Audizione Ance sulla Legge di Stabilità 2015

Audizione Ance sulla Legge di Stabilità 2015

Il Disegno di Legge di Stabilità per il 2015 (Atto n. 2679/C), prevede una manovra di finanza pubblica orientata, nelle dichiarazioni del Governo, alla crescita economica.
Positive le scelte operate relativamente alla sensibile riduzione dei carichi fiscali e contributivi delle imprese e alla proroga degli incentivi fiscali per le ristrutturazioni edilizie e degli Ecobonus.
Si tratta di una manovra innovativa sul piano della riduzione della pressione fiscale ma che, sul piano della crescita, rimane sostanzialmente legata alla logica di austerità europea.

I numeri degli investimenti pubblici,  -11% nel 2015,  -8,8% nel 2016,  +0,6% nel 2017, parlano chiaro, la politica economica non trova negli investimenti in infrastrutture un fattore di rilancio dell’economia.
Gli stessi investimenti dichiarati improrogabili e necessari, la tutela del territorio contro il dissesto idrogeologico, le scuole, le politiche delle aree urbane, ebbene anche questi sono confinati all’interno di un patto di stabilità, evidentemente, miope e improntato ancora alla visione europea del rigore.
Nel processo di valutazione dei documenti programmatici di bilancio per il 2015, infatti, la Commissione europea ha imposto una correzione all’entità della manovra, riportando l’indebitamento netto al livello del 2,6%, anche al fine di assicurare il percorso di avvicinamento all’obiettivo di bilancio a medio termine.
A seguito di tali rilievi, il Governo ha deciso di ridurre di 3,3 miliardi l’effetto dell’abbassamento della pressione fiscale, estendere il regime di Reverse Charge al commercio per 0,73 miliardi e, infine, cancellare l’allentamento del Patto di Stabilità delle Regioni per le risorse destinate al cofinanziamento dei Fondi Strutturali europei (0,5 miliardi).

Quest’ultima misura, che estende i suoi effetti anche sull’equivalente parte di risorse comunitarie per un importo complessivo di 1,5 miliardi di euro, aggrava il quadro di una manovra priva  di misure volte al rilancio degli investimenti pubblici.
La necessità di rilanciare gli investimenti infrastrutturali è una esigenza comune e condivisa anche dalle Associazioni di categoria di Francia e Germania che, insieme all’Ance, hanno rivolto un appello al Parlamento Europeo per sfruttare al meglio la flessibilità offerta dal Patto di Stabilità, distinguendo le spese per infrastrutture e per la messa in sicurezza del territorio.

Una flessibilità che sarebbe necessaria anche per risolvere la questione dei ritardati pagamenti della Pubblica Amministrazione. E’ inaccettabile che la manovra non contenga norme per i pagamenti in conto capitale, penalizzando in particolare il settore delle costruzioni, escluso, fino ad oggi,  dalle misure messe in campo per gli altri settori.

Sintesi

  • L’analisi delle Tabelle allegate al Ddl di Stabilità evidenzia una riduzione degli stanziamenti nel 2015 per nuove infrastrutture di circa l’11% in termini reali rispetto al 2014, pari a circa 1,4 miliardi di euro in meno. Dal 2008 ad oggi, le risorse disponibili per opere pubbliche risultano diminuite del 45%.
  • Nel triennio 2015-2017 sono previste risorse aggiuntive per 7,4 miliardi di euro (che arrivano a 20,5 miliardi di euro negli anni successivi). Questo aumento di risorse, però, risulterà annullato dalla riduzione, già prevista a legislazione vigente, degli stanziamenti inscritti nello stesso triennio. Complessivamente, quindi,  nel 2016 si assisterà ad un’ulteriore riduzione dell’8,8% in termini reali e, nel 2017, a un lieve aumento (+0,6% in termini reali rispetto al 2016). L’andamento  delle risorse per nuove infrastrutture nel bilancio dello Stato per il 2015 non appare in linea con la proposta, contenuta nell’Allegato infrastrutture al DEF di aprile 2014, di destinare annualmente risorse aggiuntive nell’ordine dello 0,3% del Pil, pari a circa 4,7 miliardi, da iscrivere in un Fondo Unico Infrastrutture per realizzare opere grandi, medie e piccole.
  • Inoltre, nel DDL non sono previsti finanziamenti per alcuni programmi di opere diffuse sul territorio, come le opere segnalate dai Comuni e il Piano dei 6.000 campanili, che, secondo le indicazioni del  Ministero delle Infrastrutture sarebbero dovute diventare strutturali e, quindi, essere finanziate annualmente nell’ambito della Legge di Stabilità.
  • Preoccupazione desta la riduzione di 3,5 miliardi delle risorse del Piano di azione e coesione, per coprire l’azzeramento dei contributi sui nuovi assunti a tempo indeterminato. Si tratta di una scelta che, sulla base delle priorità del Piano, rischia di penalizzare prevalentemente interventi infrastrutturali.
  • La manovra contiene una revisione del funzionamento del Patto di stabilità interno, sia delle Regioni, sia degli Enti locali. Con riferimento agli Enti locali, l’effetto delle modifiche introdotte determinerà un allentamento del Patto per 1 miliardo di euro che, nelle intenzioni del Governo, dovrebbe privilegiare la parte della spesa destinata agli investimenti, dal momento che la stessa manovra prevede una contrazione di 1,2 miliardi della spesa corrente degli enti locali. Tuttavia, occorrerà vigilare affinché tale allentamento sia circoscritto alla spese in conto capitale, analogamente a quanto previsto per il 2014, anno in cui tale misura ha contribuito a riavviare gli investimenti degli enti locali, come dimostrato dall’incremento, in termini di valore e di numero, dei bandi di gara pubblicati nei primi nove mesi del 2014.
  • Se l’allentamento non verrà vincolato alle sole spese in conto capitale, il quadro complessivo degli investimenti di Comuni e Province risulterà peggiorato rispetto al 2014.
  • In merito alla riforma del Patto di Stabilità delle Regioni, al momento non è possibile stimare l’effetto di tale revisione, sebbene il Governo ne indichi la neutralità  sui  saldi di finanza pubblica.
  • Il DDL non prevede alcun nuovo stanziamento per il pagamento dei debiti di parte capitale della Pubblica Amministrazione. Secondo le stime dell’Ance, 3-4 miliardi di euro di debiti arretrati di parte capitale a fine 2013 rimangono ancora senza una soluzione. A questi debiti, si aggiungono poi i ritardi di pagamento di spese in conto capitale accumulati nei primi 10 mesi del 2014, per un totale complessivo stimato da Ance di circa 10 miliardi di euro. L’Ance ritiene necessario e doveroso trovare una soluzione alla questione dei ritardati pagamenti e a tale scopo richiede di intervenire attraverso un consistente allentamento del Patto di stabilità interno degli enti locali e delle Regioni per completare il piano di pagamento dei debiti arretrati, la modifica dei termini di perenzione degli investimenti in conto capitale e l’introduzione di un limite temporale massimo per l’emissione degli Stati di Avanzamento Lavori. Appare, inoltre, assolutamente necessario prevedere un meccanismo che agevoli lo smobilizzo dei crediti di parte capitale nei confronti del sistema bancario analogamente a quanto fatto per i debiti di parte corrente. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di intervenire sulla rimozione dei vincoli alla cessione dei crediti per i lavori pubblici previsti dal Codice dei Contratti pubblici.
  • In linea generale, la manovra contiene alcune misure fiscali certamente apprezzabili, quali la proroga degli incentivi alla ristrutturazione ed alla riqualificazione energetica e la piena neutralizzazione del costo del lavoro dalla base imponibile IRAP. Tuttavia, il medesimo provvedimento trascura la specificità del settore delle costruzioni, laddove introduce disposizioni fiscali che, seppur dirette al condivisibile obiettivo di contrasto all’evasione, finiscono con l’incidere negativamente sulla liquidità delle imprese “regolari”, rischiando di comprometterne definitivamente l’attività già colpita dalla grave situazione congiunturale e dalla stretta creditizia.
  • In tal senso, va letto il raddoppio, dal 4% all’8%, della ritenuta sui bonifici di pagamento delle spese agevolate con le detrazioni per il recupero e la riqualificazione degli edifici, operata dalle Banche a titolo di acconto delle imposte sul reddito dovute dalle imprese esecutrici degli interventi. Si tratta di una misura che ha come unico effetto quello di ridurre la liquidità delle imprese, senza migliorare in alcun modo l’efficacia dello strumento di contrasto all’evasione. Questo, infatti, è già assicurato, sia dalla necessaria tracciabilità dei pagamenti dei corrispettivi (con l’obbligatorio utilizzo del bonifico appositamente predisposto per le agevolazioni), sia dalla natura stessa delle detrazioni che, attraverso il meccanismo del “contrasto di interessi”, già garantisce di per sé l’emersione di base imponibile. Per questo non può che chiedersi un completo ripensamento della misura, anche in considerazione del fatto che la percentuale dell’8% supera la redditività dell’intervento per l’impresa esecutrice.
  • Alle medesime conclusioni si deve giungere relativamente all’estensione del meccanismo del “reverse charge” ad alcuni servizi relativi agli immobili che, già utilizzato nel subappalto edile, viene esteso anche alle prestazioni di servizi di pulizia, demolizione, installazione di impianti e completamento degli edifici (rese in appalto e in subappalto). L’estensione del meccanismo dell’inversione contabile a fattispecie diverse dai subappalti edili è, in linea di principio, uno strumento efficace di contrasto all’evasione fiscale, tuttavia, crea rilevanti problemi gestionali negli adempimenti amministrativi, soprattutto per i lavori di completamento degli edifici, che di norma sono compresi nei più ampi progetti di costruzione o ristrutturazione immobiliare e da questi difficilmente scindibili.
  • Ancor più critico, poi, è l’aspetto relativo ai crediti IVA che, già rilevanti per le imprese del settore, verrebbero incrementati ulteriormente con l’estensione del meccanismo dell’inversione contabile.
  • Lo stesso problema si pone anche relativamente all’introduzione dello “split payment”, meccanismo analogo al “reverse charge” nell’ambito dei lavori pubblici. Anche in tal caso, i vantaggi in trasparenza del versamento dell’IVA direttamente all’Erario non tengono conto dei profili critici di liquidità che vengono a crearsi in conseguenza dell’immediato recupero dell’IVA, corrisposta per l’acquisto di beni e servizi da imprese.
  • Preoccupa, inoltre, l’inserimento della disposizione che prevede la possibilità di aumentare, a decorrere dal 1° gennaio 2016, sia l’aliquota IVA ridotta del 10% che quella ordinaria del 22%. Una simile decisione è una scelta miope che non tiene conto degli effetti sul mercato e della forte contrazione dei consumi che è in grado di generare, specie in un contesto di forte recessione economica. L’innalzamento dell’aliquota ridotta del 10% colpirebbe il mercato immobiliare, ad esempio delle “seconde case”, comprimendo ancor di più le attività di un comparto già fortemente in crisi e, tra l’altro, si ripercuoterebbe sugli stessi Enti pubblici, provocando, per questi, un incremento dei “costi fiscali” connessi alla realizzazione di opere pubbliche.
  • Infine, il provvedimento andrebbe integrato con misure di più ampio respiro, che l’ANCE ritiene essenziali per riattivare i processi di riqualificazione urbana, di cui è evidente la necessità su tutto il territorio nazionale.
  • In tal senso, occorre ripristinare i regimi agevolativi applicabili ai trasferimenti di immobili diretti all’attuazione dei programmi di edilizia residenziale (cd. “1%”), venuti meno dal 1° gennaio 2014. L’eliminazione delle discipline fiscali agevolate ha determinato un sostanziale blocco dei processi di rinnovo urbano, ostacolati da un prelievo fiscale “espropriativo” già nella fase di acquisizione degli immobili (aree e fabbricati) da riqualificare (imposta di registro al 9%).
  • In tal ambito, in un’ottica di medio-lungo periodo, occorre introdurre provvedimenti che facilitino anche fiscalmente i processi di sostituzione edilizia (ad esempio, permuta del “vecchio” edificio con il “nuovo”), che rappresenta il futuro del mercato immobiliare, favorendo così la qualità dell’abitare ed il risparmio energetico.
  • In tema di incentivi per lo sviluppo del settore, inoltre, si esprime apprezzamento per la disposizione contenuta del “decreto Sblocca-Italia” che introduce incentivi per l’acquisto di abitazioni in classe energetica elevata, da destinare alla locazione a canoni ridotti. Tuttavia, le modifiche introdotte dal Parlamento, che limitano l’operatività del beneficio all’acquisto di abitazioni già ultimate, compromette l’effetto propulsivo dell’incentivo, assicurato dalla formulazione originaria che invece ne ammetteva l’applicazione anche all’acquisto di abitazioni da ultimare o costruire nel corso del quadriennio agevolato. Un’ultima considerazione va fatta, inoltre, sul processo di revisione della fiscalità immobiliare che, nelle prime intenzioni del Governo, avrebbe dovuto trovare spazio nell’ambito del Disegno di legge in esame, ma che presumibilmente sarà oggetto di un imminente provvedimento ad hoc. Su questo tema, l’ANCE ritiene indispensabile avviare un confronto con tutti gli attori coinvolti, affinché si giunga, in modo concertato, ad un sistema di tassazione immobiliare unico, semplificato e stabile nel tempo, con ovvia esclusione dell’ “invenduto” delle imprese edili.
  • Con riferimento alle disposizioni introdotte in materia di lavoro, si condivide l’intento del Legislatore di voler intervenire per incentivare le nuove assunzioni a tempo indeterminato, riducendo gli oneri contributivi per le imprese, pur ritenendo indispensabile un intervento strutturale per la riduzione del costo del lavoro.
  • In merito, poi, allo stanziamento di ulteriori risorse economiche, per far fronte, in particolar modo, agli oneri derivanti dall’attuazione della riforma degli ammortizzatori sociali, fermo restando che ad oggi non si conoscono i relativi criteri applicativi, si ritiene che l’importo stanziato possa risultare non sufficiente a perseguire tutte le finalità ivi richiamate.
  • Per quanto concerne poi la possibilità del conferimento diretto del trattamento di fine rapporto in busta paga, si ravvisano criticità in ordine alle difficoltà che potrebbero incontrare, in particolar modo, le pmi nel dover anticipare tale prestazione, nonché al possibile indebolimento del sistema della previdenza complementare.
  • Infine, la riduzione delle risorse per le politiche del lavoro ed, in particolare, del Fondo per la decontribuzione dei premi di produttività e dei Fondi interprofessionali per la formazione continua, evidenzia le medesime criticità già rilevate nell’ambito del Decreto c.d. “Sblocca Italia”, in quanto le disposizioni richiamate, se confermate, andrebbero a limitare l’attuazione e le iniziative intraprese per favorire la ripresa occupazionale.

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