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Il 60% dei Comuni che ha realizzato un progetto di smart city in Italia non ha usato i dati. Mancano competenze e conoscenza. Lo mette in luce la ricerca dell’Osservatorio sulle città intelligenti a cura di Andrea Ballocchi Indice degli argomenti: Smart City: si punta su sicurezza, smart mobility e illuminazione Grandi e piccole città: la disparità nel considerare la smart city Il PNRR può spingere le smart city in Italia La smart city in Italia passa anche da qui: sei Comuni su dieci tra quelli che hanno realizzato un progetto di città intelligente non ha usato i dati. Perché non ha le competenze per farlo (nel 67% dei casi), ma anche per mancanza di conoscenza (nel 38%). È un paradosso nazionale: ormai tutti sappiamo che “i dati sono il nuovo petrolio”. Eppure in uno dei casi in cui più servirebbero, per buona parte non si usano. È uno degli aspetti che emergono della ricerca dell’Osservatorio Smart City della School of Management del Politecnico di Milano, che certifica anche progressi in chiave città intelligenti: quasi un Comune su tre (28%) ha avviato un progetto di smart city negli ultimi tre anni. Una percentuale che pende favorevolmente verso i Comuni sopra i 15mila abitanti: il 50% di essi ne ha realizzato uno. Invece, solo il 18% dei Comuni sotto i 15mila abitanti lo ha fatto. In totale sono 640 progetti segnalati la metà dei quali sono esecutivi, il doppio rispetto allo scorso anno. Questa è una buona notizia. Meno buona quella sulla tempistica: la durata media di un progetto, dall’approvazione all’entrata a regime è per lo più tra 1 e 2 anni (nel 31% dei casi), mentre nel 25% dei casi ci vogliono tra 6 mesi e un anno. Tempistiche più lunghe, ovvero tra due e tre anni, lo richiede il 13% dei progetti. Nel 24% invece non sono ancora terminati. Di certo non è positivo un dato: il 64% dei Comuni non ha avviato un progetto negli ultimi tre anni. Smart city in Italia: ognuno fa da sé. Si punta su sicurezza, smart mobility e illuminazione Cos’è che ostacola l’avvio di progetti smart city in Italia? Per lo più la mancanza di competenze: nel 47% dei casi è questo il principale scoglio. Subito dopo, è la mancanza di risorse economiche (43%) a creare barriere, mentre la burocrazia è considerata il terzo ostacolo più sensibile (24%). Nelle città sotto i 15mila abitanti (ovvero la stragrande maggioranza dei Comuni italiani, se si considera che quasi il 70% di essi è inferiore ai 5mila), le barriere più sentite sono la mancanza di competenze (60%), di personale (46%) e di risorse economiche (44%). Come fare a superare questi problemi? Verrebbe da pensare: l’unione fa la forza. Non è così. Ed ecco un altro paradosso: più della metà (52%) dei progetti negli ultimi tre anni sono stati avviati in modo indipendente. Solo l’8% dei progetti sono frutto di un programma coordinato tra più Comuni. Per quanto riguarda gli ambiti applicativi in cui sono stati avviati i progetti smart city, nell’ultimo triennio (2019-2021) ci sono sostanziali novità rispetto al triennio 2018-2020. La sicurezza diventa il primo concetto chiave: il 70% la riguarda. La vera novità è la smart mobility: nel triennio precedente non compariva, oggi è al secondo posto con il 68%, mentre al terzo c’è l’illuminazione 65%. “Dati is new oil”, ma nelle città italiane sono poco conosciuti I dati sono fondamentali per le smart city. Dalla loro raccolta e analisi è possibile ottenere informazioni per ricavarne servizi mirati. Peccato che nella PA non vengano utilizzati nel 40% dei casi per realizzare progetti per la città intelligente. Mancanza di competenze e mancanza di comprensione del valore dei dati sono i principali motivi di questa situazione contradditoria. Non si ha la percezione di valorizzare i dati. Nel 60% dei casi in cui invece vengono impiegati, per la maggior parte (57%) avviene per finalità interne, oppure sono raccolti e usati per politiche pubbliche (46% ) e per servizi ai cittadini (40%). Grandi e piccole città: la disparità nel considerare la smart city Secondo quanto emerge dalla ricerca, appare forte l’interesse per i progetti smart city in Italia, ma la percezione cambia molto a seconda delle dimensioni della città. Nel caso di realtà oltre i 15mila abitanti, il tema viene reputato molto rilevante; la percentuale si dimezza 40% – nel caso di Comuni sotto i 15mila. La differenza tra piccole e grandi città si comprende anche nella presenza di figure specializzate, come un referente smart city: il 72% delle città più grandi ce l’ha, mentre nei piccoli Comuni solo il 31% dispone di questa figura. Il PNRR può spingere le smart city in Italia Il Piano nazionale di ripresa e resilienza può costituire un volano per lo sviluppo di progetti smart city in Italia. Ci crede buona parte delle amministrazioni: il 69% si è detta pronta a ricorrere ai fondi, investendo in primis in interventi di digitalizzazione e innovazione e di rivoluzione verde e transizione ecologica. Come illustra la ricerca, la stima dei finanziamenti dedicati alle città intelligenti supera i 10 miliardi di euro. Questi fondi sono distribuiti su diverse missioni che compongono il PNRR, perché gli interventi che rientrano nella sfera di influenza delle città intelligenti coprono numerose delle dimensioni trattate. Come si intendono impiegare i fondi? O, meglio, quali sono gli obiettivi dei Comuni italiani per investire i fondi PNRR? La prima voce è legata alla digitalizzazione (76%), seguita dalle infrastrutture sostenibili (61%), transizione ecologica (56%), inclusione e coesione (42%). Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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