumento in più offerto alla progettazione illuminotecnica.
Il vetro trattato realizzato a livello prototipale permette di mantenere una discriminazione cromatica molto valida (anche grazie alla presenza di un comportamento antiriflesso) paragonabile con la discriminazione che si ha in assenza del vetro. La tecnica psicofisica qui descritta potrebbe in futuro diventare utile per la valutazione della discriminazione cromatica anche in presenza di diverse sorgenti artificiali.

Tratto dal convegno internazionale “Luce e Architettura”, organizzato dall’AIDI

Roberto Arrighi è laureato in psicologia e ha ricevuto il dottorato in scienze della visione. Attualmente collabora con il laboratorio di scienza della visione dell’istituto nazionale di ottica.
Elisabetta Baldanzi nel 1998 consegue la Laurea in Fisica presso la Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali dell’Università degli Studi di Pisa, con una tesi da titolo “Collisional Coupling fra le componenti Stark dello spettro del CH3F” relatore Prof. Giovanni Buffa. Presso l’Istituto Nazionale della Fisica della Materia lavora nel gruppo di Comunicazione Scientifica in collaborazione con il Museo della Scienza e della Tecnica di Milano.
Dal 2000 lavora presso la Targetti Sankey SpA come coordinatrice Lighting Academy.
La Dr. Ilaria Di Sarcina lavora presso il centro di Ricerche ENEA Casaccia di Roma da gennaio 2003 e si occupa dello studio, la progettazione, la realizzazione e la caratterizzazione dei rivestimenti ottici a film sottile.
Da ottobre 2003 a settembre 2005 ha lavorato presso il centro ENEA– Casaccia con una borsa di studio dell’INOA (Istituto Nazionale di Ottica Applicata) dal titolo “Deposizione e caratterizzazione di trattamenti ottici”.
Durante il periodo di attività presso l’ENEA la Dr. Di Sarcina ha partecipato a workshop e congressi internazionali e ha collaborato alla pubblicazione di alcuni articoli e di un brevetto.
Alessandro Farini, fisico, lavora all’istituto nazionale di Ottica del Consiglio Nazionale delle Ricerche nel laboratori di Scienze della Visione. I suoi settori di ricerca sono la visione del colore, il legame tra visione ed illuminazione e le applicazioni dell’ottica oftalmica nella ricerca psicofisica.
Tiziana Pericoli è attualmente studentessa di Psicologia presso l’università di Firenze.
Questa lavoro è parte del suo lavoro di tesi.
Angela Piegari lavora da oltre 20 anni nel campo dei rivestimenti a film sottile per l’ottica presso l’ENEA (Ente nazionale Nuove tecnologie, Energia, Ambiente). Dal 1994 è responsabile del Gruppo Coatings Ottici della Divisione Tecnologie Fisiche. Collabora con molti Istituti in Europa nell’ambito di progetti europei ed è membro di vari comitati tecnici e associazioni internazionali. Autore di oltre 90 articoli.

Didascalie
Fig. 1– Curva di trasmittanza di un filtro disponibile in commercio (Leybold)
Fig. 2 – Calcolo numerico della curva di trasmittanza (linea intera) e di riflettanza (linea tratteggiata) del trattamento a 8 strati su vetro, senza il contributo della seconda faccia del vetro
Fig. 3 – Trasmittanza misurata su un campione con trattamento a 4 strati su vetro (linea tratteggiata paragonata con un vetro non trattato (linea continua)
Fig. 4 – Trasmittanza misurata su un campione con trattamento a 4 strati su vetro, limitatamente alla zona significativa per la visione(linea tratteggiata) paragonata con un vetro non trattato (linea continua)
Fig. 5 – Riflettanza misurata di alcuni campioni con trattamento a 4 strati su vetro, limitatamente alla zona significativa per la visione (il 4% di riflessione è dovuto alla seconda faccia)
Fig. 6 – Differenze di colore introdotte da 5 campioni di vetro con trattamento a 4 strati su un oggetto “bianco”
Fig. 7 spettro della lampada fluorescente utilizzata nell’esperimento.
Fig. 8 Esempio di stimolo presentato: in realtà in questo caso gli stimoli sono anche di diversa luminanza, ma solo per permettere la stampa in bianco e nero come esempio
Fig. 9 media della risposta dei soggetti per i vari colori. Quando le distanze colorimetriche sono grandi il soggetto riconosce sempre il colore diverso (100%) mentre quando la distanza è piccola il soggetto in pratica tira a caso (50%)
Fig. 10 Sull’asse delle y la soglia di discriminazione cromatica. Un valore piccolo indica una buona discriminazione cromatica, un valore grande una cattiva discriminazione

Fonte: www.infobuild.it

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