Gli enigmi della percezione

Nonostante questa premessa posso tentare di filtrare dall’esperienza personale alcuni argomenti che hanno occupato molti dei miei progetti.
Il ruolo della luce nello spazio contemporaneo
I temi rappresentano il contenuto di un lavoro che ha come obbiettivo centrale l'investigazione intorno al ruolo affidato alla luce nel disegno dello spazio contemporaneo.
La luce è uno dei tanti elementi che compongono la progettazione architettonica di uno spazio, ma è anche uno dei fattori chiave per la lettura del mondo.
Il mondo è fatto da tante cose e da molti oggetti che, se illuminati, “possiamo vedere”.
Oggetti distinti, con forma, colore, in movimento o fermi.
La realtà fisica delle cose non sempre corrisponde alla realtà percettiva.
Anche l’uomo della strada è più volte rimasto vittima di questa illusione, in certe circostanze non soltanto “immaginiamo”, spesso vediamo realmente un oggetto, pur non esistendo fisicamente.
É di grande importanza per l’uomo prendere coscienza dell’ambiente circostante, non soltanto è necessario che egli distingua le cose, ma bisogna che le comprenda e le giudichi: la percezione è tutt’altro che una passiva ricezione di impressioni.
Obiettivi del lighting designer
Il mio compito di lighting design è quello di studiare come penetrare gli enigmi della percezione per poi tradurli in caratteristiche tecniche e fisiche, che permettono di creare situazioni luminose ricche di significati per l’osservatore.
Per anni ho sperimentato e realizzato diverse forme di scenografie, di suggestioni emotive finalizzate alla presentazione di un prodotto.
Con Calvin Klein, durante la press presentation, ho cercato per primo di evocare l’anima del marchio commerciale riconosciuto in tutto il mondo, realizzando con la luce e le ombre delle geometrie chiaroscurali compartite dal pensiero dello stilista.
Obbiettivo: creare mentalmente un’illusione, un sogno, un’immagine che la gente possa ricordare e cogliere come modello da seguire.
Gli showrooms espositivi della sede europea sono privi di luce naturale, sono dei grandi contenitori neutri dove predominano gli elementi tecnici dell’impianto luci.
La luce diventa l’unico fattore capace di modificare questi spazi, conferendogli un’atmosfera unica.
Nelle aree espositive è stato progettato un sistema flessibile con un parco luci di circa 700 sorgenti luminose, pari a 200 kilowatt.
I sofisticati proiettori sono dotati di ottiche, rifrattori e rompi-flusso e sono gestiti da un sistema computerizzato di dimminig in grado di memorizzare illimitate scene luminose.
Intensità e colore della luce, trasparenze e riflessi, valorizzano i capi esposti, esaltano la loro texture, scaldano l’ambiente minimalista delle pareti bianche e del pavimento grigio opaco, altresì sagomano la luce, definendo i bordi di buio, costruendo e modificando l’ombra che riesce a dare forma e tridimensionalità allo spazio.
Il lancio di una collezione di alta moda può anche realizzarsi attraverso una festa organizzata per la stampa internazionale, dove il prodotto non è esposto.
La scelta della dimora, dell’arredamento, del cibo è dunque importantissimo, ma è la luce, l’atmosfera, il profumo che inebria e avvolge lo spazio ciò che più rimarrà nella memoria della gente.
Nella primavera del 2005 fu deciso di affittare per tale scopo Palazzo Visconti a Milano, uno tra gli edifici più eleganti del barocchetto lombardo.
Mi colpì profondamente che il cliente scegliesse questo luogo, è risaputo che Calvin Klein è famoso per la stimmung minimalista.
Presentare la collezione in quelle sale di gusto neo-settecentesco con richiami al rococò significava dunque contrastare la filosofia di spazio di Calvin Klein.
II grandi lampadari in cristallo divennero flebili luci dai riflessi ambrati, a ricordo delle antiche candele. Luci di color lavanda deformarono le superfici verticali e orizzontali, ignorando i preziosi affreschi e i pavimenti in seminato.
Luci posizionate a terra produssero ombre portate dagli aggetti murari sui soffitti, sofisticate riflessioni sui cristalli, produssero righe luminose sulle pareti verticali.
La chiusura di uno spazio può essere accentuata o allentata dall’uso della luce, dal colore e dalla materia; l’elemento-spazio è essenzialmente determinato dai limiti laterali.
É importante rendersi conto che in architettura le pareti, più che il soffitto, fanno da cornice, mentre il soffitto è percepito come “distante” ecco perché la simbolizzazione religiosa si è spesso servita della volta.
É il gioco dei rimandi di luce che riuscii a creare come ingrediente magico di quest’evento, che divenne una suggestione tutta italiana per gli ospiti internazionali.
Altra esperienza che desidero ricordare accadde nel 2003 con lo stilista Atwood Brain, che decise di esporre la collezione di scarpe nella Palazzina Liberty, prestigiosa sede milanese di altrettanti eventi, immersa in un bel parco cittadino.
Ben presto lo stilista si rese conto che non era sufficiente aver scelto un luogo interessante, aver chiuso in una teca le scarpe per conferirgli titolo di scultura/gioiello, e che neanche le contorsioniste, ingaggiate a creare l’atmosfera di festa, sarebbero bastate alla costruzione del sogno di Atwood Brain.
L’indispensabile “link” d’unione di tutti gli elementi fu ancora una volta la luce.
L’ambiente era ampio, dispersivo, triste, grigio.
Si decise di de-strutturare l’edifico esternamente con una luce dinamica e colorata, in netto contrasto con la luce interna prevalentemente bianca.
Trasformai la palazzina in un oggetto di colore Magenta, identificabile da molto lontano.
Dalle grandi vetrate si percepiva lo spazio interno; luci puntuali evidenziavano l’architettura del luogo ed esaltavano i prodotti esposti.
Partendo dal principio che la luce modella le forme, riuscii a costruire la sensazione tipica che si
avverte entrando in un museo, dove tutto si legge, ma sottotono.
Velai dunque e ombreggiai le linee dei pilastri, abbassando la lettura degli elementi esornativi. Una nuvola di fumo sovrastava lo spazio interno, dove forme geometriche di luci erano proiettate nell’aria, sincronizzate al ritmo della musica e al ballo delle contorsioniste immerse in una luce ambrata.
Il forte contrasto tra la luce di tipo “museale/architettonica con quella scenografica/teatrale e la compenetrazione tra interno ed esterno, colore e movimento creò un’interessante percezione dello spazio.
Il lighting designer deve continuamente interrogarsi sulle implicazioni che la luce può arrecare nella percezione visiva, calibrando le strategie progettuali nel contesto architettonico o territoriale in cui egli agisce.
 
* Bianca Tresoldi
specializzata in architettura d’interni, esercita la libera professione in qualità di lighting designer avendo annoverato una ventennale esperienza nel settore illuminotecnico. Lo studio “Bianca Tresoldi lighting designer”, si occupa di illuminazione architettonica, artistica, monumentale, urbana ed ambientale; organizza, tiene master e workshop in materia di luce. Dal 1995 è socia dell’European Lighting Designers Association (ELDA).
 
Tratto dal convegno internazionale “Luce e Architettura”, oganizzato dall’AIDI
 

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