Sottofondi. Progetto, esecuzione e soluzioni in Leca. Prima parte

Definizioni e normativa
Sottofondo
Si definisce sottofondo l’insieme degli strati interposti fra il solaio e la pavimentazione di finitura atti a ripartire i carichi trasmessi dal pavimento alla struttura portante, livellare le irregolarità della struttura grezza, inglobare e proteggere eventuali tubazioni, contribuire ad isolare termicamente ed acusticamente differenti unità abitative. A seconda della funzione e dello spessore il sottofondo può essere MONOSTRATO o PLURISTRATO.

Massetto
Si definisce massetto lo strato, con spessori generalmente compresi fra 5 e 10 cm, di supporto diretto del pavimento che deve pertanto possedere tutti i requisiti che lo rendano idoneo a tale scopo (ad esempio: superficie piana e adatta alla stesa di colle; che non presenti bleeding, cavilli e crepe; con il contenuto di umidità richiesto).
Può essere “di finitura” e quindi essere supportato da uno strato di alleggerimento/isolamento/compensazione.
Se il massetto è invece l’unico strato presente fra il solaio e il pavimento è detto SOTTOFONDO MONOSTRATO. Nella terminologia corrente è spesso definito anche “caldana”, “cappa” o “strato ripartitore di carico” (Figura 1 – 2).

Sottofondo bistrato o pluristrato
Se gli spessori eccedono i 10 cm il sottofondo è generalmente pluristrato in quanto sotto al massetto lo spessore rimanente è realizzato con uno o più strati che vengono definiti STRATO DI ISOLAMENTO e/o di ALLEGGERIMENTO e/o di COMPENSAZIONEa seconda dello scopo per cui sono stati previsti: isolare, alleggerire o recuperare spessore. Il massetto deve essere scelto in funzione del tipo di pavimento da porre in opera; gli altri strati, in funzione delle esigenze progettuali, del tipo di solaio e di pavimento sovrastante (Figura 2).

Barriera al vapore
Si definisce barriera al vapore lo strato impermeabile all’acqua e al vapore atto ad impedire la risalita dell’umidità dagli strati sottostanti sino alla pavimentazione.
Viene utilizzata per salvaguardare strati di pavimentazione sensibili all’umidità da risalite idriche (per es. pavimenti in legno).
Può essere realizzato con membrane bituminose, con fogli di polietilene, PVC o alluminio. Nei sottofondi monostrato la barriera a vapore va posta sotto il massetto.
Nei sottofondi pluristrato si inserisce, generalmente, tra il massetto e lo strato di alleggerimento nel quale saranno stati preventivamente inglobati eventuali impianti.

Materassino acustico anticalpestio
Strato elastico atto ad assorbire le vibrazioni indotte sulla pavimentazione da impatti puntuali.
Tali rumori viaggiano nei materiali tanto più facilmente quanto più questi sono rigidi.
Ecco perché è indispensabile inserire un “materassino” elastico che generalmente è costituito da polietilene espanso reticolato, sughero o lana minerale.
Nei sottofondi monostrato lo strato di isolamento acustico al calpestio va posto sotto il massetto.
Nei sottofondi pluristrato si inserisce, generalmente, tra il massetto e lo strato di isolamento e/o di alleggerimento e/o di compensazione nel quale saranno stati preventivamente inglobati eventuali impianti.
Tale soluzione costruttiva è chiamata “pavimento galleggiante”.
Per gli spessori del massetto in questo caso va posta particolare attenzione in quanto poggiano su di uno strato cedevole.
Talvolta lo strato di isolamento acustico al calpestio può fungere anche da barriera al vapore (Figura 1 – 2).

Normativa tecnica sui sottofondi
Si riportano le principali Norme Tecniche relative ai sottofondi
• UNI 10329: Misurazione del contenuto di umidità negli strati di supporto cementizi o simili;
• UNI 8381: Strati del supporto di pavimentazione – Istruzioni per la progettazione e l’esecuzione;
• UNI EN 13813: Massetti e materiali per massetti – Proprietà e requisiti – Marcatura CE;
• UNI 10827: Rivestimenti di legno per pavimentazioni – Resistenza alle sollecitazioni parallele al piano di posa;
• UNI 8380: Strati del supporto di pavimentazione – Analisi dei requisiti;
• UNI 7999: Pavimentazioni – Analisi dei requisiti;
• L. 26/10/95 n. 447: Legge quadro sull’inquinamento acustico;
• D.P.C.M. 5/12/97: Determinazione dei requisiti acustici passivi degli edifici;
• UNI EN 1264: Riscaldamento a pavimento – Impianti e componenti;
• Circolare 15/10/96: Istruzioni per l’applicazione delle “Norme Tecniche per il calcolo, l’esecuzione ed il collaudo delle opere in cemento armato normale e precompresso e per le strutture metalliche” di cui al D.M. 9/01/96.

Progettazione e scelta dei sottofondi
Come dev’essere un buon sottofondo per l’incollaggio dei pavimenti
Al momento della posa del pavimento il sottofondo deve:
• Avere superficie piana. La planarità richiesta varia col tipo di pavimento ma generalmente sono ammissibili le seguenti tolleranze:
– fuori piano di 5 mm con la riga da 2 metri;
– fuori piano di 2 mm con la riga da 20 cm.
• Avere grado di finitura della superficie liscio ma non troppo; la superficie scabra favorisce l’adesione dei collanti (rugosità compresa tra + o -1 mm).
• Avere superficie dura; non deve sgranarsi se sollecitato superficialmente sfregando con il tacco della scarpa.
• Possedere una resistenza media a compressione superiore a 5 N/mm2 (Norma UNI EN 13813).
• Presentare una struttura compatta ed omogenea in tutto il suo spessore.
• Essere esente da crepe e sollevamenti conseguenti al ritiro.
• Essere sufficientemente asciutto in relazione al tipo di pavimento da posare.
• Essere pulito ed esente da macchie di grasso, polvere e bolle di gesso; pulendolo, la polvere non deve riformarsi.

Progettazione e scelta dei sottofondi
I criteri per la progettazione e la scelta degli spessori e dei materiali per la realizzazione del sottofondo sono legati ai compiti cui esso deve assolvere.
Il massetto di finitura (o strato ripartitore dei carichi) deve essere sempre presente ed idoneo alla posa della pavimentazione, qualunque essa sia (ceramica, legno, vinilico, PVC etc.); nel caso di sottofondo monostrato deve essere anche funzionale all’inglobamento degli impianti.
Unitamente ad alcuni requisiti sempre necessari e strettamente legati alla posa quali la planarità, l’omogeneità e la compattezza in funzione della tipologia di finitura o della destinazione d’uso, il massetto dovrà possedere anche altre specifiche caratteristiche quali l’asciugatura, il ritiro controllato, la conducibilità termica, la resistenza a compressione ed al fuoco.
Nel caso siano richieste al sottofondo prestazioni di isolamento termico (contro terra, in copertura, su piano piloty), esso dovrà essere realizzato con materiali di idonea conducibilità termica e con spessori adeguati a garantire la necessaria resistenza termica. In questi casi si ricorre generalmente alla realizzazione di sottofondi bistrato composti superiormente da un idoneo massetto di finitura poggiante sullo strato di isolamento termico; lo spessore complessivo sarà generalmente superiore a 10 cm.
Per rispettare i vincoli di Legge in materia di isolamento acustico al calpestio si può ricorrere alla tecnica del “pavimento galleggiante” inserendo al di sotto del massetto di finitura un idoneo materassino acustico (polietilene, gomma o similari); il sottofondo monostrato dovrà pertanto avere spessori maggiori (6 – 8 cm) in quanto posato su uno strato elastico. In presenza di tubature impiantistiche si consiglia di prevedere sempre un sottofondo bistrato (12 – 18 cm) composto da un primo strato di livellamento impianti (spessore minimo 5 cm) che semplifichi e renda sicure le successive fasi di posa in opera del materassino acustico e del massetto di finitura.
In alcuni casi, inoltre, il sottofondo può servire ad assicurare alla struttura sottostante un’adeguata protezione contro il rischio di incendio proveniente dall’alto (ad esempio nel caso di solai in legno in case di riposo, in biblioteche o simili.
È altresì importante verificare la compatibilità tra il pavimento che si vuol posare (ceramica, legno, resilienti ecc.) ed il sottofondo, specialmente per quanto riguarda il massetto; a tal fine è bene tener presente quanto segue:

Pavimenti rigidi (ceramica, marmo, cotto)
La ceramica è il pavimento che presenta le minori esigenze nei confronti del sottofondo; il massetto per pavimenti incollati deve possedere resistenze a compressione almeno pari ad 8 N/mm2 e limitati fenomeni di ritiro.
Altrettanto si può dire per i pavimenti in marmo e cotto tenendo però presente che questi materiali sono sensibili all’umidità residua presente nel sottofondo.

Pavimenti ‘morbidi o cedevoli’ (linoleum, gomma, moquette)
Sono pavimenti che non distribuiscono i carichi concentrati; per questo motivo il massetto deve avere un’elevata resistenza a compressione (superiore 13 N/mm2).
Tali pavimenti risentono della presenza di eventuali lesioni nel massetto e pertanto è importante che quest’ultimo venga particolarmente curato nella sua realizzazione o, meglio ancora, opportunamente additivato per limitare il fenomeno di ritiro con formazione di crepe.
Per ottenere un’ottima lisciatura superficiale è d’uso impiegare livelline o strati di rasatura. Linoleum e gomma sono impermeabili all’umidità ed al vapore e quindi devono essere posati esclusivamente quando il sottofondo è asciutto ed in assenza di rischi legati a possibili risalite di umidità dagli strati sottostanti.

Pavimenti in legno
Risalite di umidità dal sottofondo o dagli strati sottostanti possono gravemente danneggiare i pavimenti in legno provocandone dilatazioni o imbarcamenti; al fine di proteggere il massetto si consiglia, prima del getto, l’interposizione di una barriera o schermo al vapore.
I pavimenti in legno vanno posati solo quando il sottofondo non contiene umidità oltre i valori di sicurezza (inferiore 2% in peso del massetto per sottofondi a base cementizia, inferiore 0,5% se a base anidrite).
Per evitare ritardi dovuti a lunghi tempi di asciugatura i sottofondi per pavimenti in legno devono asciugare in tempi certi.

Problemi nei pavimenti causati dai sottofondi
Massetto con elevata umidità residua.
Le possibili cause sono legate al confezionamento dell’impasto con eccessivi dosaggi di acqua, utilizzo di inerti porosi, risalite di umidità dagli strati inferiori per la mancanza della barriera al vapore.
La verifica dell’umidità va effettuata con l’igrometro al carburo prelevando il materiale in profondità.
La posa della pavimentazione su un sottofondo con elevata umidità residua può provocare, ad esempio, il rigonfiamento del legno fino al suo completo distacco dal supporto.
La barriera al vapore va posata con continuità e risvoltata sui muri sino alla quota del pavimento compreso. (Foto A e B)

Massetto fessurato
Le possibili cause sono legate al confezionamento dell’impasto con eccessivi dosaggi di cemento, inerti ricchi di parti fini, elevati quantitativi d’acqua d’impasto ed elevata evaporazione in climi caldi e/o con elevata ventilazione.
La posa della pavimentazione su massetti fessurati può creare, ad esempio, crepe al rivestimento ceramico in conseguenza di fenomeni di ritiro incontrollato del sottofondo. (Foto C e D)

Massetto con superficie inconsistente (bruciato)
Le possibili cause sono legate alla non corretta miscelazione dell’impasto, presenza di segregazione ed elevata evaporazione in climi caldi e/o con elevata ventilazione.
La posa della pavimentazione su supporto inconsistente può provocare, ad esempio, il cedimento del pavimento in gomma a seguito della scarsa resistenza meccanica offerta dal massetto. (Foto E e F)

Massetto sfarinante (che “spolvera”)
Le possibili cause sono legate al confezionamento dell’impasto con bassi dosaggi di cemento, insufficienti quantità d’acqua d’impasto, imperfetta lisciatura della superficie a massetto ultimato ed elevata evaporazione in climi caldi e/o con elevata ventilazione.
La posa della pavimentazione in condizioni di massetto sfarinante può provocare, ad esempio, il distacco del pavimento in legno dal supporto causato dall’impossibilità della colla di aderire saldamente al massetto. (Foto G e H)

Carichi ammissibili e peso dei sottofondi
Carichi sui sottofondi
I carichi vengono trasmessi al sottofondo attraverso il pavimento che può essere rigido (marmo, granito, cotto, marmette, ceramica) o morbido (linoleum, gomma, moquette).
Il pavimento rigido opera una distribuzione dei carichi mentre quello morbido no. Il massetto deve quindi possedere ottime resistenze nel caso di pavimenti morbidi e buone per quelli rigidi.
Usando come parametro le resistenze a compressione a 28 gg. si può dire che per pavimenti rigidi da incollare è necessaria una resistenza di almeno 8 N/mm2 mentre per legno e pavimenti morbidi è bene superare i 13 N/mm2.
Gli strati inferiori (di alleggerimento e/o isolamento e/o compensazione) eseguiti con tutti i materiali e le soluzioni qui presentate garantiscono resistenze meccaniche tali da soddisfare, con ampi margini di sicurezza, i carichi distribuiti dal massetto di finitura soprastante.
Analoga sicurezza non può essere garantita quando gli strati inferiori sono realizzati con materiali (es. calcestruzzo con polistirolo o calcestruzzo cellulare) che si comprimono sotto l’azione dei carichi; la deformazione sotto carico può infatti provocare danni al sottofondo ed al pavimento (vedi Figura 3).
I carichi sugli strati di alleggerimento-isolamento possono risultare eccessivi per spessori del massetto inferiori ai minimi qui indicati o per sollecitazioni (carichi concentrati)
superiori a quelle solite; sarà perciò necessario un calcolo di verifica.
A seguire sono indicati i carichi ammissibili su vari tipi di strati di alleggerimento-isolamento.
Il progettista potrà confrontare tali valori con le sollecitazioni trasmesse dal pavimento tenendo conto della distribuzione dei carichi che avviene nel massetto (vedi Figura 4).
Esempio: carico da 100 Kg su appoggio da 2×3 cm; massetto, spessore 5 cm, armato. Il carico si distribuisce a 45° su una superficie di 12×13 cm pari a 156 cm2; la sollecitazione risulta di 0,64 Kg/cm2.
Se il massetto fosse non armato, la distribuzione dei carichi si presume avvenga a 60°; la superficie risulterebbe di 7 x 8 cm cioè 56 cm2 e la sollecitazione risultante sarebbe di 1,8 Kg/cm2.

Carichi ammissibili su strati di alleggerimento e/o isolamento
Leca o Lecapiù imboiaccato: 1,5 Kg/cm2
Leca o Lecapiù impastato: 3 Kg/cm2
Lecacem: 5 Kg/cm2
I “carichi ammissibili” sopra riportati sono stati calcolati partendo dai carichi di rottura per compressione e da un adeguato coefficiente di sicurezza. Più precisamente:
Lecacem: carico di rottura 25 Kg/cm2; coefficiente 5;
Leca impastato: carico di rottura 20 Kg/cm2; coefficiente 7 (più elevato di Lecacem a causa delle maggiori incertezze nel confezionamento);
Leca imbiaccato: carico di rottura 12÷15 Kg/cm2; coefficiente 8÷10 (più elevato a causa delle diverse modalità di prova a rottura).
A titolo comparativo si precisa che:
Calcestruzzo con polistirolo: carico di rottura circa 8 Kg/cm2; coefficiente 8÷10 (più elevato a causa della grande variabilità dei risultati ottenuti).

Peso dei sottofondi
Il tradizionale impasto per sottofondi (sabbia e cemento) pesa circa 2000 kg/m3; tale valore comporta una densità superficiale di 20 kg/m2 per ogni centimetro di spessore e pertanto, nel caso di un sottofondo da 6 cm, un peso di 120 kg/m2.
Confrontando tale valore con i sovraccarichi variabili previsti per un normale solaio di abitazione e pari a 200 kg/m2 (300 Kg/m2 in ambienti suscettibili di affollamento – D.M. 16/01/1996 cfr.) risulta evidente quanto incida la densità superficiale del sottofondo.
Un’alternativa molto valida per ridurre i pesi è l‘utilizzo di premiscelati leggeri. Con i prodotti della Linea Lecamix (densità in opera pari a circa 1.000 kg/m3), un sottofondo dello spessore di 6 cm pesa 60 kg/m2 e quindi la metà di uno tradizionale.
Il peso assume maggior importanza negli interventi di ristrutturazione in quanto i vecchi solai possiedono, in genere, caratteristiche di portanza piuttosto limitate.
Il risparmio di peso risulta tanto più significativo all’aumentare dello spessore del sottofondo dimostrandosi particolarmente importante nei sottofondi pluristrato.
Per tale motivo lo strato inferiore viene realizzato con conglomerati di densità in opera pari a 600÷700 kg/m3 (7 kg/m2 per centimetro di spessore).
Risulta utile ricordare come diminuire il peso del sottofondo si traduca in minori frecce nei solai e quindi minori probabilità di lesioni e cavillature nei tramezzi e divisori oltre ad un maggior carico utile a disposizione.
Le strutture risultano così più leggere e quindi più economiche.

Ritiri, cavillature e distacchi
Fattori che determinano il ritiro
Il principale fattore responsabile delle crepe, fessurazioni e talvolta distacchi nelle malte cementizie, è il ritiro subito dalla pasta cementizia nella fase di presa e indurimento.
L’entità del ritiro è tanto maggiore quanto più sono alti il dosaggio del cemento ed il contenuto d’acqua nella malta. Infatti inerti molto ricchi di parti fini che richiedono elevati dosaggi di cemento e l’impiego di molta acqua, favoriscono le crepe a causa dell’elevato ritiro.
Tali fenomeni avvengono durante la fase di stagionatura: lo strato ritira secondo le due dimensioni maggiori (lunghezza e larghezza) in modo proporzionale alla rapidità di essiccazione.
Siccome la superficie si asciuga più rapidamente degli strati inferiori (Figura 5), la cappa ritira maggiormente nella parte superiore e tende a divenire concava, rialzandosi ai bordi (Figura 6).
Questo fenomeno si rivela di maggiore entità in estate e comunque quando per qualche ragione (inerti fini, elevata ventilazione) vi sia una notevole differenza nella rapidità di essiccazione tra la faccia superiore e quella inferiore del massetto.
Il fenomeno del ritiro si manifesta in particolare nei mesi estivi e/o in condizioni di elevata ventilazione a seguito della veloce evaporazione dell’acqua d’impasto.
Particolare attenzione va altresì posta al getto su fondi molto assorbenti a causa della forte suzione dell’acqua d’impasto da parte del supporto.

Metodi per limitare il fenomeno
Per ridurre l’entità di questi fenomeni si consiglia di:
a) utilizzare per l’impasto inerti grossolani e poveri di parti fini;
b) limitare il dosaggio di cemento;
c) ridurre il quantitativo di acqua d’impasto utilizzando additivi fluidificanti;
d) introdurre una leggera rete metallica di armatura che limita le crepe (diametro 2 mm passo 5×5 cm);
e) interrompere la continuità del getto mediante giunti di dilatazione e di frazionamento
f) è buona norma, specie nella stagione calda, coprire per i primi 4÷5 giorni il massetto appena posato utilizzando teli di plastica o sacchi di carta in modo da rallentare l’evaporazione dell’acqua dalla superficie facendo procedere il ritiro in modo il più possibile omogeneo su tutto lo spessore.
In tale modo si evitano i distacchi e si migliorano anche le resistenze della malta.
Non è consigliata la ribagnatura della superficie indurita.

Premiscelati per massetti
Per ovviare ai problemi sopra descritti si sono diffusi prodotti premiscelati per la realizzazione dei massetti.
In essi gli inerti possiedono curve granulometriche controllate ed il dosaggio di leganti ed additivi è finalizzato ad ottimizzare il risultato finale.
I prodotti della linea Lecamix sono massetti leggeri premiscelati a base di argilla espansa idrorepellente, appositamente studiati per garantire la resistenza finale del massetto e il suo limitato ritiro.

Giunti di dilatazione
• Giunti strutturali, da realizzarsi in corrispondenza di quelli esistenti nella struttura portante.
Devono interessare l’intero spessore del massetto e della pavimentazione.
• Giunti perimetrali, da predisporre sempre al contorno ed al confine con altre superfici (pareti, colonne, etc.). Vengono realizzati con l’interposizione di fasce isolanti di materiale compressibile e limitano gli effetti dei movimenti differenziali tra sottofondo e struttura.
• Giunti di frazionamento, ottenuti incidendo la superficie del massetto per 1/3 dello spessore.
Possono essere realizzati in corso d’opera, a sottofondo appena ultimato o a sottofondo indurito.
La loro funzione è di suddividere superfici molto estese in campiture più limitate, di forma per lo più regolare (quadrata), allo scopo di limitare le sollecitazioni meccaniche connesse, ad esempio, con le escursioni termo-igrometriche.
In particolare vanno previsti in corrispondenza delle porte e quando il rapporto tra i lati in pianta sia maggiore di 3 o nei locali di forma irregolare (ad esempio con pianta ad L).
La distanza massima tra un giunto e l’altro deve essere di 5÷6 m per le malte tradizionali e secondo le prescrizioni del Produttore per i prodotti premiscelati; in particolare per i prodotti Lecamix Fast, Facile e Fresco vanno realizzati ogni 6 m mentre per il Lecamix Forte ogni 10 m.

=”Umidità nei sottofondi
Premessa fondamentale
L’acqua libera presente nel sottofondo non è quantificabile con la sola percentuale in peso dell’umidità: occorre conoscere anche il peso specifico e lo spessore del massetto.
Dati ricavati da prove svolte in un Laboratorio ufficiale con l’assistenza di Tecnici del CNR – Istituto per la Ricerca sul Legno (di cui su richiesta sono forniti i certificati) dimostrano che a parità di spessore, la quantità d’acqua contenuta in un massetto tradizionale con umidità residua del 2% in peso è superiore alla quantità contenuta in un massetto Lecamix che ha raggiunto il 3%.
Tale valore trova spiegazione nella differenza di peso specifico dei materiali: infatti i massetti Lecamix hanno una densità di circa la metà di quelli tradizionali e pertanto a pari valore percentuale di umidità fanno riferimento contenuti assoluti d’acqua diversi.
Ad esempio: un metro quadrato massetto dello spessore di 5 cm ed umidità di 2% in peso contiene solo 1-1,2 litri di acqua se costituito da LecaMix (densità 1.000-1.150 Kg/m3) e ben 2÷2,2 litri di acqua se costituito dalla tradizionale sabbia e cemento (densità 2.000-2.200 Kg/m3).
Pertanto al medesimo valore di umidità (2%) fanno riferimento due diversi contenuti di acqua (nel LecaMix 1-1,2 litri, nel massetto tradizionale 2-2,2 litri pari al doppio).
Questo significa che un contenuto di acqua pari a 2-2,2 litri nel Lecamix si traduce in una umidità del 4%.
Il massetto in Lecamix può pertanto considerarsi asciutto (pronto all’incollaggio del parquet) con un contenuto di umidità inferiore al 3%.

Inconvenienti che possono derivare dalla presenza di umidità
L’umidità presente nel sottofondo può compromettere l’adesione della finitura.
Infatti, se presente durante l’incollaggio del pavimento, inibisce l’efficacia di alcune tipologie di colle (in particolare quelle non cementizie).
Questo fenomeno è particolarmente importante per quei pavimenti (legno, vinilici e simili) che sono posati solo con colle non cementizie.
L’umidità può inoltre avere effetto sulla stessa pavimentazione provocandone variazioni del colore (nei pavimenti di marmo o cotto), variazioni dimensionali con ingobbimenti e sollevamenti (nei pavimenti in legno) o rigonfiamenti (in pavimenti di PVC, linoleum, gomma).
È evidente come sia necessario assumere particolari precauzioni per esser certi che, all’atto della posa del pavimento, l’umidità residua
nel sottofondo sia entro i livelli di sicurezza.
Il sottofondo, come le altre strutture murarie all’interno di un edificio, non raggiunge mai il completo asciugamento. Raggiunto il contenuto di umidità cosiddetto “di equilibrio”, il sottofondo non cede più umidità all’ambiente circostante.
I pavimenti in legno possono, quindi, essere posati quando il contenuto di umidità ha raggiunto al massimo 2% in peso per massetti a base cementizia e 0,5% per quelli a base anidrite (indicazioni Federlegno).

Fattori che favoriscono la presenza di umidità
a) L’eccesso d’acqua utilizzato nella confezione degli strati specie se abbinato all’uso di inerti porosi;
b) L’uso di calcestruzzi cellulari che ritengono molta acqua;
c) L’umidità in eccesso che può essere presente nella struttura e da questa passare al sottofondo;
d) L’acqua proveniente da eventi meteorici (acquazzoni, pioggia, nebbia) sino a che la zona cantiere non è protetta;
e) Il forte spessore degli strati che aumenta il quantitativo totale di acqua presente e ne rallenta lo smaltimento;
f) Un elevato e prolungato livello di umidità atmosferica.

Fattori che limitano la presenza di umidità o ne favoriscono lo smaltimento nei sottofondi tradizionali
a) Un buon dosaggio dell’acqua di impasto, ottenibile con controlli in cantiere o con l’uso di leganti o additivi che richiedono meno acqua;
b) Una tempestiva protezione da eventi meteorici accidentali;
c) Una composizione granulometrica degli impasti che favorisca l’evaporazione dell’acqua in eccesso (inerti grossolani e non fini – limitato dosaggio di leganti);
d) Un tempo adeguato tra la posa dei vari strati, che permetta lo smaltimento dell’umidità nello strato sottostante prima della posa di quello superiore;
e) Una guaina impermeabile, o foglio di polietilene, posto sotto il massetto che evita comunque risalite di umidità dagli strati sottostanti.

Materiali premiscelati per strati di sottofondo
Sono ormai diffusi materiali predosati e premiscelati per sottofondi (tra questi Lecacem e i prodotti della linea Lecamix) che, grazie alla composizione sempre costante ed a precise regole di posa, assicurano tempi certi per lo smaltimento dell’umidità, sempre che ci si attenga alle regole di posa date dal produttore.
Sono materiali molto utili e pratici da usare specie nei casi di ristrutturazioni dove gli spazi ed i tempi sono generalmente limitati. Esistono poi materiali ad asciugamento rapido (1-3 gg.), altri ad asciugamento veloce (7-10 gg.).
Per una maggiore sicurezza, sono consigliabili prodotti premiscelati che contengono all’interno del sacco sia i leganti che gli aggregati.
Nel caso di prodotti composti dal solo legante speciale, i risultati di rapida asciugatura e di lavorabilità vengono conseguiti solo usando gli aggregati consigliati dal produttore, spesso di difficile reperibilità.
I prodotti Laterlite sono premiscelati pronti che contengono sia il legante che gli aggregati, e pertanto i risultati dichiarati sono facilmente ottenibili.

=”Misura dell’umidità in cantiere
Misura dell’umidità
Al momento della posa di pavimenti in legno e vinilici va sempre controllato il contenuto di umidità residua.
In particolare è importante valutare il tenore di umidità non solo del massetto ma anche degli eventuali strati sottostanti per evitare che l’umidità possa risalire anche dopo la posa del pavimento (ad esempio con l’accensione del riscaldamento).
L’umidità presente nei sottofondi si determina generalmente con un igrometro di tipo elettrico o a carburo. Esistono anche altri metodi empirici che sono però meno affidabili.
La norma UNI 10329 “Misurazione del contenuto di umidità negli strati di supporto cementizi o simili”, indica le modalità di misura dell’umidità nei sottofondi e da essa sono tratte le indicazioni che seguono.

Igrometri a carburo
L’igrometro a carburo è molto affidabile perché si basa sulla reazione del carburo di calcio con l’acqua, che sviluppa acetilene.
La pressione di questo gas viene misurata con un apposito strumento e da qui si risale al contenuto effettivo dell’acqua libera (umidità) presente nel sottofondo.
Si parla di acqua libera e non di acqua totale: se il sottofondo fosse messo ad asciugare in una stufa da laboratorio a 110 °C l’acqua contenuta risulterebbe maggiore di quella riscontrata con l’igrometro a carburo.
Con la stufa infatti si determina un valore che è la somma dell’acqua libera e dell’acqua legata chimicamente ai vari componenti: quest’ultima non è assolutamente dannosa per i sottofondi perché, in condizioni d’esercizio, non può essere “liberata” e quindi non serve tenerne conto.
Si rimanda ai libretti d’istruzione dell’apparecchio per ogni ulteriore e più approfondita spiegazione.

Igrometri elettrici
Gli igrometri elettrici misurano la resistenza elettrica tra due elettrodi metallici che vengono infissi nel sottofondo (la distanza tra gli elettrodi è fissa). Poiché conducibilità e resistenza elettrica sono influenzate dal tenore di umidità si può valutare tale contenuto per mezzo della resistenza elettrica.
La “taratura” di questi apparecchi è però fatta per sottofondi tradizionali.
Vi sono molti altri fattori che influenzano la conducibilità elettrica (tipo e qualità di leganti e aggregati, presenza di reti metalliche ecc.).
Per questi motivi gli igrometri elettrici permettono solo misure comparative e non valide in assoluto. Data la loro praticità d’impiego e il relativamente basso costo sono utilmente impiegati per valutare le variazioni nel tempo di umidità o per stabilire quali sono le zone più umide.
Analogo è il discorso per gli igrometri a contatto o “capacitivi”; anche essi risentono della presenza di reti o tubi metallici nel sottofondo.
Sono apparecchi studiati e messi a punto per valutare l’umidità nel legno e adattati poi al sottofondo.
Se si vuole valutare l’effettivo contenuto di acqua libera nel sottofondo, lo strumento adatto è l’igrometro a carburo.

Consigli pratici per la misura dell’umidità
• Usare igrometri a carburo per rilevare l’umidità presente nei sottofondi.
• Porre molta attenzione nell’uso di igrometri elettrici.
• Ricordare che è solo l’umidità presente come acqua libera che può essere ”liberata“ dal sottofondo.
• Non paragonare contenuti percentuali in peso di umidità uguali per sottofondi con pesi specifici diversi: un metro quadrato massetto dello spessore di 5 cm ed umidità del 2% in peso contiene solo 1-1,2 litri di acqua se costituito da LecaMix (densità 1.000-1.150 Kg/m3) e ben 2-2,2 litri di acqua se costituito dalla tradizionale sabbia e cemento (densità 2.000-2.200 Kg/m3).

=”Protezione dai rischi di corrosione dei tubi
Corrosione dei tubi
L’attuale tecnologia impiantistica prevede la realizzazione delle tubazioni degli impianti idrico-sanitari in polietilene; qualora venissero invece impiegati tubi metallici è importante evitare il manifestarsi di problemi legati alla corrosione.
La corrosione è il meccanismo elettrochimico di trasformazione del metallo in altri composti chimici (ossidi, idrossidi, sali); tale fenomeno si manifesta raramente per i tubi in rame o acciaio inox ma meno raramente per quelli in acciaio o acciaio zincato.
La corrosione può partire dall’interno dei tubi o dall’esterno.
Ci occupiamo qui delle corrosioni che partono dall’esterno e cioè dall’”ambiente sottofondo” nei confronti dei tubi in acciaio o acciaio zincato.

Fattori che facilitano la corrosione
Escludendo i casi di danni dovuti a difetti nel tubo, nella zincatura o per eccessivo riscaldamento degli stessi in fase di piegatura, restano quelli di corrosione per aggressione chimica.
Perché si instauri il processo della corrosione occorre la presenza sul tubo di acqua ed ossigeno.
Quanto più lungo è il tempo di bagnatura e quanto maggiore è la presenza di ossigeno tanto più aumentano i rischi.
La presenza in soluzione acquosa di solfati o cloruri accelera il fenomeno.
In tal senso Leca non rilascia in soluzione né solfati né cloruri in misura apprezzabile tanto è vero che le strutture in calcestruzzo armato hanno prestazioni addirittura migliori di quelle del conglomerato tradizionale in termini di resistenza all’aggressione chimica.
I processi corrosivi non si instaurano fino a quando il “pH” della soluzione acquosa a contatto con il metallo rimane fortemente basico (superiore a 11 per l’acciaio, tra 8 e 12,3 per lo zinco).
I casi più frequenti di corrosione avvengono nelle tubazioni di passaggio dell’acqua fredda. In questi casi la superficie esterna del tubo è sensibilmente più fredda dell’ambiente circostante e ciò provoca condensa superficiale.
L’acqua si dispone naturalmente verso il basso dove trova spesso una superficie poco permeabile fermandosi in aderenza al tubo.
Con tempi di bagnatura prolungati aumentano così anche le probabilità di corrosione (vedi Figura 7); lo stesso può accadere se il tubo è direttamente a contatto con un altro (sovrapposizioni per scavalcamento) o con un altro corpo estraneo poco permeabile all’acqua.

Metodi per evitare la corrosione dei tubi nei sottofondi
Il metodo migliore e più ampiamente collaudato consiste nel rivestire i tubi con malta compatta di sabbia e cemento.
Tale protezione, se ben fatta, assicura:
• scarsa presenza di acqua sulla superficie del tubo;
• scarsa presenza di ossigeno sulla superficie del tubo;
• pH elevato (che inibisce la corrosione) attorno al tubo.
Il rivestimento realizzato con malta di sabbia e cemento garantisce un pH di circa 12, valore che assicura un’adeguata protezione.
Col tempo però la passività del rivestimento diminuisce per effetto del manifestarsi del processo di carbonatazione che, per la presenza di anidride carbonica, provoca un abbassamento del pH della soluzione presente.
Quando il pH scende sotto il valore 11, l’acciaio può essere attaccato mentre lo zinco no; per tale motivo l’acciaio zincato resiste meglio dell’acciaio nudo.
La malta di rivestimento dei tubi è bene che sia costituita da sabbia fine (0-3 mm) e cemento (ca. 3 qli/m3); essa deve avvolgere il tubo completamente, anche nella parte inferiore (vedi Figura 8).
I tubi non devono pertanto essere in contatto con altro materiale che non sia la malta; in corrispondenza degli incroci tra i tubi viene interposta della malta (vedi figura 9).
È consigliabile iniziare con la posa dei tubi dell’acqua fredda, rivestirli con la malta e successivamente posare i restanti impianti.
Durante la posa dei tubi non devono trovarsi sul solaio tracce di gesso o scagliole che contengono solfati; nella confezione della malta non usare acceleranti di presa o antigelo che potrebbero contenere cloruri.
Eseguita la protezione con la malta evitare che questa venga in contatto con gessi.

Attenzione
È importante ricordare che i tubi, specie se avvolti in materiali compressibili (isolanti), costituiscono un indebolimento dei sottofondi per cui è opportuno siano lontani dal pavimento (è meglio che vengano inseriti nello strato di alleggerimento-isolamento piuttosto che nel massetto).
Nel caso si debbano collocare i tubi in questo strato, è bene tenerli ad almeno 3 cm dal pavimento e inserire al di sopra una leggera armatura. I tubi in rame non sono danneggiati dalla corrosione, quelli in acciaio inox possono esserlo anche dall’interno.

=”Resistenza al fuoco
Protezione delle strutture dal fuoco
In alcuni casi viene richiesto dalla Normativa Anticendio che una struttura orizzontale sia protetta contro il rischio di incendio proveniente dall’alto (ad esempio solai sopra i quali vi siano biblioteche, teatri o centrali termiche).
Anche in altri tipi di costruzione possono esserci richieste del genere; ad esempio nelle case di riposo per anziani ricavate dalla ristrutturazione di edifici esistenti è richiesto che i solai in legno siano protetti contro il rischio di incendio, anche proveniente dall’alto.
In Italia non ci sono forni adatti a provare la Resistenza al Fuoco di un solaio o soletta, con incendio sul lato superiore. Non è pertanto possibile fare delle prove che rispecchino esattamente la situazione nella quale la struttura si troverebbe in caso di incendio.
Per sopperire a questa carenza si può ipotizzare di proteggere la struttura dal lato fuoco con uno strato di materiale che, provato come parete verticale non caricata, garantisca adeguati valori REI e cioè assicuri per un certo tempo che l’estradosso della struttura portante (sul quale appoggia lo strato protettivo) non si riscaldi eccessivamente.

Reazione al fuoco
La reazione al fuoco è il grado di partecipazione di un materiale combustibile all’incendio al quale è sottoposto.
Il 10 Marzo 2005 (G. U. n° 73 del 30-03-2005) è stato emesso il Decreto del Ministero dell’Interno “Classi di reazione al fuoco per i prodotti da costruzione da impiegarsi nelle opere per le quali è prescritto il requisito della sicurezza in caso d’incendio”. In funzione dei risultati delle varie prove sono previste 7 classi, identificate con i simboli A1, A2, B, C, D, E, F per i prodotti da costruzione ad eccezione dei pavimenti e A1FL, A2FL, BFL, CFL, DFL, EFL, FFL per i soli prodotti destinati ad essere utilizzati quale supporto per pavimenti. I prodotti appartenenti alla classe A1 e A1FL non contribuiscono a nessuna fase dell’incendio, nemmeno in presenza di un incendio generalizzato, e pertanto vengono definiti “Incombustibili”. Ai prodotti riportati negli elenchi di cui all’allegato C del Decreto è attribuita la classe di reazione al fuoco A1 e A1FL, di cui alla decisione 2000/147/CE, senza dover essere sottoposti a prove; fra questi è presente l’argilla espansa.
L’argilla espansa “Leca”, con essa i prodotti “Sabbia Leca” ed i conglomerati “Leca – cemento”, sono così da considerarsi “Incombustibili” ed aventi classe di reazione al fuoco A1 e A1FL.

Resistenza al fuoco
La resistenza al fuoco, indicata con la sigla REI, è l’attitudine di un elemento da costruzione (componente o struttura) a conservare, secondo un programma termico prestabilito e per un tempo determinato, in tutto o in parte la resistenza meccanica “R”, l’ermeticità “E” e l’isolamento termico “I” così definiti:
• Resistenza meccanica: attitudine di un elemento da costruzione a conservare la resistenza meccanica sotto l’azione del fuoco;
• Ermeticità: attitudine di un elemento da costruzione a non lasciar passare né produrre, se sottoposto all’azione del fuoco su un lato, fiamme, vapori o gas caldi sul lato non esposto;
Isolamento termico: attitudine di un elemento da costruzione a ridurre, entro un dato limite, la trasmissione del calore.

Soluzioni in Leca
Lecamix
Presso il forno sperimentale del Laboratorio di resistenza al fuoco dell’Istituto Giordano è stata eseguita una prova secondo le prescrizioni della Circolare 91 del Ministero dell’Interno – Direzione Generale dei Servizi Antincendi del 14/09/1961, su un pannello realizzato in Lecamix.
Dall’esame dei risultati emersi dalla prova si certifica che uno strato realizzato con i premiscelati della linea Lecamix, posto su qualsiasi tipo di struttura nello spessore di 8 cm, è classificato REI 120 (Figura 10).

Leca CLS
Il dimensionamento degli spessori e delle protezioni da adottare per le varie classi di strutture è indicato nella Circolare 91 del 14/09/61 ed in particolare a quanto disposto nella Tabella n° 2 che prescrive gli spessori minimi delle pareti tagliafuoco per le varie Classi REI. Uno strato di calcestruzzo leggero realizzato con i premiscelati “Leca CLS 1400 – Leca CLS 1600” o confezionato da centrale di betonaggio, garantisce, nello spessore di 8 cm, un REI sino a 90 e, nello spessore di 10 cm, un REI sino a 180.
Lo strato di calcestruzzo leggero, posto a protezione di qualsiasi struttura, non deve assolvere ad alcuna funzione strutturale (Figura 11)

Per ulteriori informazioni sui prodotti Leca
www.leca.it

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