La qualità in edilizia per far ripartire il Paese

La qualità in edilizia per far ripartire il Paese

Il concetto di qualità è un motore competitivo per differenziare l’offerta rispetto a quanto espresso sul piano dei costi dalle economie emergenti.
E’ importante chiedersi se rispetto ad altre realtà, e in particolare agli altri grandi paesi europei, la filiera pianificazione-progettazione-costruzione in Italia sia in grado di garantire la qualità richiesta dalla competizione attuale.

La qualità nell’attuale contesto

Il recente boom edilizio italiano, al quale è seguita la peggior crisi dal secondo dopoguerra, è stato caratterizzato dalla crescita dell’edilizia “intensiva”: palazzine ma soprattutto grandi fabbricati residenziali, un po’ come negli anni cinquanta e sessanta. Dal punto di vista dei prodotti e dei materiali, l’innovazione tecnologica ha permesso importanti miglioramenti qualitativi, ma lo stesso non si può dire, purtroppo, dei processi di progettazione e realizzazione edilizia, che nel complesso non sono riusciti a spiccare il salto di qualità. La forte domanda che rendeva qualsiasi prodotto appetibile non ha contribuito a fare della fase espansiva del sesto ciclo edilizio del paese, che va dal 1996 al 2006, un periodo di incremento della qualità nel settore delle costruzioni. Per alcuni osservatori si sono addirittura fatti passi indietro rispetto al passato.

Secondo l’indagine realizzata dal Cresme su 1000 famiglie un 16% evidenzia condizioni di “cattiva qualità”.

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Nell’attuale “critico” contesto che caratterizza il sistema delle costruzioni la definizione di qualità edilizia, già intrinsecamente più complicata rispetto a quella industriale, è diventata ancora più complessa e multidimensionale per via di alcuni fattori intervenuti negli ultimi anni. Si è verificata una forte espansione “quantitativa” della gamma di prodotti disponibili per ogni destinazione d’uso (differenziazione di prodotti e materiali edilizi), mentre parallelamente crisi economica, evoluzione tecnologica e globalizzazione hanno generato nuovi problemi e nuove opportunità. E’ aumentato il numero degli aspetti di cui bisogna tener conto nel valutare la qualità edilizia, rendendo insufficienti le tradizionali certificazioni del sistema di gestione (come la molto diffusa ISO 9001): i certificatori ci dicono che oggi il semplice sistema di gestione della qualità non è più sufficiente al mercato, e bisogna invece andare verso un approccio integrato, cioè verso un’integrazione tra norme di sistema, requisiti energetici, sostenibilità sociale ed ambientale, vivibilità e comfort.

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L’importanza della certificazione

Uno strumento fondamentale di garanzia per consumatori e imprese è rappresentato dalla certificazione. Per i consumatori, la certificazione serve a poter valutare la qualità dei prodotti offerti sul mercato. Per le imprese che operano con standard qualitativi elevati, la certificazione serve per segnalare al cliente la virtuosità dei propri prodotti e dei propri processi produttivi, in modo da non subire forme di dumping da parte di imprese che abbassano i costi tagliando sulla qualità.

A livello mondiale, il settore costruzioni detiene l’11% delle certificazioni dei sistemi di gestione della qualità e il 16% delle certificazioni dei sistemi di gestione ambientale, risultando così il secondo comparto economico per numero di ISO 9001 ottenute e il primo per ISO 14001. Il settore che detiene il maggior numero di ISO 9001 è quello metallurgico, seguito appunto dalle costruzioni e dalla realizzazione di impianti elettrici e fibre ottiche. Per quanto riguarda le ISO 14001, dopo le costruzioni i settore più certificati sono quelli degli impianti elettrici e fibre ottiche e il metallurgico.

Per quanto riguarda il nostro Paese i dati relativi al settore costruzioni rivelano una dinamica di forte crescita. Le certificazioni dei sistemi di gestione ottenute da imprese italiane del settore costruzioni sono passate dalle 2.309 del 1999 alle 29.955 di gennaio 2012. Si tratta per il 93% di certificazioni ISO 9001 (sistemi di gestione della qualità), mentre il restante 7% è diviso tra ISO 14001 (gestione ambientale, 4,2%), BS OHSAS 18001 (salute e sicurezza sul lavoro, 2,8%) e altri (0,3%). In termini di numerosità totale, il 47% delle certificazioni è detenuto da imprese di servizi, il 34% da imprese industriali in senso stretto, il 19% da imprese di costruzioni e lo 0,4% da imprese agricole o ittiche. L’”intensità di certificazione” del settore costruzioni è di 3,3 certificati ogni 100 imprese, leggermente superiore alla media di tutta l’economia (2,8), ma nettamente inferiore rispetto all’industria in senso stretto, che presenta 8,3 certificazioni ogni 100 imprese.

Garantire le prestazioni

Punto nodale del sistema di misurazione della qualità nel nostro Paese è  il passaggio da certificazioni ed auto-dichiarazioni basate su adempimenti formali a certificazioni basate sulle prestazioni dei prodotti finali ed eseguite da enti terzi, totalmente indipendenti anche rispetto alla progettazione e all’esecuzione dei lavori. A ciò va aggiunto un sistema di controlli efficaci e credibili così da instaurare un grado di fiducia sufficiente a permettere al sistema di certificazioni di svolgere il suo importante ruolo.

E del resto l’orientamento del sistema di certificazione verso obiettivi prestazionali piuttosto che verso i processi produttivi o i prodotti emerge con evidenza dall’indagine del Cresme, dove la maggior parte degli intervistati (famiglie, operatori e certificatori)  ha dichiarato di essere favorevole ad un processo che porti a spostare almeno in parte il focus delle certificazioni dai processi produttivi ai risultati prestazionali.

 

Schema 2. Certificazione del prodotto, certificazione dei processi produttivi, certificazione prestazionale;Quanto è d’accordo con ognuna delle seguenti affermazioni? (%)
Molto d’accordo Abbastanza d’accordo Poco d’accordo Per nulla d’accordo
“Sono tutte e tre necessarie allo stesso modo.” 35,6 45,9 15,3 3,2
“Bisogna passare dalla certificazione dei processi produttivi a quella prestazionale: dare importanza ai risultati.” 41,9 41,2 13,7 2,9
“La certificazione prestazionale potrebbe sostituire quella di prodotto e dei sistemi produttivi” 15,9 31,4 38,6 14,0
“La certificazione prestazionale difficilmente può funzionare: bisogna puntare sulle certificazioni di prodotto e dei processi produttivi” 8,7 23,1 53,4 14,8
“Nessuna delle tre è realmente credibile” 5,7 17,8 36,4 40,2

Fonte: indagine CRESME per Federcostruzioni su progettisti, impiantisti e membri dei CPT

L’efficacia del modello tedesco

Tutti gli osservatori sono concordi nel sostenere che in Germania l’elevato livello qualitativo del mercato deriva, oltre che da fattori storici e culturali, proprio dalle caratteristiche del sistema di controllo della qualità. E la regola è semplice: i controlli, sono (1) basati sulla misurazione delle performance, non solo sulle procedure formali; e sono (2) caratterizzati da grande rigore e severità. I controlli sono veri per tutti e puntano al contenuto, piuttosto che alla procedura formale.  Inoltre la responsabilizzazione del costruttore è assicurata dal fatto che le norme statali e locali sono integrate da altre “regole tecniche generalmente accettate” (Allgemein anerkannte Regeln der Technic – AaRdT). Queste norme, pur non facendo parte del corpo legale ufficiale, sono riconosciute dalle leggi ufficiali (ad esempio quelle sui contratti e sugli appalti) e possono fungere da riferimento in caso di controversie legali derivanti da problemi nelle costruzioni. Molto spesso si tratta di linee-guida formulate dalle associazioni di categoria. Più in generale, si tratta di riferimenti allo “stato dell’arte” del costruire.

Le criticità del sistema italiano e come superarle

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Le proposte dei certificatori per aumentare il livello qualitativo dell’edilizia italiana

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La qualità degli investimenti in infrastrutture in Italia

L’indicatore di dotazione infrastrutturale dell’Istituto Tagliacarne (un indicatore prevalentemente quantitativo, che però include anche alcuni aspetti qualitativi nel suo calcolo)  posiziona l’Italia a metà classifica tra i paesi dell’Europa Occidentale, ben staccati da Belgio, Olanda e da Germania, regno Unito e Francia.

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Ma è sul piano qualitativo e più precisamente rispetto ai tempi e ai costi di realizzazione delle opere, alla trasparenza dei bandi di gara, alla frequenza delle ricontrattazioni dei contratti dopo le aggiudicazioni, al numero dei contenziosi aperti, che il nostro Paese  manifesta il vero ritardo rispetto all’Europa continentale.

In particolare, i costi unitari di realizzazione delle infrastrutture, nei casi in cui sono stati misurati e confrontati, risultano in Italia ben più alti che negli altri paesi europei. In Italia costruire un Km. di autostrada costa il doppio che in Spagna, mentre costruire un Km. di TAV costa il triplo che in Francia e in Spagna[1]. I tempi di costruzione delle opere pubbliche sono più lunghi, e la maggior parte del tempo è perso nei cosiddetti “tempi di attraversamento”, che sono i tempi morti di passaggio da una fase all’altra dell’operazione[2]. In particolare, secondo i dati raccolti dall’UVER (Unità di verifica degli investimenti pubblici), in Italia i “tempi di attraversamento” pesano in media per il 36% sui complessivi tempi di attuazione delle opere pubbliche; tale peso sale al 57% se si considerano solo le fasi su cui i tempi di attraversamento incidono effettivamente (progettazione e affidamento). Una cosi forte incidenza dei tempi di attraversamento si configura come una sorta di “patologia”, che provoca un forte allungamento dei tempi di realizzazione. Nel modello infrastrutturale italiano  “i tempi di attraversamento burocratico” sono la patologia.

Non si utilizzano metodi appropriati di analisi costi-benefici degli investimenti pubblici, non c’è sufficiente programmazione, e il settore autorizzativo e progettuale italiano sembra condizionato da una forte “rendita di procedura” che penalizza la qualità dei processi e l’operatività economica. In sintesi, c’è un forte problema di qualità dell’investimento pubblico in infrastrutture.

La qualità al centro del nuovo ciclo edilizio

Il perseguimento di un maggiore livello qualitativo rappresenta per il settore costruzioni italiano, sia nell’ambito del settore privato sia nel pubblico, una sfida difficile, soprattutto per via della necessità di cambiare alcuni modelli di comportamento, tipici delle fasi di espansione urbana, ormai piuttosto radicati sia dal lato della domanda sia da quello dell’offerta. Tuttavia, un’evoluzione positiva potrebbe consentire l’apertura di un nuovo ciclo edilizio, basato su un assetto più sostenibile del settore e su un maggiore livello qualitativo, in grado di generare spill-over positivi sull’economia e sulla società italiana.

[1] Dato diffuso dall’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (AVCP)

[2] Lo dice il rapporto dell’UVER (2010) “I tempi di attuazione delle opere pubbliche”

Fonte FEDERCOSTRUZIONI

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