Il progetto di recupero: oltre il dettaglio – Il Museo Guardi a Piombino

Opera del maestro pisano Piero del Grillo, la chiesa concattedrale di Piombino intitolata a S. Antimo viene edificata nel 1377 su un preesistente luogo di culto, il duecentesco eremo di S. Michele Arcangelo. Per realizzare la nuova chiesa voluta da Pietro Gambacorti, l’eremo viene trasformato e le mura dell’unica navata orientata Nord-Sud demolite per far posto all’attuale abside rettangolare e all’aula ecclesiale. Anche il campanile, prima staccato dalle mura perimetrali dell’eremo ed allineato con la facciata, oggi ci appare come se fosse stato costruito in aderenza al fianco destro dell’abside. La chiesa, in stile tardo romanico, presenta più motivi gotici tra cui le sei monofore a sesto acuto ricavate nelle due pareti laterali e alcuni archetti pensili a coronamento della facciata principale e della bifora absidale. L’impianto originario viene modificato in tempi successivi con l’apertura, nella parete sinistra di due cappelle, poi unite nella prima metà del XX secolo. L’aspetto trecentesco dell’interno muta nel periodo della dominazione francese durante il quale, oltre all’inserimento di un controsoffitto a volta, si provvede a tamponare sei monofore laterali per sostituirle con sette finestre con arco a sesto ribassato. Inoltre, la rimozione degli intonaci determina la perdita degli affreschi trecenteschi a favore delle nuove decorazioni pittoriche del francese Jacques Beys. All’esterno le trasformazioni riguardano principalmente il lato sud della chiesa. In particolare, da uno sbancamento del terreno, viene ricavato un orto sul quale affacciano alcuni ambienti, parte integrante del convento, probabilmente adibiti a sacrestia, tinaio, dispensa e cantina. Al loro interno sono individuabili altri elementi dell’antica fabbrica gotica tra cui tre aperture a sesto acuto in laterizio. Su quest’area adibita a giardino del piccolo convento annesso alla chiesa, Andrea Guardi, in epoca rinascimentale, per volere di lacopo III Appiani realizza un chiostro. Di forma apparentemente quadrata, ma in realtà trapezoidale, si compone di venti colonne marmoree che sostengono ampie arcate. L’intercolumnio non è costante ma varia fino a poco meno di un braccio fiorentino. Tale accorgimento viene introdotto dal Guardi per non far percepire l’imperfetta geometria dell’opera. Al centro del chiostro un pozzo a pianta ottagonale annuncia all’esterno la cisterna realizzata nel 1618. Sotto il principato francese anche questo spazio aperto subisce consistenti trasformazioni che ne alterano l’architettura. Tali condizioni permangono fino alla fine dell’800 quando il Genio Civile di Pisa interviene e libera dalle superfetazioni gli archi e le colonne fino a riportare il chiostro all’antico splendore. A questo primo restauro ne segue un secondo in tempi recenti dagli esiti piuttosto incerti, con cui si riportano alla luce gli archi dell’antica fabbrica gotica all’interno dei locali annessi alla sacrestia che separano il chiostro verso il cortile.
L’intervento di recupero, opera di Antonello Boschi, contempla il riuso a museo di una porzione molto limitata del complesso monumentale che, nel tempo, si è sviluppato intorno alla cattedrale. Tale porzione comprende il chiostro di Andrea Guardi, i tre vani tra la sagrestia dell’ex convento e le aree un tempo adibite a sepolcreto che affacciano su via del Coro, strada che conduce dal centro storico al castello lungo la quale è sistemato l’ingresso principale del museo. A guidare il lavoro dell’architetto è un approccio particolarmente cauto che tiene conto della necessità di un equilibrio tra le esigenze connesse alle nuove funzioni e alla qualità del manufatto, ai suoi valori formali e simbolici, all’individualità di ogni opera o pezzo esposto che richiede un suo studio e una sua collocazione, alla necessità, infine, di rendere la visita al museo un’esperienza unica. Pur contenendo i processi trasformativi a quelli strettamente necessari indotti dal nuovo uso degli spazi, Boschi lascia dovunque i segni discreti del proprio passaggio e interviene sul manufatto antico con l’obiettivo primario di istituire un nuovo sistema di relazioni tra gli spazi museali. Per far ciò segue più strategie, tutte congruenti. All’esterno, opera facendo ricorso a registri espressivi diversamente modulati. Nel chiostro, disegna lo spazio scoperto rispettando l’ordine geometrico forte dei partiti architettonici cinquecenteschi, interviene sui pavimenti, sui rivestimenti e sulla parete est dispone, all’altezza del davanzale delle tre finestre che consentono la vista delle tre sale interne, una «cremagliera» lunga e sottile incassata nel muro, cui fissa le mensole di sostegno dei pezzi in mostra tenuti in sommità da apposite grappe. Nel cortile che affaccia su via del Coro interviene con più decisione. Provvede innanzitutto a ridisegnare integralmente lo spazio e le sue delimitazioni. Nel far ciò fissa la misura della sua dimensione in pianta a partire dalla disposizione dei muri della sagrestia e degli annessi così da definire una regola per il disegno della pavimentazione della parte di cortile destinata a museo all’aperto antistante l’ingresso alle sale interne, dove dispone alcuni reperti. Individua poi, il punto più conveniente dove posizionare l’ingresso su via del Coro e traccia un percorso rettilineo inclinato che attraversa la parte di cortile sistemata a prato e si conclude in prossimità dei volumi edificati nel 1933 attestati sul fianco destro dell’abside della cattedrale. Modella inoltre, il raccordo tra lo spazio recinto e la strada introducendo una scarpata erbosa che attesta contro il volume che edifica in corrispondenza del contrafforte d’angolo dell’ex convento. Disegna infine, la nuova recinzione che separa il cortile dalla strada, a partire da quella esistente in mattoni, che in parte riconfigura, nell’intento di segnalare con decisione la presenza dell’ingresso agli spazi museali all’aperto.
Il «museo interno» si risolve nelle tre sale – dei primitivi, dell’affresco, del Guardi – attigue alla sacrestia. Qui Boschi ricorre ad altri registri espressivi e punta all’integrazione spaziale oltre che visiva finalizzata alla valorizzazione dei pezzi di maggior pregio tra cui la protome leonina, la Croce di Sassetta, l’acquasantiera di Populonia. I segni del progetto si fanno più tangibili. Tutti, al di là di ogni pretesa stilistica, ruotano intorno alla necessità di individuare il percorso museale e renderlo unico sulla base della consistenza, del numero e del valore dei pezzi esposti e della volontà di drammatizzare la comunicazione al fine di procurare al visitatore un’ emozione visiva cui concorre decisamente l’affresco della Vergine in trono col bambino posto al termine del percorso museale segnalato con accorgimenti diversi, l’ultimo dei quali consiste nell’incurvare verso l’alto il pavimento in prossimità dell’affresco stesso per interdire l’avvicinamento del visitatore all’opera d’arte. Il complesso sistema di conoscenze che stanno alla base del «dispositivo museale» – dalla collezione al luogo destinato ad accoglierla dalle tecniche di allestimento e al ruolo del pubblico – pare sia noto al Boschi che, messo alla prova, si produce in una performance interamente giocata su toni discreti volta a coniugare le diverse esperienze di cui è ricca la sua formazione di architetto.

L’opera di recupero
L’intervento di recupero si articola in più momenti tra loro diversi. Il primo riguarda il «museo esterno» organizzato nel chiostro e nell’ex sepolcreto; il secondo il «museo interno», sistemato in tre ambienti attigui alla sacrestia. Nel chiostro gli interventi sono ridotti all’essenziale.
Con riferimento al «dispositivo museale», si riducono all’inserimento di una guida di supporto per i pezzi esposti, incassata a muro, rivestita in pietra serena levigata o bocciardata ed estesa per una parte della parete che separa le sale interne dal chiostro.
Nell’ex sepolcreto il riuso degli spazi all’aperto ha risvolti diversi connessi alla necessità di interdirne il libero accesso, di facilitarne la fruizione e di consentirne in parte l’allestimento per l’esposizione di alcuni pezzi.
La riconfigurazione della recinzione esistente con la realizzazione dell’ingresso principale al museo da via del Coro ha indotto ad evidenziarne la presenza facendo ricorso a più espedienti architettonici tra cui un muro d’angolo, fortemente caratterizzato.
L’opportunità di concentrare gli spazi espositivi esterni in continuità con quelli interni ha comportato la realizzazione di un percorso pavimentato che parte dall’ingresso, attraversa le aree del cortile sistemate a prato e si conclude in prossimità delle volumetrie aggiunte nel 1933.
Nei tre ambienti del «museo interno» prevale l’esigenza di dare identità al percorso espositivo. Di qui la evidente riconfigurazione dei vani murari, i misurati tagli nelle pareti, il raffinato disegno delle parti pavimentate in pietra, l’ efficace modulazione della luce artificiale ottenuta a prezzo di modeste ma controllate alterazioni del profilo delle sale. Infine l’allestimento in legno di cipresso e acciaio che mai prevale sui pezzi esposti il cui ordinamento risponde a raggruppamenti tematici, cronologici e stilistici.

Il muro
Al museo si accede da via del Coro dove un muro in angolo ne segnala con decisione l’ingresso.
Il muro presenta il nucleo resistente realizzato in blocchi di calcestruzzo (20x30x50) ed è rivestito con lastre rettangolari in pietra (colombino)- tutte dello spessore costante di 3 cm – che nelle dimensioni e nella disposizione confermano la loro natura di «strato applicato». Le lastre aderiscono al nucleo interno mediante un sottile strato di malta cementizia e sono montate direttamente l’una sull’altra e l’una accanto all’altra senza sfalsamento dei giunti verticali e senza interposizione di malta di allettamento.
Questa modalità costruttiva si ritrova anche laddove la risoluzione grafica della tessitura delle lastre è affidata alle commettiture orizzontali introdotte sagomando il lato superiore delle lastre bocciardate poste in angolo. L’incisione della superficie – fino a 2 cm – e la particolare lavorazione della pietra, giocano un ruolo primario nell’ accentuazione della massività della parete. La geometria dell’angolo varia in altezza: in corrispondenza delle lastre bocciardate l’angolo a «giunto chiuso alternato» viene sostituito con l’angolo « a quartabuono».

La porta d’ingresso
Al »museo interno» si accede da un vano la cui configurazione originaria è stata modificata al fine di orientare il visitatore e indurlo ad entrare nelle tre sale principali.
Murata la parte inferiore destra appena oltre l’altezza del davanzale della finestra che illumina un piccolo ambiente ceduto alla sacrestia e messa in vista rivestendola con la stessa pietra impiegata per pavimentare l’esterno, nel vano risultante è stata ricavata la porta d’ingresso in legno di cipresso e acciaio, integrandola ad un serramento fisso che lascia intravedere all’interno la sala dei primitivi.
Tra le doghe orizzontali, tutte uguali a meno della prima e dell’ultima, si intravede un inserto in acciaio inox che rafforza il disegno dell’anta (S = 45mm) rivestita all’interno in compensato di cipresso.
Le doghe presentano un giunto interno a maschio e femmina e sono tenute da un piatto in acciaio inox che si sviluppa lungo tutto il perimetro dell’anta.

L’onda di pietra
All’interno del programma di allestimento, un discorso a parte merita la sistemazione della sala dell’affresco, dove in un continuo gioco di rimandi spaziali e temporali, fra oggetti esposti e contenitore, si dà vita ad uno studiato alternarsi di piccole sorprese visive. Il sistema espositivo sottolinea l’importanza del luogo con neutralità e sembra culminare nel disegno delle superfici di calpestio: le pietre incastonate, l’onda di pietra, recuperano in maniera non convenzionale il processo stratigrafico delle sovrapposizioni. È come se il lento moto altalenante della risacca storica si fosse improvvisamente fermato di fronte alla superficie pittorica dell’affresco, cristallizzandone gli effetti, lasciando arenate – arenariate – sulla battigia litica, resti lapidei di un naufragio temporale. Niente aste, catene, bastoni, corde, lastre di vetro, una mera dissuasione psicologica, solo un moto di rispetto che i masselli incurvati di pietra serena incutono nel visitatore materializzando una nuova prossemica pittorica cui pare concorrano le lastre in pietra che, sottilmente incise, ridisegnano il vano orientando il visitatore nell’apprestarsi all’affresco.
Renato Morganti
Professore straordinario di Architettura Tecnica presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Cassino
Marcello Zordan
dottorando di ricerca presso l’Università degli Studi di Pavia

Progetto e direzione lavori: Antonello Boschi
Collaboratore: A.M. Tartaro
Committente: Curia vescovile di Massa Marittima e Piombino, Comune di Piombino
Cronologia: 1996-98 Progetto; 1998-99 Realizzazione
Dati Dimensionali: 1088 mq.superficie complessiva; 115 mq. superficie utile

Bibliografia
– AA.VV., Marble architectural Award 2000, «Catalogo della mostra, Carrara», 2000, pp. 58 – 61.
– Tuscan delicacy, «The Architectural Review», n° 1239, 2000, pp. 86 – 89.
– A. Boschi, «Almanacco di Casabella, Giovani architetti italiani 99-00», Milano, 2000, pp. 32 – 35.
– Feinarbeit, Das Archaologische Museum in Piombino «Bauwelt», n° 08, 2001, pp. 18 – 21.
– Museu «Andrea Guardi», «Architécti», n° 53, 2001, pp. 86 – 91.
– P. C. Pellegrini (a cura di), Ristrutturazioni, Milano, 2003, p.46.

Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Recuperare l’Edilizia nº 39, maggio 2004

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