In Emilia si poteva intervenire efficacemente su quanto costruito dal 2003

“Con l ’Ordinanza 3274 della Presidenza del Consiglio dei Ministri OPCM  del 20 marzo 2003 fu ridefinita la mappatura sismica del territorio italiano, ivi comprese le caratteristiche sismogenetiche del tratto Appenninico Nord-Occidentale e dell’adiacente Pianura Padana. Uno dei risultati di maggior successo di questi ultimi 30 anni nella impari lotta contro la sismicità del nostro territorio, è stato quello di avere saputo trasferire gli studi sismici in termini di indici di rischio”.
Lo ha affermato  poco fa Giuseppe Rolandi,Ordinario di Vulcanologia dell’Università Federico II di Napoli intervenendo sul terremoto in Emilia Romagna.
“Questo lavoro, che ha visto particolarmente impegnati la Protezione Civile nazionale  – ha proseguito Rolandi– ed il Servizio Sismico Nazionale unitamente ad alcuni atenei italiani, ha permesso di definire dei parametri numerici, atti a valutare, per una determinata intensità di un ipotetico scenario sismico, il  danno atteso sia in termini di impatto sul patrimonio edilizio che di popolazione da assistere.
Tali parametri sono disponibili ormai per tutti i comuni d’Italia. Trattandosi di dati di tipo probabilistico elaborati su base statistica, tuttavia, è inevitabile che in qualche caso le stime possano essere discordanti rispetto ad uno scenario reale. Ma, in linea generale, il confronto dei dati di progetto con quelli reali, è da considerarsi estremamente significativo, come si è avuto modo di verificare in Emilia. Basta ad es. osservare la Tab.1.  ( trasmessa in allegato), dove vengono messi al confronto:- i dati in termine di danno alle strutture pubbliche e private;- i dati relativi ai cittadini ospitati nelle strutture di accoglienza a tutto il 01/06/2012; rilevati dalla Prefettura di Modena per i comuni di Mirandola e Finale Emilia, con quelli previsti con il metodo degli indici di rischio messo a  punto dalla Protezione Civile Nazionale nel 2004; la loro similitudine è, a dir poco, sconvolgente. E’ questa una prova  ulteriore  – ha continuato Rolandi– che lo studio  degli scenari di danno sismico in termini di previsione degli effetti attesi, rappresenta un efficace strumento per la valutazione del comportamento del territorio in rapporto ad un particolare scenario sismico, e, nel contempo, un potente mezzo operativo, strategico nella mitigazione dell’impatto prodotto, perché consente di gestire al meglio tutte le risorse di Protezione Civile coinvolte in situazioni di emergenza.
E’ infatti ormai collaudato l’iter procedurale in base al quale uno scenario di rischio corrisponde ad un determinato  livello di attivazione dei Piani di Emergenza, e che tali valutazioni  portano alla quantificazione delle risorse umane e materiali da prevedere nei Piani  di protezione relativi a ciascun tipo di scenario. Questa constatazione ci induce perciò a fare due osservazioni: in primo luogo, lo sforzo di produrre informazioni per una significativa mitigazione del rischio sismico da parte delle autorità scientifiche e di Protezione Civile ha basi molto solide; in secondo luogo, ma non meno rilevante, si osserva  che tale sforzo è stato nei fatti  in parte vanificato dall'operato dell'apparato politico-burocratico che, con colpevole ritardo, ne ha a lungo rinviato l'attuazione”. Quali sono state le conseguenze di tutto ciò? 
“È evidente che dal 2003 ad oggi non ci sarebbe stato il tempo materiale per rendere antisismico il patrimonio edificato dei comuni dell’Emilia – ha proseguito Rolandi –  ma, vivaddio, si sarebbe potuto intervenire efficacemente su quanto costruire dal 2003 in avanti. Ci riferiamo proprio ai numerosi capannoni industriali che l’operosità delle genti emiliane ha fatto sorgere in gran numero negli ultimi 10 anni. Costruire queste strutture senza rispettare i criteri antisismici (vedi scheda allegata) è stato un vero e proprio crimine   del quale qualche politico o qualche burocrate ne porta il peso sulla coscienza. Ancora più delittuosa è stata la perdita di vite umane ad una settimana dalle prime micidiali scosse telluriche, che hanno determinato il crollo di altre strutture”. “In quelle rimaste più o meno agibili , infatti, molti imprenditori – ha dichiarato Rolandi– nel tentativo ammirevole di salvare il loro lavoro, sono ritornati ad operare con le loro maestranze, previa verifica da parte di tecnici. È del tutto evidente che una struttura rimasta indenne alle prime scosse telluriche può essere dichiarata agibile dal punto di vista della resistenza ai carichi statici. Ma è altrettanto evidente che la stessa struttura, affetta dall'origine da un deficit costruttivo dal punto di vista dei carichi dinamici, non poteva e non doveva essere considerata agibile in uno scenario di attività sismica in corso”.
 
L’esperienza della Campania
“Noi riteniamo che sotto il profilo della sicurezza sismica lo sforzo sia iniziato da tempo, proprio sulla scorta delle tragedie passate. Un esempio di ciò  – ha affermato Orazio Colucci della Commissione Protezione Civile dell’Ordine dei Geologi della Campania –ci viene offerto ancora una volta dall’esame degli indici di rischio della Protezione Civile. Ad esempio, nel caso dei comuni di Conza della Campania e S. Angelo dei Lombardi , due dei molti  comuni della Provincia di Avellino quasi completamente distrutti dal sisma del 1980 e successivamente interamente ricostruiti, si può notare come  gli indici di rischio restituiscano uno  scenario di danno molto  contenuto. In altre zone, tuttavia, l’inadeguatezza del patrimonio edilizio in termini di rischio sismico è un dato reale e inconfutabile ed è quindi necessario  dare un segnale di inizio prima  con la messa in sicurezza degli edifici strategici e con i Piani di Protezione civile per tutti i Comuni, poi incentivando l’adeguamento degli edifici privati, con il contributo di fondi pubblici. Questi i primi passi per un  percorso nuovo nella mitigazione dei rischi naturali. La sicurezza del territorio è patrimonio incommensurabile per chi vive in questo paese e per le future generazioni”.

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