Ponti, la sicurezza viene dalla ricerca

Dopo Genova gli allarmi sulla tenuta dei viadotti sono all’ordine del giorno. Nella sola Lombardia si contano più di 270 infrastrutture a rischio e alcune, in diverse parti d’Italia, sono state interdette al traffico. Serve un piano nazionale, ma occorre accelerare nel trasferimento tecnologico. Perché ricerca e innovazione sono fattori di sicurezza e di sviluppo

Crollo PONTE MORANDI (da SkyTg24)

Ponte Morandi (da SkyTg24)

Materiali innovativi e sensori intelligenti saranno, si spera a breve, le risposte ai problemi di tenuta statica e di controllo affidabile del milione e mezzo circa di ponti realizzati in Italia dagli anni Cinquanta a oggi.

Un Paese, il nostro, che dopo Genova ogni giorno si interroga sulla capacità di tenuta delle infrastrutture in cemento armato e in acciaio sottoposte all’usura del tempo, delle condizioni ambientali e all’insufficiente qualità di quanto è stato costruito nei decenni del boom economico. Infatti, secondo i dati pubblicati di recente dal Cnr, parte dei ponti costruiti in Italia tra gli Anni ’50 e ’60 ha superato il ciclo di vita utile per il quale tali infrastrutture sono state realizzate.

Il ponte ferroviario San Michele a Paderno d’Adda (foto Rfi)
Il ponte ferroviario San Michele a Paderno d’Adda (foto Rfi)

Sul totale di ponti e viadotti, solo 60 mila sono sottoposti a controllo, perché datati e malandati. In mancanza di una mappatura puntuale, le responsabilità ricadono spesso sugli amministratori locali, i quali, in via precauzionale, sospendono il transito degli automezzi. È successo – solo per citare alcuni casi – a Modica e a Benevento e, su provvedimento di Rfi, a Paderno d’Adda nella bergamasca sul ponte ferroviario in ferro di San Michele. Uno spaccato di una situazione che, dopo il crollo del ponte Morandi, desta le preoccupazioni di molti.

Ma andiamo con ordine. Partiamo dai materiali innovativi

Un caso interessante di utilizzo di nuovi materiali è rappresentato dalle attività di rinforzo strutturale dell’Halls River Bridge a Homosassa Spring in Florida.

Halls River Bridge a Homosassa Spring in Florida
Halls River Bridge a Homosassa Spring in Florida

Un ponte a cinque campate di una sessantina di metri, immerso nelle acque salmastre del fiume Halls, è oggetto di un intervento di ricostruzione delle parti strutturali grazie all’introduzione di materiali compositi (fibre di vetroresina) in sostituzione del ferro ormai deteriorato e non più affidabile.

Halls River Bridge a Homosassa Spring in Florida

Un appalto vinto da un’impresa italiana, la Astaldi Construction Corporation, su un progetto studiato dall’università di Ingegneria strutturale di Miami da un professore italiano, Antonio Nanni, che insegna nell’università americana, con materiali compositi prodotti in Italia dalla Atp di Angri e un cemento della Buzzi Unicem. Un’opera che vale 7,5 milioni di dollari, iniziata nel gennaio dello scorso anno e che terminerà nella primavera prossima. Un progetto che è diventato realtà grazie alla collaborazione tra l’università americana e il dipartimento dei Trasporti della Florida, per rendere sicuro il passaggio di migliaia di veicoli al giorno e allungare la vita utile del ponte stesso.

Messa in sicurezza ponte HALLS RIVER BRIDGE

Sul fronte dei controlli intelligenti vanno registrate alcune iniziative che vedono ancora interessate le competenze tecnico-scientifiche italiane all’estero.

Di marca italiana è infatti un’altra iniziativa targata Usa e che vede impegnato il professor Raimondo Betti, laureato nel 1985 a La Sapienza di Roma e che ora lavora alla Columbia University a un progetto pluriennale di monitoraggio dei ponti newyorkesi e di quello di Brooklyn in particolare.

Il professor Raimondo Betti nel laboratorio prove (foto Simon Grifee)
Il professor Raimondo Betti nel laboratorio prove (foto Simon Grifee)

Stiamo parlando di ponti sospesi in acciaio, di oltre cento anni di vita, esposti a condizioni ambientali difficili e quindi soggetti a deterioramento. Betti e il suo team di ingegneri stanno testando e provando sul campo dei sensori speciali per misurare l’effetto degli agenti atmosferici e inquinanti sui cavi in sospensione.

Per alcuni anni Betti ha condotto un esperimento sullo sviluppo di un sistema di monitoraggio della corrosione da applicare all’interno cavi principali dei ponti sospesi. Per testare tale sistema, un prototipo di un cavo a ponte, di 50 centimetri di diametro e composto da quasi diecimila fili zincati, è stato sottoposto a una corrosione ciclica di un anno test. Il cavo – uno dei più grandi mai costruiti al mondo – è stato racchiuso in una camera ambientale per accelerare il deterioramento, simulando decenni di usura. All’interno del cavo sono stati posizionati 76 sensori miniaturizzati, che misurano velocità di corrosione, temperatura, umidità, acidità e contenuto di cloro.

Il progetto, il primo studio sistematico mai condotto sul monitoraggio della corrosione dei cavi di sospensione, finanziato dal dipartimento dei Trasporti statunitense con  duemilioni di dollari, sarà utile per dare risposta all’esigenza di prolungare la vita dei ponti sospesi di tutto il mondo.I sensori, posizionati all’interno dei cavi d’acciaio, sono in grado di misurare le onde elastiche e anche in presenza di una minima rottura sono in grado di segnalare l’accadimento.

Il ponte Manhattan Bridge

Attualmente, i sensori posizionati sul Manhattan Bridge possono monitorare temperatura, umidità e corrosione.

Sempre sul fronte dell’innovazione si colloca lo studio che l’architetto Carlo Ratti, del Mit di Boston, sta conducendo sull’uso degli smartphone per valutare lo stato di una rete stradale o di un ponte. Si tratta di utilizzare i sensori di cui è dotato uno smartphone, che consentono di misurare gli spostamenti sui tre assi – altezza, lunghezza e profondità – e di registrare altri dati comprese le vibrazioni.

In questo modo, i ricercatori del Mit sono riusciti a mappare le buche stradali della città. Allo stesso modo è possibile raccogliere i dati sulle frequenze di vibrazione di un ponte e confrontare il loro andamento nel tempo per monitorarne le differenze. Una sperimentazione del genere è in corso sul Golden Gate Bridge di San Francisco e servirà a cogliere la qualità delle informazioni che è possibile estrarre dai dati raccolti. Non è certo un dato preciso, ma un indizio che avvisa che qualcosa non sta andando per il verso giusto.

E poi ci sono i sistemi di controllo, che si stanno facendo finalmente strada, basati sul paradigma della IoT, l’Internet of Things, che consente di innalzare l’intelligenza dei sistemi di monitoraggio e di gestione degli edifici e delle infrastrutture.

La Sysdev di Collegno è una delle società che opera in questo settore. Si tratta di una start-up, nata nel 2015 e incubata all’I3P del Politecnico di Torino, che ha ottenuto un finanziamento di 500mila euro da Adicom Group per lo sviluppo finale del prodotto e il lancio sul mercato. I sensori del sistema percepiscono i movimenti e le vibrazioni delle strutture a cui sono applicati e, grazie a trasmettitori a lunga portata, segnalano in tempo reale eventuali anomalie o criticità, a garanzia di un controllo costante. Oggi è possibile dispiegare un buon di numero di sensori grazie al loro costo accessibile e virtualizzando sul cloud l’hardware di campo.

Il ponte sullo Stura nei pressi di Torino (foto Systev)
Il ponte sullo Stura nei pressi di Torino (foto Systev)

Un’applicazione delle nuove tecnologie Sysdev è in corso sul ponte del torrente Stura (ponte che non presenta criticità; nda) lungo la strada che da Torino porta a Caselle. La società ha progettato e realizzato ShBox, una scatola nera che consente il monitoraggio strutturale continuo di infrastrutture, ponti e viadotti. ShBox utilizza una rete di sensori wireless applicati nei punti strategici della costruzione da controllare, unitamente a una piattaforma cloud per archiviare ed elaborare costantemente i dati inviati in tempo reale. Si tratta di informazioni relative a oscillazioni, cedimenti, deformazioni e inclinazioni. I sensori sono a basso costo, di dimensioni ridotte e utilizzano batterie a basso consumo, che possono durare anche una decina di anni.

In attesa che le ricerche e le sperimentazioni possano essere presto trasferite con successo alla produzione e al mercato, è possibile utilizzare nel monitoraggio e verifica di ponti e infrastrutture stradali strumenti come i droni. Si tratta di una tecnologia in rapida espansione e oggetto di innovazione tecnologica, che ha costi di intervento contenuti e tempi rapidi di esecuzione delle verifiche.

“I droni consentono l’ampliamento delle possibilità di ispezione e di rilievo delle strutture – ha spiegato Gianpaolo Rosati, docente del dipartimento di Ingegneria civile e ambientale del Politecnico di Milano, uno dei tre periti incaricati dal Tribunale di Genova per le perizie del ponte Morandi – Risolvono il problema dell’ispezione ravvicinata di zone di difficile accesso, possono ad esempio essere utilizzati per ispezioni laterali al di sotto dei giunti dei ponti, permettono di inquadrare l’opera a diverse scale, aprendo la via a strategie di indagine innovative. Il tutto garantendo la sicurezza delle maestranze che operano nei cantieri”.

In effetti l’economicità dell’impiego di droni rende il lavoro ispettivo più economico e alla portata dei comuni, anche quelli di pochi abitanti e con meno risorse. In Lombardia le infrastrutture a rischio sono più di 270, la cui sistemazione è stimata in oltre 200milioni di euro secondo un recente report della Regione.

 

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