Premio Internazionale Ischia di Architettura

La giuria del PIDA 2011, Premio Internazionale Ischia di Architettura che si svolge fino alal 23 luglio, ha assegnato il premio per la Fotografia d’Architettura a Luigi Filetici. Le sue foto sono interpretazioni della forma e dello spazio, lettura critica di un progetto architettonico attraverso la composizione e l’uso della luce.

Anche in questo caso si tratta di un riconoscimento che sottolinea la qualità e che ben si inserisce nel gruppo dei premi conferiti per selezione diretta.

I premiati delle altre sezioni sono: Mario Cucinella, vincitore del PIDA internazionale alla sostenibilità; Italo Rota, vincitore del PIDA alla carriera per gli alberghi realizzati; Giorgio Santilli, vincitore della sezione giornalismo.

La splendida villa che fu dimora di Luchino Visconti, “La Colombaia”, sarà la sede delle tre serate dedicate alle conferenze e ai dibattiti sui temi scelti quest’anno. Venerdì 22 luglio alle 21,30 dopo la conferenza sulla nuova legge per l’architettura, vi sarà l’inaugurazione della mostra fotografica di Luigi Filetici dal titolo “Metamorfosi Urbane”.

Di seguito una breve intervista a Luigi Filetici sui temi più interessanti dell’architettura contemporanea vista attraverso gli occhi di un fotografo-architetto.
Un’autopresentazione, in poche righe…
Sono un architetto che rappresenta l’architettura anche attraverso il mezzo fotografico. Sono stato docente al Corso di Laurea in Disegno Industriale presso il “Politecnico” di Milano e “ La Sapienza” di Roma. Lavoro anche all’estero per varie riviste del settore, designers, architetti, artisti e aziende…
Si sente più architetto o fotografo? La laurea in architettura le ha dato qualcosa in più? Forse mi sento più architetto. Per leggere un’architettura è meglio essere del mestiere, per carpirne i segreti, il valore formale e il riferimento storico.
Preferisce fare foto o progetti?
Se sono belle si può fare entrambe le cose. È comunque entusiasmante e divertente.
Com’è nato il suo interesse per la fotografia?
Da un hobby, durante il periodo universitario. Questa passione è nata dalla voglia di approfondire il mondo professionale della fotografia. Per rappresentare un’architettura non si possono utilizzare normali macchine compatte o reflex, ma c’è bisogno di una strumentazione tecnica e complessa, obiettivi decentrabili…
C’è un progetto fotografato a cui si sente particolarmente legato?
No, non c’è. La cosa a cui sono più legato è la ricerca che, per me, verte su due piani principali: il primo attraverso la realizzazione di fotografie di nuove architetture per le varie riviste (Domus, Abitare); l’altro verte su una ricerca personale con libri, mostre e temi scelti da me. Probabilmente sono più legato ad una Mostra su Mosca fatta alla Triennale di Milano e, più in generale, sono molto interessato al Costruttivismo russo e all’analisi delle città dell’Est Europa.
In che misura la fotografia dovrebbe essere di supporto critico per una corretta lettura dell’architettura?
Io mi occupo proprio di comunicazione visiva dell’architettura. Spesso questo momento fondamentale viene tralasciato dai grandi studi che, terminata la fase progettuale, pensano di aver concluso. Ma non è così: è un’impostazione più imprenditoriale, però ci sono architetti che seguono questa fase post realizzativa.
La rappresentazione fotografica è essenziale per i libri e le riviste di settore. Troppo spesso dei buoni progetti vengono bruciati da una pubblicazione sbagliata e non all’altezza. L’architettura è vista “dal vivo” da un numero di persone infinitamente esiguo rispetto a chi la legge in fotografia e a volte si resta delusi perché la realtà non risponde alle aspettative…
Quindi è possibile che una fotografia accattivante migliori un progetto?
Certo, è nostro compito! La fotografia deve essere documentaria e creativa, dare un’emozione che vada oltre la semplice percezione del visitatore. Deve essere anche reale, avere parametri riconoscibili, un’inquadratura e una prospettiva corretta. Proprio qui sta la differenza tra la fotografia di architettura professionale e quella no: ogni foto deve rivelare un suo mistero, una sua essenza.

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