Ance: -7,6% per gli investimenti in edilizia, persi 360.000 posti di lavoro

Ance: -7,6% per gli investimenti in edilizia, persi 360.000 posti di lavoro

E’ stato presentato ieri l’Osservatorio Congiunturale sull’Industria delle Costruzioni curato dalla Direzione Affari Economici e Centro Studi dell’Ance.
Lo studio presentato dal Presidente dell’Ance Paolo Buzzetti e dal Vice Direttore Generale e Direttore del Centro Studi Ance Antonio Gennari fa il punto sulla situazione di crisi del settore e sulle prospettive che si profilano. Analizza inoltre il mercato immobiliare, del credito, dei ritardati pagamenti e sugli effetti delle recenti disposizioni normative in materia di finanza pubblica.
Nell’incontro sono state illustrate le proposte per il rilancio del settore e per sostenere lo sviluppo del paese.

Investimenti in picchiata
Nel 2012 gli investimenti in costruzioni secondo l’Ance, registrano una flessione del 7,6% in termini reali che risulta più sostenuta di quella rilevata nel 2011 (-5,3%) e peggiorativa rispetto alla stima rilasciata nel giugno scorso (-6,0%). Il dato più rilevante è che l’entità della caduta degli investimenti è simile a quella registrata nel 2009, ossia all’inizio della crisi, all’indomani del crack Lehman Brothers. Ci troviamo quindi di fronte a una “ricaduta del malato” che dimostra che le politiche adottate finora non hanno sortito effetti positivi.

 Ance: -7,6% per gli investimenti in edilizia, persi 360.000 posti di lavoro

Anche il prossimo anno continuerà a essere negativo. Nel 2013 proseguirà la fase di caduta con una riduzione degli investimenti in costruzioni del 3,8% in termini reali rispetto al 2012.
Tali risultati sono effetto dell’aggravarsi dello scenario economico e dell’allungamento dei tempi necessari per l’avvio di alcuni provvedimenti contenuti nel Dl sviluppo e dei programmi infrastrutturali approvati a livello nazionale e locale.
Alcuni dei provvedimenti di incentivazione del mercato delle costruzioni contenuti nel Dl sviluppo, infatti, hanno dimostrato di avere bisogno di tempi più lunghi per l’avvio e di un quadro di risorse certo. L’entità delle proposte inviate dai Comuni nell’ambito del Piano città (430 progetti per un valore complessivo di 18,5 miliardi) conferma la necessità e l’urgenza di avviare un tale Piano ma a fronte dei 224 milioni di euro stanziati dal Dl Sviluppo si stanno cercando adeguate risorse tra pubbliche e private per poter dare cantierabilità ad un maggiore numero di iniziative.
Il DDl stabilità nonostante registri, finalmente, un aumento di risorse per nuove infrastrutture (+19,6% in termini reali rispetto al 2012, pari a 2,4 miliardi di euro aggiuntivi), imprime l’ennesimo irrigidimento del Patto di stabilità interno per un importo pari a 2,2 miliardi di euro, portando il valore complessivo della stretta a 7,8 miliardi di euro nel 2013.
Più in generale, negli ultimi anni, tutte le manovre correttive adottate hanno agito esclusivamente sulla componente in conto capitale della spesa, quella più facilmente comprimibile nel breve periodo per assicurare la correzione dei saldi di finanza pubblica.
Lo dimostra l’analisi dei bilanci annuali dello Stato che, dal 2008 ad oggi, segnano una riduzione del 44% delle risorse per nuove infrastrutture, a fronte di una contrazione molto più contenuta delle spese correnti al netto degli interessi (-1,5%).
Tali scelte di bilancio sono evidenti nell’andamento della spesa pubblica.
Dal 2009 al 2011, infatti, la spesa in conto capitale ha subito una riduzione del 28,4%, mentre quella corrente ha continuato a crescere registrando un aumento dell’1,8%.
Sull’andamento delle spese in conto capitale degli ultimi anni ha, inoltre, influito il forte irrigidimento del Patto di stabilità interno.
Per rispettare il Patto di stabilità interno, gli enti locali hanno agito quasi esclusivamente sulla spesa in conto capitale: nel periodo 2004-2010, ad esempio, a fronte di un obiettivo di riduzione di spesa del 6%, i comuni hanno ridotto del 32% le spese in conto capitale, e aumentato del 5% le spese correnti.
Una politica di rigore non neutra perché penalizza il settore delle costruzioni.

In Europa, alcuni paesi stanno sperimentando mirate politiche economiche settoriali che stanno determinando una crescita degli investimenti in costruzioni.
In particolare, in Francia, nel 2012, per il secondo anno consecutivo, crescono gli investimenti in abitazioni per effetto dell’efficacia di alcune misure volte a sostenere il comparto residenziale, quali il dispositivo “Scellier” (riconfermato, seppur ridimensionato, per i prossimi quattro anni). Tramite questo dispositivo gli investitori privati sono stati incentivati ad impiegare le loro risorse nella costruzione di alloggi destinati alla locazione, mentre con lo strumento del Prestito a Tasso Zero (c.d. “PTZ”) lo Stato ha aiutato le categorie meno abbienti a costruire e acquistare la prima casa. Anche in Germania, prosegue la crescita degli investimenti in abitazioni, strettamente collegata ad incentivi rivolti al mercato residenziale ed in particolare ai lavori di manutenzione e riqualificazione energetica degli edifici.
In Italia, invece, le poche misure adottate hanno un orizzonte di breve periodo. Pensiamo, ad esempio, all’incentivo del 55% per la riqualificazione energetica, uno dei provvedimenti che ha avuto i maggiori riscontri positivi sul mercato e per il quale è prevista la scadenza a giugno 2013.

Quello che sta accadendo al settore dell’edilizia italiano è fortemente preoccupante. In sei anni, dal 2008 al 2013, il settore avrà perso circa il 30% degli investimenti e si colloca sui livelli di attività più bassi degli ultimi 40 anni.
Soffrono tutti i comparti: dalla produzione di nuove abitazioni che in sei anni avrà perso il 54,2% all’edilizia non residenziale privata che segna una riduzione del 31,6%, alle opere pubbliche che registrano un caduta del 42,9%. La riqualificazione del patrimonio abitativo esistente è l’unico comparto che sembra mostrare una tenuta nei livelli produttivi (+12,6% negli ultimi sei anni).

Ance: -7,6% per gli investimenti in edilizia, persi 360.000 posti di lavoro

Occupazione: persi 360.000 posti di lavoro
Un dato preoccupante sotto il profilo sociale è il numero di lavoratori che sono rimasti a casa dall’inizio della crisi. Solo nel settore delle costruzioni si parla di 360.000 posti di lavoro persi.
Un dramma che si consuma nel silenzio e che è paragonabile a 72 Ilva Taranto, 450 Alcoa o 277 Termini Imerese. Considerando anche i settori collegati, emerge con tutta evidenza il rischio sociale a cui stiamo andando incontro, infatti, la perdita occupazionale complessiva raggiunge circa 550.000 unità.

Anche il mercato immobiliare sta vivendo un momento molto negativo: le abitazioni compravendute registrano nei primi nove mesi del 2012 una significativa diminuzione tendenziale del 23,9%. Alla base di questo calo vi sono molti fattori: l’estrema incertezza che scoraggia e rinvia le decisioni di investimento delle famiglie, per le difficili prospettive del mercato del lavoro e per la flessione del reddito disponibile. Un altro fattore rilevante che sta ostacolando la ripresa del mercato immobiliare residenziale è costituito dal blocco del circuito finanziario a medio-lungo termine che rende estremamente difficile alle famiglie accedere ai mutui per l’acquisto della casa (-21,5% nel periodo 2007-2011 e -47,9% nei primi sei mesi del 2012 i mutui erogati alle famiglie per l’acquisto di abitazioni). A ciò si aggiunga un ulteriore inasprimento del carico fiscale derivante dall’IMU. L’imposta municipale, di fatto, rappresenta una “patrimoniale” sugli immobili che rischia di produrre effetti fortemente penalizzanti, soprattutto con riferimento agli immobili per investimento (seconde case, case per l’affitto).
Inoltre, è importante evidenziare che in Italia non vi sono segnali per una bolla immobiliare. Al contrario, i dati mostrano che esiste una domanda insoddisfatta: dal confronto tra abitazioni messe in cantiere e nuove famiglie, risulta un indicatore di fabbisogno potenziale di circa 596.000 abitazioni.
Ad aggravare la situazione vi è anche la stretta creditizia che a giugno 2012 ha raggiunto il livello più alto dall’inizio della crisi.
Nel complesso, i finanziamenti a medio-lungo termine per l’edilizia abitativa sono calati del 38,2%, nel periodo 2007-2011, mentre i prestiti per l’edilizia non residenziale sono diminuiti del 44,3%.
Tutto ciò mentre continua ad aumentare la domanda di credito da parte delle imprese: nel periodo maggio-settembre 2012 più della metà delle imprese ha visto aumentare la propria domanda di credito a causa dei ritardi di pagamento della PA, della diminuita capacità di autofinanziamento, della variazione delle esigenze produttive e della ristrutturazione del debito.
Ulteriore fenomeno che determina una situazione di estrema sofferenza per le imprese che realizzano lavori pubblici è quello dei ritardati pagamenti. Ammonta a 19 miliardi di euro la somma che la PA deve restituire alle imprese di costruzione ed è in costante crescita. Anche i tempi aumentano: in media le imprese che realizzano lavori pubblici sono pagate dopo 8 mesi e le punte di ritardo superano ampiamente i 2 anni.
Il Patto di Stabilità Interno, che limita fortemente la capacità di investimento degli enti locali, continua a rappresentare la principale causa di ritardo nei pagamenti della Pubblica Amministrazione.

Scarica l’Osservatorio Congiunturale sull’industria delle costruzioni  a cura della Direzione Affari Economici e Centro Studi dell’Ance

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