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Un progetto nato negli Stati Uniti ma destinato ad essere realizzato in Italia: questa la chiave di lettura per comprendere a fondo il complesso iter progettuale del nuovo Stadio della Roma. Presentato a Catania, in occasione del convegno dedicato all’esperienza professionale di Kim Groves, project manager proprio dell’infrastruttura sportiva che sorgerà nella Capitale, è stata l’opportunità per ricordare come sia fondamentale recuperare la dimensione della responsabilità dei progettisti e delle istituzioni. Un excursus professionale, quello della Groves, che parte dalla California e qui si sviluppa con le esperienze progettuali presso lo studio Morphosis: vent’anni di lavoro su progetti innovativi come l’Emerson College Los Angeles Center e il Palazzo di Giustizia Wayne L. Morse Courthouse a Eugene, nello Stato dell’Oregon: due opere che le hanno consentito di sperimentare una filosofia architettonica che oggi sta alla base anche del progetto romano: l’integrazione tra l’idea della committenza e le specifiche funzionalità richieste negli edifici pubblici. «Il costo di realizzazione dello Stadio è stimato in circa 400 milioni di euro – ha spiegato la Groves – e 55mila saranno i posti a sedere. Si tratta di un progetto innovativo che ha richiesto una costante interlocuzione con tutti gli attori coinvolti. Il mio compito è quello di coniugare l’idea progettuale del committente americano, che possiede una visione dell’impianto sportivo molto diversa da quella che ritroviamo in Italia, con i vincoli normativi dettati dalle esigenze di ordine pubblico». Le relazioni sono state moderate da Maurizio Spina, docente dell’Università di Catania, che ha scandito gli interventi con spunti di riflessione sulla funzione sociale dell’architettura. Gli aspetti dell’adeguamento del progetto di Roma alle norme italiane sono stati illustrati da Giuseppe Amaro dello studio Gae Engineering di Torino: «In casi come questo bisogna tenere presente che il progettista internazionale mantiene un’impostazione di tipo prestazionale dell’opera, rispetto all’approccio italiano che è invece di tipo prescrittivo. In Italia abbiamo il problema dell’ordine pubblico legato alla questione ultras: dimensione delle uscite, posti di controllo, percorsi di accesso e deflusso del pubblico, sono tutti aspetti che vincolano molto il concept architettonico di un progetto». «I nostri impianti sportivi hanno molte barriere – hanno spiegato Stefano De Cerchio e Manuela Fantini di Sce Project di Milano, che si è occupata della progettazione delle strutture – quindi, dovendo sposare l’idea originale del committente di uno stadio senza barriere, abbiamo dovuto trovare il giusto compromesso con le esigenze italiane di ordine pubblico. Siamo riusciti, grazie all’ingegnerizzazione del concept architettonico a rendere meno impattante l’esistenza dell’accrescimento delle misure di protezione e prevenzione». Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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